Lo scorso agosto la Tanzania ha firmato un accordo con il Burundi per il rimpatrio dei rifugiati burundesi fuggiti dalle violenze del dittatore Pierre Nkurunziza, iniziate nell’aprile 2015 quando annunciò il suo terzo mandato presidenziale, contro la Costituzione e gli Accordi di Pace di Arusha (Tanzania) che nel 2000 misero fine a 10 anni di guerra etnica.
Le operazioni di rimpatrio sono iniziate il 1° ottobre, in stretta collaborazione con il regime burundese e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Una collaborazione smentita dal portavoce UNHCR per il Corno d’Africa e la Regione dei Grandi Laghi, Dana Hughes ha chiarito che l’Agenzia ha ufficialmente chiesto di non effettuare rimpatri forzati, visto la situazione di instabilità politica in Burundi.
«UNHCR si appella ai governi di Tanzania e Burundi affinché rispettino le obbligazioni internazionali relative alla gestione dei rifugiati. Occorre che il rimpatrio sia su basi volontarie come era stato stabilito nell’accordo tripartitico firmato nel marzo del 2018. Nessun rifugiato burundese deve essere rimpatriato contro la sua volontà. Occorre inoltre analizzare bene le condizioni politiche, sociali e di sicurezza attualmente presenti in Burundi per avvallare i rimpatri. Il governo Burundese deve aumentare gli sforzi per creare un clima socio politico economico favorevole al ritorno dei rifugiati dalla Tanzania», ha dichiarato Hughes.
Passando in rassegna il sito di UNHCR si scopre che l’Agenzia ONU ha supportato il rientro in Burundi di oltre 18.000 rifugiati provenienti dalla Tanzania fin da prima della firma degli accordi. Dal 2017 i rifugiati rimpatriati grazie all’assistenza di UNHCR sarebbero quasi 75.000 su una popolazione censita nei campi profughi tanzaniani di 200.000 persone. I rimpatriati hanno diritto di ricevere un ‘kit di ritorno’ per far fronte alle necessità dei primi tre mesi. Il kit è composto da una somma di denaro, da derrate alimentari, coperte, utensili per la cucina e per l’agricoltura, essendo molti di loro contadini.
Le informazioni offerte dal sito dell’Agenzia ONU evidenziano una stretta collaborazione con i governi tanzaniano e burundese. Coerentemente alle dichiarazioni fatte dalla portavoce per il Corno d’Africa e la Regione dei Grandi Laghi si deve presupporre che i 75.000 rifugiati siano rientrati su base volontaria.
L’Associazione anglofona per i diritti dei rifugiati, International Refugee Rights Initiative (IRRI ) –con sedi negli Stati Uniti, Gran Bretagna e Uganda– ha pubblicato un rapporto su questi rimpatri –‘Returning to Stability? Refugee returns in the Great Lakes region’ (Ritornare nella stabilitá? Il ritorno dei rifugiati nella regione dei Grandi Laghi– che contrasta con le versioni ufficiali di UNHCR, dimostrando che i rimpatri assistiti dall’Agenzia ONU non sono volontari.
Secondo il rapporto, frutto di dettagliate indagini svolte in Burundi e Tanzania, i rifugiati si trovano a vivere in un limbo legale, economico e umanitario assai precario e pericoloso. Si denunciano inoltre gravi violazioni dei diritti umani dei rifugiati burundesi al loro ritorno in Burundi, seri rischi per la loro incolumità fisica e la partecipazione nella fase di accoglienza, della milizia paramilitare Imbonerakure –famosa per il suo odio razziale e controllata dal gruppo terroristico ruandese Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), responsabile del genocidio in Ruanda del 1994. Queste violazioni dei diritti umani e le interferenze di milizie genocidarie non compaiono nei rapporti di UNHCR.
