In Ucraina, “gli attacchi devono cessare e, qualunque siano le condizioni e le aspettative per i negoziati, dovrebbe essere data loro una possibilità. Il Presidente Recep Tayyip Erdogan ha già trasmesso questa proposta sia a Putin che a Zelensky. Ieri, in una telefonata con Zelensky, il Presidente dell’Ucraina ha ribadito di nuovo di essere pronto a incontrare Putin a Istanbul, Ankara, o dove vuole. Il nostro Presidente aveva già consegnato questo messaggio a Putin” – ha affermato il portavoce presidenziale Ibrahim Kalin ai microfoni di ‘Trt Haber’ – “Continueremo il nostro lavoro in questa direzione. Avere un tale incontro avrà necessariamente un effetto positivo sulla guerra, riducendone l’intensità, riducendone le perdite. Come Turchia, siamo pronti a fare la nostra parte”, ha spiegato Kalin, annunciando un possibile colloquio telefonico domani tra Erdogan e Putin.
Sempre oggi, nelle stesse ore pomeridiane in cui il Premier israeliano Naftali Bennett era a Mosca in missione presso il Cremlino, il Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha parlato al telefono con il collega russo Sergej Lavrov, ma anche con il proprio omologo ucraino Dimitry Kuleba. Entrambi le telefonate utilizzate per fare il punto sugli ultimi sviluppi derivati dall’attacco russo contro l’Ucraina, ma anche indicative del ruolo di mediatore che Ankara vorrebbe giocare. L’occasione per un tavolo in territorio terzo, secondo il governo ucraino, potrebbe essere il Forum diplomatico in programma ad Antalya, in Turchia, l’11 marzo.
Contemporaneamente, il Vice Segretario di Stato americano Wendy Sherman è impegnata in un tour di una settimana che la porterà in Turchia, Spagna, Marocco, Algeria ed Egitto. A farlo sapere è stato lo stesso Dipartimento di Stato, che, annunciando l’incontro di Sherman con l’omologo turco, Sedat Onal, ha reso noto che sul tavolo ci saranno la “premeditata, ingiustificata, immotivata, invasione dell’Ucraina” e gli “interessi comuni di Turchia e Stati Uniti nel sostenere l’Ucraina”. L’incontro seguirebbe una telefonata del Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu con l’omologo americano Anthony Blinken.
Va detto che la Turchia, come altri Paesi mediorientali, non ha mai nascosto il suo attivismo diplomatico nella ricerca di una mediazione tra Russia e Ucraina, che evitasse l’attacco russo. Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha visitato l’omologo ucraino Volodimir Zelensky lo scorso 3 febbraio e ribadito piu’ volte il sostegno della Turchia all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina, ma ha ammesso il fallimento del tentativo da lui stesso imbastito a febbraio di organizzare un vertice a tre a Istanbul cui avrebbero partecipato i presidenti di Russia e Ucraina e definito la guerra in corso “un incubo che è divenuto realtà”.
Il Presidente turco insiste per incontrare il collega russo Vladimir Putin per tentare di convincerlo a desistere dall’invasione che lo stesso Erdogan non si è tirato indietro dal condannare, definendola “inaccettabile”: “Non rinunceremo nè alla Russia né all’Ucraina, ma continueremo a difendere l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina”.
A pochi giorni dall’inizio delle ostilità, Zelensky aveva messo in imbarazzo Erdogan con un tweet nel quale ringraziava Ankara per aver chiuso gli Stretti del Bosforo e del Dardanelli al passaggio di navi da guerra russe, decisione che, in realtà, la Turchia si era tenuta ben lontana dal prendere.
Per quanto grave sia la guerra in Ucraina, un accordo internazionale firmato nel 1936 impedisce che peggiori ulteriormente: è la Convenzione di Montreux che conferisce alla Turchia il controllo sulla via d’acqua tra il Mar Nero, sede di una grande forza navale russa , e il Mar Mediterraneo e oltre. Essa pone dei limiti al passaggio di navi civili e militari da guerra attraverso i Dardanelli e lo stretto del Bosforo, che con il Mar di Marmara tra loro formano il collegamento marittimo tra il Mar Nero e il Mediterraneo. L’accordo internazionale è stato firmato da Australia, Bulgaria, Francia, Grecia, Giappone, Romania, Jugoslavia, Regno Unito, Unione Sovietica e Turchia ed è in vigore dal novembre 1936.
Quattro sono le disposizioni chiave della Convenzione di Montreux CheBanda regolano quali navi possono entrare nel Mar Nero in tempo di guerra:
- La Turchia può chiudere lo stretto alle navi da guerra di parti belligeranti in tempo di guerra o quando la Turchia stessa è parte in guerra o minacciata dall’aggressione di un’altra nazione.
- La Turchia può chiudere lo stretto alle navi mercantili appartenenti a paesi in guerra con la Turchia.
