Per gli abitanti di Ustica non sarà allegro vedersi continuamente associare il nome della propria isola a una delle pagine più infami della storia italiana.
Già. Sono passati quarant’anni dalla perdita del Dc9/15 dalle marche I-TIGI della compagnia aerea Itavia di proprietà dell’avvocato marchiano Aldo Davanzali. Un arco temporale assai lungo che ha visto secchiate di storia deviata e menzogne inaccettabili, di politica internazionale invadente e subdola, di scandali sommersi, di ritrattazioni irriverenti e di una scia lunghissima di morti. I primi a bordo del volo IH-870 da Bologna a Palermo e poi di tanti, tantissimi tra attore e testimoni. Probabili o accertati.
Ne seguiamo da tempo l’intera vicenda. Da quando è accaduta. Da quando tanti giornali –e tra questi il prestioso ‘l’Espresso’- si affrettarono a spiegare con la loro dovizia di particolari (e la competenza dei loro cronisti!) che l’aereo precipitato nel Tirreno al largo delle Eolie era una carretta del cielo, un accrocco di metallo marcio disintegrato in volo dopo aver imbarcato per anni casse di pesce per Hawiian Airlines.
Poi, dopo due anni dalla tragedia, Tom Mangold, un intraprendente freelance definito da ‘The Times’ come ‘il decano dei giornalisti della radiodiffusione’, in un servizio per la ‘BBC’, ha tracciato un quadro molto diverso della vicenda raccontata fino ad allora mettendo in luce aspetti che non erano mai stati resi noti all’opinione pubblica italiana. Una vergogna per i nostri sistemi di informazione e per tutti i burattini che occupano indegnamente i canali televisivi italiani. E solo allora il nostro Paese fu costretto ufficialmente ad ammettere qualche responsabilità e aprire le inchieste di magistratura e ministero dei Trasporti. Una disonorevole vicenda che a quegli italiani seri fa rammaricare di esserci nati in questo Paese e governati da quella gente.
Ancora oggi la disgrazia liquidata rapidamente per danno strutturale che quel giorno, il 27 giugno 1980, costò la vita a 81 persone, seguita la tintura di colori obnubilati dalla falsa attendibilità e per quanto continuiamo a non avere l’ammissione che attorno al Dc9 italiano ci sia stato un traffico piuttosto complicato di aerei da caccia stranieri assistiti da portaerei nemiche, ci domandiamo quale sia stata la chiave di tanto riserbo e di tanta leggerezza nei più sofisticati apparati della tutele democratiche nazionali, al punto di gettare un’ombra ingombrante sull’Arma Aeronautica, ma più realisticamente su alcuni suoi responsabili e le loro dichiarazioni.
L’incidente di Ustica poi è stato anche un affare: coloro che hanno fatto adagiare l’opinione pubblica alla tiepida indifferenza che veder cadere un aereo sia evento probabile, hanno di fatto reso un servizio a Alitalia, che subito si premurò dell’assorbimento delle rotte di Itavia; sempre in soccorso dei vincitori, secondo una felice espressione attribuita all’intramontabile Ennio Flaiano.
Ora che ci avviciniamo al mezzo secolo di disonore nazionale, ‘Rai News 24’, il canale televisivo all-news edito dalla Rai, lo scorso sabato 27 –il giorno dell’anniversario e più o meno l’ora in cui accadeva la strage degli innocenti- ha trasmesso un servizio speciale di Pino Finocchiaro che può considerarsi sconvolgente nell’intera dinamica narrativa. Una traccia della registrazione vocale, un riporto inequivocabile che il comandante Domenico Gatti –o più probabilmente il primo ufficiale Enzo Fontana– dal Dc9 Itavia ha concretamente individuato un qualcosa che si stava avvicinando alla fusoliera che è stata la loro tomba, assieme a quella del loro equipaggio e dei loro passeggeri.
Una persona ragionevole si dovrebbe domandare come mai sia passato tanto tempo nel decodificare gli ultimi istanti della conversazione dei piloti su un registratore di bordo. Noi ci poniamo il quesito, nauseati da questo stato di indolenza e di sottomissione verso il potere non democratico, verso forze straniere ostili e contro i veri interessi dei cittadini italiani. E pure ci domandiamo come l’Associazione Verità su Ustica metta in discussione un procedimento effettuato -come ha spiegato Finocchiaro durante la trasmissione del servizio- con un comune banco audio, «di quelli utilizzabili già in passato».
Naturalmente la vicenda, per quanto sia stata al vaglio di inchieste ottemperate da indiscutibili periti e validate da sentenze di giudici qualificati con inoppugnabili paradigmi processuali, resta a galleggiare in un mare melmoso di incertezze, in debito di altre oggettività.
Quello che ci rammarica è che tutti i cambiamenti, veri o presunti che abbiamo avuto nei vari governi, non hanno mai avuto il coraggio o la dignità di aver infranto quel muro di gomma così saggiamente denominato da Andrea Purgatori, altro giornalista da lungo tempo nella partita. Probabilmente, ne siamo consapevoli, perché i sistemi di governo italiani, indipendentemente dai colori politici rappresentati, sono sempre e comunque sottoposti a volontà di altre realtà. Che siano di diverse sovranità o di oscure alleanze, lo lasciamo all’interpretazione di chi ci legge.
È questo, onestamente, lo Stato che non ci piace e al quale non ci sentiamo di appartenere.