giovedì, 23 Marzo
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Una famiglia di cinghiali nelle fauci dell’uomo primitivo

L’eccidio, mi spiace ma non riesco a utilizzare un altro termine, della famigliola di cinghiali da parte della Polizia municipale di Roma, avvenuto la scorsa settimana all’interno di un parco pubblico, dov’era rimasta imprigionata, interpella in modo ruvido la nostra umanità, spesso facilona e dormiente. La stessa che ci rende colpevoli di prendere per buono tutto ciò che viene trasmesso dalla tradizione, come se questa fosse una divinità, spingendoci a gerarchizzare ad arbitrio e senza rispetto i diritti delle creature viventi.

Una ‘specie assassina’, come ci definisce qualcuno, incapace di riflettere sull’essenza del suo rapporto con gli animali, esseri viventi che, esattamente come noi, cercano di mantenere la propria esistenza, svolgendo i compiti che la natura assegna loro.
Penso a quella madre coi sei cuccioli, che stava cercando, come una qualsiasi madre umana, di sfamare le sue creature andando a cercare il cibo dove presumeva ve ne fosse. Agiva quell’innocenza che noi abbiamo smarrito, ma che gli animali conservano come una sana vestigia, ignari di quanto possa costare cara se letta da occhi involuti.

Difficile trovare una conciliazione rispettosa di tutte le parti in causa, se non ci porremo con serietà la questione della nostra alimentazione, perché l’equivoco parte proprio da questa contraddizione. Ciò che posso mangiare mi appartiene, possono farne ciò che voglio, in fondo è solo cibo.

Chiedo alle persone che mi leggono come si sentirebbero se qualcuno entrasse a casa loro, proprio a casa loro, è cominciasse a cibarsi dei loro figli o li prendessero a fucilate perché avevano sostato vicino a un parco giochi. In genere a questa obiezione si contrappone il classico richiamo alla tradizione, gli uomini mangiano la carne dalla notte dei tempi, così si dice. Peccato che la notte dei tempi fosse pieno giorno dell’ignoranza, il fulmine allora non era un fenomeno elettromagnetico, bensì la manifestazione della divina volontà. La tradizione è sempre utile quando mancano gli argomenti e si vogliono chiudere gli occhi.

L’umanità, privata della compassione verso ciò che vive fuori dalla soglia di casa, è destinata a sperimentare tutte le nefandezze possibili e a estinguersi prima del tempo.

La compassione, come accade al magnetismo e all’elettricità, è una treccia continua, non può esistere a comparti, nell’istante preciso in cui cominciamo a settorializzarla, escludendo dal suo raggio le altre creature, fatalmente arriveremo a fare le stesse cose con l’uomo.
Il secolo appena trascorso avrebbe molto da insegnarci in proposito, in questo senso lo sterminio di quella famigliola di cinghiali mi pare in buona continuità con le violenze tra umani.

Non si diventa vegetariani per ragioni dietetiche o puriste, è una rinuncia che sul tempo non regge, perché manca di un basamento solido, solo una scelta etica può diventare duratura. Non posso mangiare un’altra creatura il cui unico torto è quello di avere preso una strada evolutiva diversa da quella che porta fino a noi.

Non posso mangiare un animale dopo averlo martoriato in allevamenti indegni persino delle civiltà più rozze, rendendolo infelice e sottoponendolo a sofferenze atroci. Non posso mangiare un animale, semplicemente perché è un arbitrio, ma fino a quando mi limiterò a vederlo solo come cibo non c’è speranza.

Non mi si venga a dire che i cinghiali di Roma sono stati uccisi per motivi di sicurezza, perché un’associazione animalista aveva dato la disponibilità a prenderli in carico, la ragione è più profonda, e riguarda la nostra aggressività, sublimata in mille modi ma sempre pronta a scattare, contro qualsiasi cosa si muova, soprattutto se priva di diritti, se è un semplice alimento. Ci sono persone intimamente violente, che colgono ogni pretesto per dare sfogo ai propri istinti aggressivi, soprattutto quando un soggetto pubblico, come un Comune, legittima tali istinti, offrendo la possibilità di accanirsi contro delle povere bestie innocenti.

L’uccisione di quella famiglia di cinghiali è un crimine contro la vita, ma anche contro la nostra dignità, violata da decisioni così primitive da lasciarci sgomenti. Un brutto crimine, non troppo diverso dall’omicidio di Willy, la linea evolutiva è la medesima.
Schermarsi dietro ragioni più o meno giustificabili non lo rende meno crudele e disumano.

In quella Regione c’è un Presidente progressista, in quella città c’è una Sindaca che non è certo una picchiatrice fascista. Purtroppo, non ce ne siamo accorti. Pigrizie culturali, inquietanti pigrizie culturali, di un progressismo che non fa nulla per somigliare a una vera novità, e ci fa domandare se per caso non siamo degli inguaribili ingenui a fidarci ancora. Non saprei fino a quando basterà la paura della destra a mettere in cassaforte dei cittadini più accorti, il rischio è che se il crinale si assottiglia troppo, persino loro potrebbero stancarsi.

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