- Qualsiasi paese con costa sul Mar Nero – Romania, Bulgaria, Georgia, Russia o Ucraina – deve notificare alla Turchia con otto giorni di anticipo la sua intenzione di inviare navi da guerra attraverso lo stretto. Altri paesi, quelli che non si affacciano sul Mar Nero, devono dare alla Turchia un preavviso di 15 giorni. Solo le nazioni del Mar Nero possono inviare sottomarini attraverso lo stretto , solo con preavviso e solo se le navi sono costruite o acquistate al di fuori del Mar Nero.
- Solo nove navi da guerra possono passare attraverso lo stretto alla volta e ci sono limiti alle dimensioni delle navi, sia individualmente che in gruppo. Nessun gruppo di navi può superare le 15.000 tonnellate . Le moderne navi da guerra sono pesanti, con fregate di circa 3.000 tonnellate e cacciatorpediniere e incrociatori di circa 10.000 tonnellate. Le moderne portaerei sono troppo grandi per essere attraversate e comunque non sono consentite dalle regole turche.
La Turchia ha già utilizzato i poteri della Convenzione in precedenza. Durante la seconda guerra mondiale, la Turchia chiuse lo stretto alle navi da guerra appartenenti alle nazioni combattenti. Ciò ha impedito alle potenze dell’Asse di inviare le loro navi da guerra ad attaccare l’Unione Sovietica e ha impedito alla marina sovietica di partecipare ai combattimenti nel Mediterraneo . Nella situazione attuale, che pone il governo turco in una posizione difficile , poiché sia l’Ucraina che la Russia sono partner importanti negli accordi commerciali energetici e militari, la Turchia ha deciso di applicare “letteralmente” si è avvalsa della facoltà che le attribuisce la Convenzione, permettendo solo il passaggio di navi militari registrate presso i porti del Mar Nero, solo una da quando è iniziato il conflitto e negando il nulla osta a 3 navi dirette verso le basi navali russe. Ma, fino a quel momento, navi e sottomarini erano già passati nelle settimane precedenti l’inizio del conflitto.
Inoltre, la Turchia si è astenuta dalle sanzioni decise dal Consiglio d’Europa nei confronti di Mosca – che sia Erdogan che il Ministro degli Esteri turco Cavusoglu hanno definito ‘inutili e controproducenti’ – non ha chiuso lo spazio aereo alla Russia, ma ha votato a favore della risoluzione di condanna dell’invasione russa in sede ONU.
Negli ultimi giorni, il Presidente turco ha sferzato l’Ue, che ha aperto all’integrazione dell’Ucraina dopo il discorso di Zelensky al Parlamento Europeo: “Li hanno tenuti in attesa per anni e ora si ricordano dell’Ucraina, forse aspettano che qualcuno invada la Turchia per farci entrare in Europa” che, a suo dire, è “inefficace, priva di visione comune”. Ha preso di mira anche la NATO definendola ‘indecisa e non incisiva’.
Contro l’Alleanza Atlantica si è scagliato anche l’imprenditore turco Ethem Sancak – ritenuto in stretto contatto con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan – che all’emittente RBC ha dichiarato: “Il conflitto tra Ucraina e Russia non deriva dalle relazioni tra i due Paesi” che condividono una parte di storia e cultura, ma “dalla NATO, dalla sua espansione”. In questo senso – ha evidenziato – le tensioni tra Mosca e Kiev sarebbero aumentate perché l’Ucraina “ha deviato dal suo processo storico” andando verso la NATO, di cui è diventata il “burattino”, ma che sarebbe un’organizzazione “usata dagli Stati Uniti come strumento per promuovere la loro egemonia”, con l’utilizzo di concetti come democrazia, agitati in modo discrezionale. “Tutti quelli che chinano la testa all’Occidente diventano immediatamente umani, democratici, rispettosi dei diritti umani. Ma quelli che, al contrario, proteggono i loro interessi nazionali diventano trasgressori della legge: Si mostrano come umani, ma sappiamo come in Iraq, per esempio, in 3 giorni hanno inventato una bugia e condotto un’operazione che ha causato la morte di tre milioni di persone”. Sempre a detta di Sancak, l’operazione russa sta procedendo lentamente “in modo che non ci siano vittime civili”, mentre Mosca sta anche “ogni giorno dando all’Ucraina la possibilità di cambiare idea” sulla sua possibile adesione alla NATO perché “l’obiettivo della Russia è che l’Ucraina non diventi un paese NATO e questa opportunità esiste ancora”.
“La Russia è il partner strategico della Turchia per il futuro”, ha osservato Sancak, ma, in realtà, quella che abbiamo visto svilupparsi nel corso degli anni è stata una relazione continuamente oscillante tra la collaborazione e la competizione, ma fortemente sbilanciata a favore di Mosca: la Russia, infatti, si attesta il terzo partner commerciale della Turchia, dopo Germania e Cina, con uno scambio dal valore di 34,7 miliardi di dollari nel 2021, ma anche il secondo fornitore dopo la Cina con 29 miliardi di dollari di importazioni turche e solo 6 miliardi di dollari di esportazioni turche. Occorre poi ricordare il fattore turistico visto che sono russi una parte importante dei turisti che ogni anno visitano la Turchia: solo nel 2021, sono stati 4,7 milioni, il 19% del totale.