I rimpatri avvengono dai campi profughi tanzaniani di Nyarygusu, Nduta, Mtendeli, vicino alla frontiera. In Burundi sono stati allestiti centri di raccolta a Gisuru, Giharo, Nyanza-Lac e Kayogoro. Le testimonianze raccolte da IRRI presso i rifugiati evidenziano che questi ritorni non sono avvenuti su base volontaria, bensì a causa di forti pressioni fatte dal Governo tanzaniano che fanno presupporre l’uso della forza e della coercizione e vere e proprie deportazioni di massa attuate sotto la sorveglianza di Esercito e Polizia.
IRRI rivela che UNHCR avrebbe stretto accordi di collaborazione con i governi burundese e tanzaniano molto prima della data ufficiale dichiarata dall’Agenzia ONU. L’accordo tripartitico non sarebbe stato firmato nel marzo 2018, come sostiene nel comunicato stampa la portavoce Hughes, ma nell’agosto 2017. IRRI critica UNHCR per il consenso dato ai due governi nonostante fosse chiaro il rischio di rimpatri forzati. Accusa inoltre l’Agenzia ONU di aver prestato il fianco alla propaganda del sanguinario regime del dittatore Pierre Nkurunziza. «Il Burundi utilizza il ritorno dei rifugiati per dare una falsa impressione di stabilità di cui la crisi umanitaria scoppiata nel 2015 ne era la più evidente negazione. Al contrario il Paese si sta dirigendo verso il caos. Per quanto riguarda il Governo tanzaniano è evidente la sua determinazione a voler compiacere il regime burundese attraverso l’esercizio di forme di pressioni sui rifugiati per costringerli a ritornare.”
I rimpatriati interrogati denunciano il deterioramento della situazione umanitaria nei campi profughi in Tanzania gestiti da UNHCR. Viene loro impedito di esercitare qualsiasi attività economica. I servizi di base sono di pessima qualità. I profughi subiscono aggressioni se si avventurano fuori dai campi.
Se le politiche di assistenza e il mandato di protezione dei profughi viene negato nei campi in Tanzania al fine di spingerli al rimpatrio, la situazione una volta giunti in Burundi è peggiore. I rimpatriati accusano i dirigenti locali di trarre profitto del loro rientro, attuando vere e proprie estorsioni. Per accedere al ‘kit di ritorno’ offerto gratuitamente da UNHCR, i rimpatriati devono pagare alle autorità locali dai 2.000 ai 10.000 franchi burundesi. Molti di questi kit sarebbero addirittura distribuiti a familiari delle autorità o, peggio ancora, ai miliziani delle Imbonerakure. Queste estorsioni e furti sarebbero possibili grazie al fatto che le autorità locali (spesso strettamente collegate con il regime razziale) e alcuni responsabili politici delle Imbonerakure sarebbero state incaricate di redigere le liste degli aventi diritto ai kit, al posto di UNHCR.
Queste estorsioni sarebbero il primo passo verso un terrificante calvario che i rimpatriati devono affrontare. Il primo problema degli ex rifugiati, ritornati in Burundi, è l’abitazione. Al loro ritorno, infatti, scoprono che le loro case sono state distrutte o sono occupate da membri delle Imbonerakure e del partito al potere, il CNDD-FDD che addirittura figurano come beneficiari dei kit di ricostruzione offerti da UNHCR per riabilitare le case disastrate. Le difficoltà abitative vengono ammesse dalla stessa UNHCR. Secondo i dati forniti dall’Agenzia ONU, solo il 33% dei rimpatriati ha potuto rioccupare le abitazioni che possedevano prima di essere costretti a fuggire. Questa situazione evidenzia un’inspiegabile mancanza di assistenza umanitaria da parte di UNHCR che sarebbe inoltre a conoscenza dei soprusi inflitti ai rimpatriati senza reagire o protestare con le autorità burundesi.
