mercoledì, 22 Marzo
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Xí Jìnpíng e il nuovo Impero Cinese

Dopo il XIX Congresso del Partito Comunista Cinese, tenutosi a Pechino lo scorso ottobre (tra il 18 e il 24, per l’esattezza), la Repubblica Popolare Cinese ha visto fortemente rafforzata la posizione del suo Presidente della Repubblica (nonché Segretario Generale del PCC), Xí Jìnpíng.
Il Paese uscito dal Congresso si presenta, senza ombra di dubbio, come un protagonista indiscusso del prossimo futuro, sia in virtù della propria crescita economica (l’unica che non è stata intaccata dalla lunga crisi), sia per la nuova spinta verso l’esterno. Finita l’epoca in cui la Cina svolgeva il ruolo di ‘fabbrica del mondo’, ovvero in cui la delocalizzazione dei Paesi sviluppati favoriva la rapidissima crescita del ‘Regno di Mezzo’, oggi la strategia di Pechino è cambiata e si orienta molto in direzione di grandi investimenti. Nel momento in cui, con la nuova politica isolazionista dettata da Donald Trump, gli Stati Uniti sembrano chiudersi in sé stessi, la Cina si propone come il nuovo alfiere di una globalizzazione che, se da un lato è funzionale agli interessi dell’alta finanza mondiale, dall’altro proietta Pechino in un ruolo centrale che il Paese non aveva da secoli. Alla tendenza protezionistica ed isolazionista degli USA, infatti, corrisponde la ricerca, da parte del mercato globale, di un nuovo Paese che si ponga come guida dell’economia; ovviamente, le cose non sono così semplici: le ragioni delle forti tensioni che attraversano gli Stati Uniti e dello scontro apertosi nel Paese sulla figura di Trump sono da ricercarsi, tra l’altro, anche negli interessi di larghi settori dell’economia contrari ad una chiusura che lascerebbe il campo libero alle aspirazioni di Stati concorrenti, primo tra tutti, la Cina.

Le politiche cinesi in campo di sostenibilità ambientale sono motivate, oltre che da una maggiore sensibilità ambientale, anche dall’interesse che Pechino nutre nei confronti di una collaborazione con i Paesi europei che, abbandonati a sé stessi dalla nuova linea USA, guardano con interesse e, allo stesso tempo, con preoccupazione alla crescita del gigante asiatico.

In effetti, è interessante notare come, tra i Paesi europei, l’atteggiamento sia ambivalente: da un lato, la crescita cinese, affiancata alle nuove politiche di investimento, risulta allettante per molti Paesi (i principali fautori di questa linea sono i Paesi Bassi e gli Stati scandinavi); dall’altro, alcuni Stati dell’Unione Europea nutrono delle preoccupazioni nei confronti di un libero mercato che, in questo momento, sarebbe molto più a vantaggio di Pechino che di Bruxelles (principalmente Francia, Germania ed Italia). Di certo c’è che, declinato in chiave positiva o negativa che sia, l’interesse nei confronti della Cina è cresciuto in maniera impressionante, negli ultimi anni, a tutti i livelli della società.

Uno studio dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), ci fornisce i dati relativi all’interesse per la Cina in Italia. Balza subito alla vista il fatto che, da parte delle Istituzioni, ci sia stata un’impennata nei rapporti bilaterali tra Roma e Pechino, con l’apertura di nuovi Consolati in terra cinese e il potenziamento dell’Ambasciata a Pechino. Allo stesso modo, l’attenzione che i media hanno cominciato a dedicare alla Repubblica Popolare è cresciuta in maniera esponenziale: negli ultimi anni, la presenza del nome del Presidente cinese nell’informazione italiana è circa triplicata. Infine, non bisogna dimenticare la percezione che la popolazione ha della Cina: al livello mondiale, l’idea che l’economia USA sia ancora dominante è maggioritaria; in quasi tutti i Paesi UE, invece, la percezione è contraria; in Italia, la popolazione si pone in mezzo dicendosi, in larga maggioranza, convinta che le due economie siano sostanzialmente in parità, con una netta crescita da parte cinese. A quanto pare, i dati economici confermano in un certo senso la percezione italiana: allo stato attuale, l’economia statunitense è ancora in vantaggio su quella cinese; le proiezioni che riguardano il futuro, però, lasciano prevedere un sorpasso piuttosto rapido da parte di Pechino.

La crescita della potenza cinese è stata spesso spiegata, sul piano economico, parlando del basso costo del lavoro, della bassa qualità dei prodotti, dell’assenza di garanzie per i lavoratori o, più semplicemente, del numero dei lavoratori a disposizione di Pechino. Si è speso poco tempo, però, ad analizzare gli aspetti organizzativi che fanno sì che il Paese possa sfruttare così bene le sue ingenti risorse umane (cosa che, ad esempio, non riesce a fare l’India).

Sin dall’antichità, i periodi di crescita dello Stato cinese sono stati legati alla presenza di una larga schiera di Quadri Intermedi: la cinghia di trasmissione tra il potere e la società. Nell’epoca attuale, si tratta ci circa 42 milioni di funzionari pubblici, di cui circa 15 milioni membri del PCC: la selezione, che permette di raggiungere le vette delle Istituzioni, è complessa e severa, oltre che altamente burocratizzata. Questa prassi ha permesso di arrivare ad una sorta di fusione tra lo Stato ed il partito che, a sua volta, ha permesso di creare una dirigenza forte capace di guidare il Paese nella sua crescita vertiginosa.

Il XIX Congresso del PCC, dunque, ha sancito definitivamente il ruolo di grande potenza di domani della Cina. Ci sono, però, alcuni aspetti che vanno analizzati più a fondo, soprattutto per quanto riguarda la figura del Presidente Xí.

L’aspetto che balza maggiormente agli occhi, è stato l’inserimento, nel corso del Congresso, del cosiddetto ‘Pensiero di Xí Jìnpíng del Socialismo Cinesi nella Nuova Era‘ nello Statuto del PCC. Di per sé, l’inserimento delle teorie del Presidente nello Statuto del Partito non è affatto una novità; l’eccezionalità sta nel fatto che, a differenza che per i suoi predecessori, questo inserimento preveda un esplicito riferimento al suo nome e, soprattutto, non sia arrivato alla fine della propria parabola politica, come da prassi, bensì al momento della rielezione per il suo secondo mandato. Per quanto riguarda il primo aspetto, esistono solo due precedenti, ovvero Máo Zédōng (che però considerato un po’ come il Padre della Patria, colui che riuscì a sconfiggere sia i giapponesi che i nazionalisti dando vita alla Repubblica Popolare) e Dèng Xiǎopíng (nel cui caso, però, l’inserimento avvenne dopo la morte). L’altro aspetto risulta forse anche più significativo: il pensiero di Dèng entrò a far parte dello Statuto dopo la morte dell’autore; le idee di Jiāng Zémín e di Hú Jǐntāo vennero inserite quando i due erano ancora in vita, ma a fine mandato (e i loro nomi non vengono esplicitamente citati); il pensiero di Xí, invece, entra nel Pantheon del Socialismo cinese quando il suo autore, non solo è ancora in vita, ma è all’apice della propria carriera politica. Anche in questo caso, abbiamo solo un precedente: Máo, il cui pensiero fu introdotto nello Statuto nel 1945, quando ancora la Repubblica Popolare doveva nascere e la vittoria era lontana.

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