lunedì, 20 Marzo
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Viaggio verso casa con i Train to Roots

Simone Pireddu, Michele Mulas, Antonio Leardi, Simone Bardi, Stefano Manai, Giampaolo Bolelli: sono questi i componenti dei Train To Roots, band reggae italiana con all’attivo ben 5 album in studio prodotti dal 2005 ad oggi.
Dalla Sardegna fino ai palcoscenici internazionali, la band ha lanciato di recente il suo quinto lavoro discografico, ‘Home’, prodotto dall’etichetta indipendente INRI. Vita difficile per chi fa reggae e, soprattutto, per chi si confronta con il mercato italiano dove questo genere musicale viene ancora aggi definito di nicchia. Per evadere da tale ridimensionamento, molti cercano contaminazioni pop o hip hop più in linea con le mode in voga. Tuttavia i Train to Roots non sembrano subire alcun contraccolpo nel loro sound, preservando proprio la ritmica roots per un reggae di qualità. Gli abbiamo incontrati in occasione dell’uscita del loro nuovo album per capire meglio quello che è e che sarà il percorso del loro treno musicale.

 

Nuovo album dal titolo ‘Home’ ovvero ‘casa’. Si tratta di un’ideale costruzione della vostra abitazione musicale dove delimitate i confini del vostro sound e della vostra dimensione musicale dalla quale partire per le prossime evoluzioni?

Il titolo ‘Home’ in realtà l’abbiamo scelto per diversi motivi ed in primis perché quando iniziammo i lavori di questo album decidemmo che fossero svolti tutti in ‘casa’: senza un produttore esterno e quindi tutto frutto del nostro sapere, gusto, background musicale e voglia di metterci in gioco. Abbiamo lavorato alla costruzione di canzoni che fossero piene di messaggi positivi e che riportassero all’ascoltatore quello stato di serenità e di sicurezza che ognuno di noi percepisce nella propria casa. Una casa fatta non di mattoni ma di persone, di comunità, di convivenza. Ogni testo racconta situazioni di vita reale e vissuta in prima persona, dando degli spunti propositivi per affrontare le contraddizioni del sistema con maggiore consapevolezza e serenità.

 

Siete un gruppo reggae italiano per certi versi in controtendenza. Molti cercano di adattare il loro spirito musicale scendendo a patti con il desiderio di ampliare il proprio mercato, voi invece sembrate voler rimanere fedeli al vostro stile pur sperimentando e collaborando con molti artisti. Che sacrifici comporta questa scelta?

Non ti nego che anche a noi piacerebbe ampliare ancora di più il nostro mercato all’infinito e che sino a che avremo forze e voglia continueremo a regalare tanta bella musica e tante belle tematiche. Tuttavia noi siamo i ‘Train To Roots’, siamo Sardi d.o.c. e quindi orgoglio e testardaggine fanno parte del nostro dna, ci piace collaborare con artisti anche diversi per genere musicale ma che stimiamo e sentiamo simili d’animo e spirito. Siamo anche consapevoli del fatto che senza sacrifici, duro lavoro e tempo dedicato al nostro sogno non si arriva da nessuna parte, quindi quando ci sono dei sacrifici da fare si stringono i denti e si va avanti con sempre il sorriso.

 

Il reggae in Italia ha avuto un andamento altalenante negli anni senza mai esplodere veramente come realtà musicale importante. Quali sono le barrire per chi come voi esprime il proprio valore artistico in questo genere musicale?

Molto spesso ‘le barriere’ che ognuno di noi si pone sono solo barriere mentali, nel senso che ci è più facile, il più delle volte, pensare che un qualcosa sia impossibile da fare o da raggiungere e quindi ci si arrende, senza nemmeno averci provato con tutte le proprie forze. La realtà è che in Italia il reggae non è propriamente visto come un genere con il quale poter fare i soldi. Negli anni sono uscite fuori tante belle produzioni, tanti bei progetti, gruppi, singers e tante altre belle realtà. Africa Unite, Sud Sound System, Reggae National Tickets e Pitura Freska ci sono riusciti e guarda caso tutti e quattro hanno puntato tanto sul reggae in italiano o in dialetto. Si tratta della nostra lingua, della nostra storia, della nostra tradizione ossia quello che forse l’ascoltatore di musica in Italia apprezza e capisce di più. Lecito puntare ad arrivare più in alto e allargare gli orizzonti oltre l’Italia, ci mancherebbe, ma forse dopo il successo dei gruppi citati, ci si è dedicati poco a preservare e spingere il reggae italiano e la sua crescita.

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