L’assenza di assistenza umanitaria sembrerebbe il male minore dinnanzi alla esclusione socio–politica e ai rischi per l’incolumità fisica che i rimpatriati devono affrontare. Secondo le indagini di IRRI, i rimpatriati sono mal visti dalle autorità burundesi e dal regime che li sospettano di essere simpatizzanti dell’opposizione sia politica che militare. «Ci insultano e ci trattano come dei disertori, dei traditori. Dicono che abbiamo abbandonato il Paese nel momento più grave della crisi politica ed economica per ritornare pieni di soldi», testimonia un rimpatriato sotto protezione di anonimato. Le milizie Imbonerakure e i terroristi ruandesi FDLR sarebbero addetti alla sorveglianza dei rimpatriati. Oltre a controllare l’assistenza umanitaria offerta da UNHCR e la loro partecipazione alla vita pubblica, attuerebbero maltrattamenti, arrivando a proferire minacce di morte.
La situazione non è migliore nei campi profughi tanzaniani di Nyarygusu, Nduta, Mtendeli, come rivela il giornalista Pierre Claver Nionkuru (‘Voice of America’) sul sito di informazone ‘Info Grands Lacs’. Lo scorso 12 ottobre l’Ispettore Generale della Polizia tanzaniana Simon Siro, e Mechiade Ruceke (suo omonimo burundese), hanno firmato un accordo di sicurezza delle frontiere presso la città frontaliera di Kigoma che permette alle forze di sicurezza del Burundi di far irruzioni nei campi profughi in Tanzania per intercettare «malfattori che mettono a rischio la sicurezza nazionale del Burundi».
Questo accordo, palese violazione delle norme internazionali di protezione dei rifugiati, sarebbe giustificato secondo l’Ispettore Generale Simon Siro. «Siamo a conoscenza che alcuni rifugiati burundesi collaborano con dei cittadini tanzaniani per perturbare la pace in Burundi e in Tanzania. Consiglio a queste persone di smettere simili attività e di comportarsi come cittadini responsabili. Se non lo faranno li costringeremo noi. Sappiano che possono rischiare anche la loro vita. Come ha detto il nostro Presidente: ORA BASTA!», ha minacciato Simon Siro.
«La firma di questi accordi sulla sicurezza frontaliera non promettono nulla di buono per i rifugiati burundesi ospitati nei diversi campi in Tanzania. Abbiamo il timore che la Polizia burundese ne possa approfittare per fare incursioni all’interno dei campi e procedere a degli arresti o a delle esecuzioni extragiudiziarie», afferma un difensore di diritti umani burundesi al sito di informazione Info Grands Lacs.
Vari rifugiati temono che il Governo tanzaniano abbia aperto le porte anche ai miliziani Imbonerakure, permettendo loro di individuare e annientare gli oppositori politici che eventualmente si trovano all’interno dei campi su protezione internazionale di UNHCR. Questo timore sembra fondato, visto che prima dell’accordo agenti segreti burundesi e miliziani Imbonekure si infiltravano nei campi sotto mentite spoglie di rifugiati per redigere liste di sospettati.
La coalizione delle organizzazioni burundesi in difesa dei diritti umani ha avanzato a UNCHR una richiesta di monitorare e assicurare la sicurezza dei rifugiati burundesi che si trovano nei campi in Tanzania. Al momento attuale queste organizzazioni non hanno ricevuto alcuna risposta dall’Agenzia Umanitaria delle Nazioni Unite che ha il mandato di proteggere i rifugiati nel mondo.
Preoccupanti le denunce di vari media burundesi circa un ‘trattamento etnico’ che il regime riserverebbe ai rimpatriati dalla Tanzania.
I rimpatriati di origine hutu sono accusati di tradimento per aver lasciato il Paese, ma possono essere perdonati e accettati dalle autorità locali se promettono di collaborare con il partito al potere, il CNDD-FDD, a costruire una patria libera. Per chi accetta di iscriversi al movimento giovanile Imbonerakure (cioè di diventare un miliziano a tutti gli effetti e di essere addestrato militarmente dai terroristi ruandesi FDRL) il processo di reinserimento è immediato e viene risparmiata dai soprusi e dalle violazioni dei diritti civili.
