«I can’t breathe», il grido di dolore di George Floyd che ha scosso le coscienze civili di tutto il mondo, ha suscitato un’ondata di proteste di dolore e di indignazione tutt’ora in atto, che ha coinvolto anche in Italia cittadini di ogni età e colore, donne e ragazzi artisti, attori, intellettuali, scesi in piazza a manifestare contro il razzismo o intervenuti sui social, a titolo individuale o collettivo.
Le immagini della sofferenza di George, schiacciato a terra quel 25 maggio 2020, in piena epidemia, con le ginocchia premute sul collo per 8’ minuti e 46” fino alla morte, dall’agente di polizia di Minneapolis Derek Chauvin, ostentatamente indifferente al suo grido, simboleggiano una condizione umana non più tollerabile. Che si trascina da secoli. Che ha precedenti analoghi: ‘I can’t breathe! I can’t breathe!’ 11 volte lo aveva detto anche Eric Garner, 6 anni fa a New York, costretto nella stessa posizione durante il suo arresto. Morto soffocato anche lui. Morto per un sospetto di frode al fisco per la vendita di sigarette singole da pacchetti senza il bollo delle tasse. Le manifestazioni di protesta esplose ovunque non hanno posto fine all’uccisione di altri cittadini di colore, a colpi di pistola, fermati perché sospettati di qualche reato, anche minimo.
‘E’ il sistema’, sostengono taluni. Già. Ed è contro un simile sistema che si è levata la voce di vari artisti, sparsi nel mondo, da Madonna ad Accorsi, da Bansky a Bea Miller, che a questa tragedia ha dedicato e cantato un brano struggente: ‘I can’t breathe’ che ha già avuto 6 milioni di visualizzazioni. Un fatto del genere non poteva sfuggire alla sensibilità di Arturo Galansino, Direttore della Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze, a cui si deve la organizzazione di Mostre dedicate ad artisti contemporanei che affrontano le grandi problematiche dell’epoca ‘apocalittica’ in cui viviamo: si ricordano ancora i gommoni delle migliaia di migranti naufragati in mare affissi sulle pareti del Palazzo per la Mostra del dissidente cinese Ai Weiwei, o i rischi di estinzione della specie umana ( quella di molte specie animale è già in corso) per responsabilità degli uomini e di un modello economico e sociale distruttivo delle risorse della terra e dell’aria, indicati nella Mostra prorogata fino a settembre dell’argentino Tomas Saracino.
Ebbene, qual è la sua riflessione sui fatti in corso oggi? Arturo Galassino affida il suo commento al sito della Fondazione che lui dirige: “Si tratta dell’ennesimo abuso di potere da parte della polizia nei confronti di un cittadino di colore, e quello che gli Stati Uniti stanno oggi vivendo riporta alla mente i fatti che si susseguirono a Los Angeles tra il 1991 e il 1992 a partire dalla diffusione del video del pestaggio da parte della polizia di un altro uomo di colore, Rodney King. Il processo agli agenti si era concluso con un verdetto di quasi totale assoluzione e per oltre un mese si sono susseguite numerose azioni di protesta, sanguinosi scontri e violenti saccheggi in tutta la città californiana. Questi fatti e i tanti casi di violenze razziste perpetrate dalle autorità, che nei primi anni Novanta iniziarono a essere documentati e condivisi anche dai principali media, crearono un ampio dibattito pubblico nella società americana, che trovò eco anche nel mondo dell’arte. Durante gli anni Novanta impegno civico e sociale entrarono con forza al centro del dibattito artistico grazie a figure provenienti da comunità tradizionalmente emarginate, come quelle LGBTQ, afroamericana e nativa. È in questo contesto che artisti di colore come Glenn Ligon, Gary Simmons o Kara Walker si sono imposti nel panorama artistico americano dimostrando la capacità di poter unire storia dell’arte e attualità in un linguaggio di forte impatto e suggestione“.
E’ dunque in base a queste riflessioni che è nata l’idea di promuovere per la primavera del 2021 a Palazzo Strozzi una grande Mostra dal titolo ‘American Art 1961-2001’ che racconterà quarant’anni di storia americana, dalla guerra in Vietnam fino all’attacco alle Twin Towers.
”E, cosa assai significativa, all’interno di questa Mostra una ampia sezione metterà in luce quellefigure che hanno dimostrato con le loro opere una forza espressiva senza precedenti, figlia di ingiustizie e tensioni che ancora oggi sono lontane da essere risolte. Uno dei principali interpreti di questo nuovo corso dell’arte americana è Kerry James Marshall, le cui opere saranno tra le protagoniste della mostra di Palazzo Strozzi”. Chi è Kerry James Marshall? Un artista afroamericano nato nel 1955 a Birmingham (Alabama) e cresciuto a Los Angeles, che spazia dall’astrazione al fumetto, tra pittura, installazione, video e fotografia, e che si è imposto negli anni Novanta come uno dei più importanti artisti in grado di raccontare la storia (e il presente) dell’identità nera negli Stati Uniti. Tra le sue opere che saranno esposte a Palazzo Strozzi, spiccano le celebri stampe che hanno per soggetto slogan storici del movimento per i diritti civili degli anni Cinquanta e Sessanta, alcuni pacifisti e identitari, altri militanti e di lotta: ‘Black is Beautiful’, ‘Black Power’, ‘We Shall Overcome’, ‘By Any Means Necessary’ e ‘Burn Baby Burn’. “L’appropriazione di frasi provenienti da un contesto storico passato come quello della lotta al segregazionismo” – aggiunge Galansino- “diviene strumento di attualizzazione di una battaglia mai in realtà vinta e conclusa. E quelle parole, ancora oggi, risuonano come attuali e vibranti nella loro perdurante irrisolutezza.”
Dunque una Mostra su un recente passato che ci parla ancora del presente. “Perché” – aggiunge – “gli eventi di questi giorni testimoniano nella loro tragicità le profonde tensioni che animano ancora oggi l’America e, con essa, gran parte del mondo occidentale”. “E le istituzioni culturali sono poste” – è il pensiero di Galansino – “di fronte alla possibilità di raccontare l’oggi attraverso l’arte contemporanea, di prendere posizione e partecipare al dibattito pubblico. Da sempre Palazzo Strozzi si impegna a parlare ai propri pubblici dei temi più rilevanti e urgenti del nostro presente e mai come in questi ultimi mesi è risultato evidente che il ruolo di un’istituzione che voglia contare nel proprio tempo impone il dovere di assumersi questa responsabilità”. In attesa di vedere le opere d’arte espressione di quella che un tempo si definiva ‘L’altra America’ e che ancora oggi si contrappone a quella di Trump, sarebbe consigliabile in una città disponibile all’ascolto ed alla partecipazione come Firenze, andare a scavare più a fondo in quel pensiero perverso e in quella ‘disuguaglianza sistemica’ attraverso la quale si esprime il razzismo: che non è solo nella brutalità delle forze di polizia, ma è anche alla base della crisi climatica, poiché è nelle aree più ‘povere’ ove vivono le persone di colore (ispanici/latini e afroamericani) che vengono situate le centrali di combustibili fossili, le raffinerie, le discariche, causa di inquinamento, tanto che i neri americani hanno ( secondo ricerche delle varie Università Usa) tre volte più probabilità di morire a causa dell’inquinamento ed hanno quattro volte più probabilità di risultare positivi al Covid-19. Su razzismo e clima vi è anche un editoriale sul Washington Post della biologa marina Ayana Elizabeth Johnson. Non c’è dunque solo il grido degli artisti ma anche quello degli scienziati. Ascoltiamolo.