sabato, 1 Aprile
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Whistleblower, la norma scomoda

Siamo alla fine di novembre 2015. Il Governo italiano ha appena salvato quattro banche di medie dimensioni, scaricando su una platea abbastanza ampia di azionisti ed obbligazionisti il costo dell’operazione. Comincia uno scaricabarile tra le istituzioni di vigilanza, Banca d’Italia e Consob, su come siano finiti nelle mani dei risparmiatori, prodotti finanziari ad alto rischio. Sui giornali vengono svelati quotidianamente gravi conflitti d’interesse e pratiche illegali, messe in atto da gruppi dirigenti spregiudicati, su cui la magistratura sta indagando.

I contraccolpi sul Governo saranno talmente forti, che oggi il Premier rischia di accollarsi la responsabilità del panico scatenato sui mercati, dalle ondate di vendite massicce su titoli bancari e obbligazioni subordinate, che si susseguono in queste prime settimane di gennaio. Come mai dalle banche non è mai trapelato un sussurro, prima che venisse giù tutto? Tutti allineati e compatti, tra i timori dei licenziamenti e i bonus da raggiungere per le operazioni più azzardate? Forse. Magari è mancato l’incentivo, sicuramente ha prevalso la paura. Eppure proprio in quei giorni di dicembre, sir Jordan Thomas, ex dirigente della Sec, la Consob americana, dalle colonne dell’‘Economist’ annunciava ‘The age of whistleblower’, l’informatore anonimo, che dall’interno di istituzioni e società è messo in condizione di segnalare alle autorità, le ‘malpractice’ e i comportamenti illegali.

Una figura compatibile certamente con il ‘moral compass’ anglosassone, ma per la quale – a scanso di equivoci – è prevista una lauta remunerazione, con percentuali che vanno dal 15% al 30% delle somme eventulmente recuperate. Così per lo meno funziona in America, dove negli anni immediatamente successivi alla crisi del 2008, l’ufficio attivo in seno alla Sec, ha cominciato a macinare circa 4.000 segnalazioni ogni anno, con casi eclatanti come quello di Bradley C. Birkenfeld, al quale è stata riconosciuta una ricompensa di 104 milioni di dollari, per aver svelato il meccanismo di evasione fiscale dei patrimoni californiani attraverso la banca svizzera Ubs. Un sondaggio condotto da un’associazione attiva nell’analisi delle frodi in oltre 100 paesi (Acfe) rivela che oltre il 40% dei reati vengono allo scoperto attraverso le segnalazioni anonime, percentuale che sovrasta nettamente le altre modalità di rilevazione, affidate all’audit interna ed esterna, allo zelo di alcuni dirigenti, alla sorveglianza e talvolta perfino alla casualità.

Una pratica poco tollerata nella vecchia Europa, che l’Unione ha cominciato a incoraggiare con alcune direttive e l’Onu ha promosso con una convenzione, recepita in Italia nel 2009. Il primo campo d’applicazione da noi è stato quello della pubblica amministrazione, con l’avvio di un’attività legislativa per il contrasto alla corruzione, che secondo i rilievi Ocse, collocava l’Italia al terzo posto nel mondo, alle spalle di Grecia e Messico. L’iniziativa ha trovato il suo compimento nel 2012, con l’approvazione della 190, la cosiddetta ‘legge anticorruzione‘ o ‘legge Severino‘, di cui si è parlato soprattutto per le implicazioni politiche sull’incandidabilità e meno per le nuove pratiche di contrasto, di cui all’articolo 54bis, per consentire le segnalazioni anonime, successivamente riportate all’Anac, con apposito decreto.

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