Per i tutsi il trattamento è diverso. Il regime parte dal concetto che il Burundi deve diventare una Hutuland, un Paese a dominazione hutu, dove i tutsi sarebbero tollerati se non si ribellano ma considerati dei paria, dei cittadini di seria B, soggetti alla benevolenza delle autorità hutu. I rimpatriati tutsi devono dimostrare alle autorità burundesi e alle Imboberakure la loro buona fede ad accettare la nuova realtà sociale che si vuole imporre loro e la dominazione razziale hutu. Saranno successivamente sorvegliati con costanza per verificare che la loro sottomissione sia genuina e non tramino con le forze ‘eversive’ in esilio che vogliono destabilizzare il Burundi e re-instaurare un regime tutsi, come all’epoca del ex Presidente Pierre Buyoya. Secondo vari media e associazioni burundesi in difesa dei diritti umani, giovani rimpatriati di origine tutsi rischierebbero di e ssere trucidati dalle milizie Imboneakure e dai terroristi ruandesi FDLR appena oltrepassata la frontiera burundese. Nobert Sango, autore presso ‘Burundi Information net’ (un sito di informazione sul Burundi e monitoraggio delle pulizie etniche e rischi di genocidio) pulizie etniche di giovani rimpatriati tutsi sarebbero già avvenute presso le località di Kirundo e Bugesera nell’ottobre 2018. Varie decine di giovani tutsi sarebbero stati arrestati dalle Imborakure al loro rientro dal campo profughi di Mahama (Rwanda). Accusati di essere dei ribelli sarebbero stati abbattuti dalle milizie genocidarie e gettati in fosse comuni scavate nella adiacente riserva naturale di Murehe. Secondo l’autore dell’articolo, il massacro avvenuto nell’ottobre 2018 sarebbe solo la punta dell’iceberg di una sistematica eliminazioni di giovani tutsi che rientrano nel Paese. ‘L’Indro’ non è riuscito a verificare se questa denuncia corrisponde al vero, ma vi è da notare che i giovani tutsi presenti nei campi profughi in Tanzania non vogliono ritornare nel loro Paese e molti tentano di abbandonare i campi profughi per raggiungere Paesi limitrofi considerati sicuri.
‘L’Indro’ contatterà la portavoce UNHCR per l’Est Africa, Corno d’Africa e Grandi Laghi, Dana Hughes, il portavoce mondiale UNHCR per Africa, Asia e Pacifico, Babar Baloch, e il portavoce mondiale UNHCE dipartimento Migrazione Mista Mediterraneo e Africa, per verificare se le accuse mosse dalla Associazione International Refugee Rights Initiative (IRRI) e da altre associazioni burundesi in difesa dei diritti umani, abbiano o meno fondamento, e per comprendere come si concilia il mandato internazionale di UNHCR della protezione dei rifugiati con queste allarmanti notizie relative al trattamento riservato ai rifugiati che rientrano in Burundi.
Concludendo, si deve notare che la comunità internazionale sembra restia a finanziare le attività UNHCR in Burundi per ragioni che non conosciamo. Nel 2018 l’Agenzia ONU ha ricevuto solo il 33% dei fondi richiesti, 129 milioni di dollari su 391 milioni richiesti. Recentemente il Governo burundese ha aperto una conflittuale diatriba con UNHCR, accusandola di gonfiare artificialmente il numero di sfollati interni, rifugiati e rimpatriati per ottenere maggior finanziamenti dalla comunità internazionale.
Nel sito ufficia di UNHCR i responsabili dell’agenzia affermano che il loro operato di assistenza ai rifugiati e rimpatriati è in linea con le linee guide e procedure internazionali descritte nel documento ‘Quadro completo di risposta ai rifugiati’, ribandendo che UNHCR assiste solo i rimpatri effettuati su base volontaria, assicurandosi che i rifugiati ritornati nel loro Paese siano protetti e capaci di ricostruirsi un futuro.