Lo scorso luglio, il presidente cinese Xi Jinping, accompagnato da 250 imprenditori cinesi, si era recato in Argentina, per siglare contratti d’investimenti in diversi settori dell’economia del Paese sudamericano. In quella stessa occasione, la presidente Cristina Fernandez, aveva ottenuto anche qualcosa di più importante: un credito swap di undici miliardi di dollari al paese, un accordo che prevedeva un prestito fino a un massimo di un miliardo di dollari.
Oggi la buona notizia per l’Argentina è che il Paese del Dragone ha mantenuto la promessa. Contro tutti i pronostici e le diffidenze espresse dagli economisti legati dall’opposizione, infatti, la banca centrale Argentina, ha ricevuto l’equivalente di 814 milioni di dollari in yuan rendendo così operativo l’accordo di currency swap firmato tra i due Paesi nel luglio scorso. Entro la fine dell’anno, Pechino erogherà a Buenos Aires 800 milioni di dollari, contrariamente agli undici miliardi ipotizzati a luglio.
In conformità a quest’accordo la banca centrale argentina potrà inoltre richiedere «fondi addizionali per undici miliardi di dollari – si legge in una nota emessa dall’istituto di Buenos Aires – che agisce come sostegno per attuare le politiche finanziarie, monetarie e di scambio». Un mega prestito, con un tasso annuo del 6-7% e rinnovabile alla fine del triennio che consolida maggiormente la relazione tra i due Paesi.
La Cina oggi è il maggior mercato di esportazione dell’Argentina di prodotti agricoli e il secondo maggiore partner commerciale. Solo negli ultimi mesi, il ministro per la Pianificazione argentino, Julio de Vido, ha presentato quattordici nuovi progetti d’infrastrutture del valore di quasi 17.000 milioni di euro. In particolare, tra le altre cose, la costruzione di quattro dighe idroelettriche nella provincia di Neuquén.
Nel 2009 era stato già stato firmato un accordo simile a quello siglato pochi giorni fa e per un controvalore di 10,2 miliardi di dollari. Questa volta però gli ultimi trattati bilaterali, e soprattutto il currency swap, hanno un profondo significato politico più che economico. Il contratto “swap”, infatti, arriva in una fase molto delicata per gli equilibri finanziari del pianeta e per la stessa Argentina entrata in default tecnico per non aver pagato 1,33 miliardi di dollari agli Hedge fund, cosa che ha inoltre compromesso l’accesso del paese all’intero mercato di capitali. Grazie a questo salvagente cinese, quindi, l’Argentina potrà forse contrastare l’ostilità dei mercati finanziari americani dopo la dura sentenza emessa dal giudice Griesa.
In questo senso, è importante ricordare l’appoggio dato dalla banca popolare cinese all’Argentina nella sua battaglia contro i fondi creditori americani. Forse per l’Argentina non si tratta di una soluzione definitiva ai suoi problemi, visto che le sue riserve sono scivolate a 28,4 miliardi di dollari e che non ha accesso al mercato del credito internazionale per rifinanziare il suo debito. Ma sicuramente, questo mega prestito può essere una boccata di ossigeno se si pensa al semi-isolamento internazionale a cui l’economia del paese sud americano è andata incontro negli ultimi tempi per non cedere alle pretese degli Hedge fund.
Come ai tempi del primo fallimento, causato dalle nefande mosse dell’allora presidente Carlos Saul Menem, che mantenne un tasso di cambio fisso un peso –un dollaro per più di dieci anni il quale implicò una fortissima restrizione economica svuotando il paese della sua industria e portandolo a una dura recessione, ancora una volta, l’Argentina spera di trovare nella Cina un’ancora di salvezza.
Così come allora, quando la rinascita economica arrivò dalla soia, l’esportazione più redditizia per l’Argentina, ora il paese del Dragone diventa fondamentale per il governo di Cristina Fernandez de Kirchner, scalzando in questo modo gli USA e l’Unione Europea dalla prima posizione come partner commerciali. Le relazioni tra i due Paesi sono molto forti e vanno oltre il commercio. La Cina è diventata la terza maggiore fonte dell’Argentina di capitale e gli investimenti cinesi (al di fuori del settore finanziario) hanno toccato sette miliardi di USD. Tuttavia, è bene precisare che, la consolidazione dei legami con il Paese asiatico non riguarda solo l’Argentina. Se i mercati latino-americani in passato si focalizzavano su Stati Uniti ed Europa, gran parte del potenziale del commercio oggi è rappresentato dall’Asia e la Cina è diventata oggi il 2 partner commerciale e il 3 investitore dell’America Latina.
