Utero di affitto. Anni fa una ragazza sudamericana, adottata da una famiglia italiana quando era ancora piccola, mi aveva espresso il desiderio di potere vedere almeno una foto della sua famiglia d’origine. Studiava all’università, aveva una discreta vita sociale e sembrava contenta della situazione in cui si trovava. Per questo la richiesta mi aveva, in qualche modo, sorpreso, sebbene sapessi, per consuetudine professionale, quanto sia intimamente laborioso il rapporto con il proprio passato nelle persone adottate, soprattutto quanto sia attiva nel loro cuore la curiosità verso le aree più ignote della loro esistenza, quei vuoti che vorrebbero riempire di certezze. Ovviamente non ero in grado di soddisfare la sua richiesta, non possedendo riferimenti fuorché quelli appresi da lei stessa, neppure ero in grado di immaginare chi fossero e dove vivessero le persone di cui voleva conoscere l’aspetto. Inoltre, anche i genitori adottivi erano nella mia stessa situazione.
Avevo chiesto alla ragazza se il suo desiderio originasse da un sentimento di nostalgia o, soprattutto, se pensasse di tornare presso i suoi genitori naturali. La risposta vorrei dedicarla a tutti coloro che in questi mesi si sono confrontati sulla spinosissima questione dell’utero in affitto, o col suo fantasma, dal momento che in Italia tale pratica è illegale, assumendo posizioni ideologiche o religiose, ma in realtà parlando a nome e per conto di se stessi, cercando di universalizzare contenuti specifici della propria sensibilità.
I bambini, quasi sempre, sono rimasti sullo sfondo o usati come clave contro l’avversario di turno, interpretati a seconda della posizione dell’osservatore.
Non intendo entrare nella disputa spacciando pareri personali per verità scientifiche, mi limito a esprimere un parere, maturato unicamente nell’osservazione sul campo che, tuttavia, non pretende di avere maggiore dignità di quelli altrui.
Le persone ragionevoli non cercano improbabili verità, osservano, si pongono e pongono domande, lasciando le zuffe alle componenti più ideologizzate e integraliste della società italiana, mosse da certezze preventive e purtroppo incapaci di confrontarsi tenendo conto dei vari punti di vista presenti.
Ma torniamo alla ragazzina che vorrebbe vedere una foto della sua famiglia d’origine, le ragioni sono lontanissime dalle ipotesi che avevo avanzato. «Non voglio tornare nella mia vecchia famiglia e neppure credo di avere particolari nostalgie. L’unica ragione per la quale vorrei vedere una foto dei miei genitori naturali è il desiderio di sapere da chi ho preso i miei occhi».
Eccolo, il cuore del problema, il centro dell’universo, da cui tutti ci siamo tenuti a distanza di sicurezza, quasi fosse un pericoloso buco nero. Il rapporto del bambino con le sue origini. Ce ne sarebbe abbastanza per fare silenzio e ascoltare i piccoli, quelli che ci sono e quelli che verranno. Domandarsi cosa essi considerano vitale è un obbligo grave, ma richiede umiltà e atti di immedesimazione fuori dalla portata di molti degli attori nazionali, che sembrano calpestare un palcoscenico invece, ignari della posta in gioco.
Di sicuro i bambini non possono fare a meno di conoscere tutto ciò che è possibile conoscere del loro passato, sapere da chi sono stati generati, e, nel caso, le ragioni per le quali sono stati abbandonati.
Nel Regno Unito esiste, da oltre mezzo secolo, la metodica del Life Story Book, il libro con tutte le informazioni disponibili sulla vita di un bambino che viene dato in adozione. È il ‘suo’ libro, gli appartiene, perché tutte le falle presenti dello sviluppo della propria storia personale sono fonte di angoscia, ed egli tenderà a colmarle caricandosi di domande, di dubbi ma anche esprimendo giudizi di valore negativi sulla propria persona. L’abbandono è uno strazio intollerabile. La nostra legislazione sulle adozioni era lontana anni luce da questa procedura trasparente, la legge impiega decenni per correggere i propri errori, perché il legislatore spesso è un dilettante velleitario o un gioppino distratto dal gioco della politica.
Ogni bambino è ansioso di sapere tutto sul proprio conto, interroga i genitori sulle circostanze della propria nascita, qualunque mamma e qualunque papà conosce queste curiosità. Prima dei genitori c’erano i nonni e poi altri nonni, la filiera dell’origine è chiara, può arrivare, almeno con la fantasia, fino alla prima scintilla della vita. Se i ponti sono tutti interi, questo è il punto, ma non sempre è così.
Premesso che l’arrivo di una creatura rimane la notizia migliore che possiamo dare al nostro pianeta, e tenuto conto di quanto abbiamo detto fino a questo momento, considero contrario all’interesse dei bambini ogni atto procreativo in cui uno dei genitori o entrambi sono ignoti e irrintracciabili, perché questo lascia aperte domande radicali nell’animo di chi arriva, per tutta l’estensione della vita.
Il modo in cui ciascuno di loro riempirà le pagine bianche non possiamo saperlo in anticipo, sebbene l’esperienza diretta dica che ci sono domande inestinguibili nei loro cuori e che noi avremmo il dovere di metterli in condizione di non porsele.
Il desiderio più struggente di ogni persona adulta è quello di lasciare un’impronta duratura del proprio passaggio. Ciò che agisce all’interno di questo desiderio appartiene al senso stesso della vita, ragione sufficiente per evitare di accapigliarsi, mettendosi in ascolto delle ragioni di tutti. Si tratta di un argomento di infinita delicatezza, in questi casi abbiamo visto troppi mariuoli posizionarsi per lucrare simpatie elettorali, fu così anche per il caso di Eluana Englaro.
Se ciascuno si limitasse a dire il proprio parere, ma soprattutto a motivarlo con onestà, partendo da ciò che vede con i propri occhi e non da ciò che sente dire, tutti i diritti troverebbero spazio e ci sarebbero meno effrazioni delle vite altrui, a cominciare da quelle dei bambini. Una conciliazione tra il diritto di chi vuole regalare un figlio al mondo e il diritto di un bambino a nascere all’interno di una storia, con protagonisti certi e rintracciabili, secondo quanto detto prima, è possibile. Occorre darsi regole comuni e poi rispettarle. Non è difficile, almeno per una persona onesta.