Lo scorso Luglio, Xi Jinping, ha iniziato un tour che è continuato in Argentina, Cuba e Venezuela. Con quest’ultimo, di cui la Cina è ormai il secondo partner commerciale dopo gli Usa, ha rinnovato una linea di credito per quattro miliardi di dollari, firmando trentotto accordi. Ciononostante, i principali osservatori argentini di politica internazionale, soprattutto quelli più vicini all’opposizione, ricordano la particolarità e l’incertezza del contesto internazionale, ben diverso da quello del 2001.
L’Argentina, avvertono, si trova in una fase particolare della sua politica estera e del suo inserimento nel sistema internazionale. Anche se il paese s’incammina con maggiore intensità verso l’Asia, non può trascurare le relazioni con gli Stati Uniti. In effetti, gli accordi di “Vaca Muerta”con Chevron, l’azienda petrolifera statunitense, il trattato con Repsol e i negoziati con il Club Paris, dimostrano ancora una volta la dipendenza dell’Argentina dagli Stati Uniti e dall’Europa. Numerosi esperti considerano che il riavvicinamento del Paese sud-americano con gli Stati Uniti sarebbe dovuto ad un riconoscimento tardivo, da parte del governo, della continua importanza mondiale di Washington. L’obiettivo sarebbe inoltre quello di mantenere in vita un governo ormai screditato e agli sgoccioli fino alla fine del mandato.
I difensori di questa tesi assumono che la persistenza, nonostante gli oscillamenti e la crisi, di un mondo statico dove la distribuzione globale del potere, della ricchezza e dell’influenza, si localizza ancora negli Stai Uniti. Il locus egemonico del sistema, quindi, continua a concentrarsi nel nord America e l’Argentina dovrebbe stare attenta a non trascurare le relazioni con i suoi storici alleati.
Una visione alternativa a questa invece è quella di Juan Gabriel Tokatlian, sociologo argentino e professore degli Studi Internazionali presso l’Università Torcuato di Tella. “Una parte importante e decisiva del governo argentino e dello staff che accompagna la presidente, considera che la redistribuzione globale del potere e della ricchezza, sia un fatto evidente e inesorabile e quindi l’Argentina deve spostare le coordinate e la misura della sua politica estera, visto che la trasformazione globale è di natura geopolitica”. La necessità domestica del governo di arrivare alla fine del mandato, spiega il professore, nel bel mezzo di una condizione socio-economica delicata, che fa risorgere la questione del debito e il fantasma del default, spinge l’amministrazione a tornare in Occidente. Ma questo ritorno, in campo economico, significherebbe probabilmente un allontanamento. In altre parole, un chiudere i conti, che ha come unico obiettivo ricevere massicci flussi di finanziamento.
Per Tokatlian, quindi, i legami con l’Oriente, che andrebbero oltre il commercio con la Cina, non sarebbero circostanziali o “per militanza”. Sono la conseguenza di una decisione centrale che in un sistema globale riconfigurato, mira a dare all’Argentina un posto e un ruolo più importante. Se questa lettura è vera, conclude il sociologo, la presenza di Xi Yinping e gli impegni presi, devono essere valutati in modo più rigoroso, e con maggiore lucidità. In atre parole è ora di cambiare formula.
Con riferimento all’America Latina in generale, il professore afferma che se in passato l’influenza della Cina nella regione è stata ridotta a una diplomazia culturale marginale caratterizzata da motivi ideologici e in conformità a un’aspettativa rivoluzionaria, oggi invece il suo protagonismo si deve a motivi ben diversi. Il Paese asiatico, nella sua posizione di leader mondiale, non ha alcun interesse di competere con gli Stati Uniti. L’obiettivo del Dragone sarebbe piuttosto un consolidamento di carattere regionale per poi raggiungere un’importanza internazionale. A questo punto Tokatlian afferma che, data la presenza di due potenze dominanti nella regione, il rapporto tra l’America Latina, la Cina e gli Stati Uniti hanno un carattere trilaterale, anche se non cooperativo. Ogni volta che aumenta il potere e l’influenza delle due potenze, l’America Latina mantiene il suo status di subordinazione alle politiche estere dei due giganti.