Ma a farla da padrone nel rapporto economico tra i due Paesi è il dossier energetico: la Turchia dipende dalla Russia per il 33% del fabbisogno di gas (che arriva attraverso i gasdotti che corrono sotto al Mar Nero, Blue Stream e del TurkStream) una quota alta, ma dimezzata rispetto a 10 anni fa anche grazie alle forniture azere, la cooperazione energetica su è allargata al nucleare, in nome della quale la società russa Rosatom sta costruendo la prima centrale nucleare turca nell’Anatolia meridionale, in grado di produrre circa il 10% del fabbisogno di elettricità del Paese a partire dal 2025.
Superate le crisi dell’aereo russo abbattuto dai turchi al confine siriano e dell’ambasciatore Karlov assassinato ad Ankara, parallelamente alla collaborazione/contrapposizione in teatri di crisi come la Siria, la Libia o il conflitto per il Nagorno-Karabach tra Armenia e Azerbaigian, la Turchia si è poi rivolta a Mosca nel 2019 per acquistare il sistema di difesa missilistico russo S-400. Un vero sgarbo alla NATO costato ad Ankara l’imposizione di sanzioni da parte americana oltre che l’espulsione dal programma F-35.
Come ai tempi dell’Impero ottomano, l’Ucraina è, invece, importante per la Turchia per ridurre la pressione russa sul Mar Nero: questo spiega la riottosità turca a riconoscere l’annessione russa della Crimea, ma anche la crescita del rapporto commerciale con turco-ucraino: secondo la Camera di Commercio di Istanbul (Ito), nel 2021 il volume commerciale superava i 7,4 miliardi di dollari Usa e nel 2022 l’obiettivo è raggiungere i 10. Solo nell’ultimo incontro avvenuto il 3 febbraio sono stati firmati ben 8 accordi commerciali tra Erdoğan e Zelensky. La collaborazione tra i due Paesi è in forte espansione, soprattutto nel campo militare. Dal 2014, le compagnie di difesa turche sono state sempre più impegnate in Ucraina e nel 2019 hanno venduto al Paese droni che gli ucraini considerano significativi nel rallentare l’avanzata russa. La Turchia ha venduto all’Ucraina i droni armati di ultima generazione Baykar TB2, poi usati dall’esercito di Kiev nella crisi del Donbass negli ultimi anni e che continuano a creare non pochi danni c all’esercito russo anche negli ultimi giorni. Circostanza che ha infastidito Putin non poco, anche alla luce del fatto che i droni TB2 vengono ora prodotti direttamente in Ucraina nell’ambito della collaborazione tra i due Paesi. La Baykar ha iniziato ad investire in Ucraina acquistando un terreno è stato acquistato non lontano dalla base militare di Vasylkiv e avviando una collaborazione per la fornitura di turbopropulsori con la ucraina Motor Sich..
Il tema è tornato ultimamente molto spinoso quando John Kirby, il portavoce del Ministero della Difesa nazionale statunitense, ha sostenuto, il 4 febbraio, durante l’ordinaria conferenza stampa, che Mosca si stava preparando per divulgare un finto video in cui avrebbe sostenuto che i droni turchi comandati da Kiev avrebbero colpito le postazioni russe così la Russia avrebbe legittimato un eventuale intervento militare in Ucraina.
Va poi ricordato che sono ucraini 2.2 milioni di turisti annualmente visitano la Turchia, ma anche che l’attenzione turca all’Ucraina è anche conseguente a quella rivolta ai tartari, una minoranza di lingua turca e musulmana che costituisce circa il 10% della popolazione della penisola di Crimea, anche se una diaspora tartara consolidata e politicamente impegnata si trova anche in territorio anatolico.
L’equidistanza e la mediazione, dunque, e il no alle sanzioni sarebbe la via scelta da Ankara, ma anche comprensibilmente: come per tutto il resto del mondo, anche la Turchia subirà gli effetti della guerra, con forti rialzi del prezzo del petrolio, del gas, ma anche del grano (che importa, come gran parte dai Paesi europei, da Russia e Ucraina). Solo che, con un’inflazione già ufficialmente al 55% e la lira turca che nel 2021 ha perso il 45% del proprio valore rispetto al dollaro che hanno già causato bruschi rialzi dei generi alimentari e dei trasporti, la guerra tra due grandi partner di Ankara è il colpo di grazia per una parte della popolazione, ma, potenzialmente, anche per la leadership di Erdogan in vista delle elezioni del 2023: la Confindustria turca stima le perdite per la Turchia dovute alla guerra tra i 35 e i 50 miliardi di dollari a cui andrebbero sommate le perdite nel settore turistico, che costituisce il 13% del PIL turco.

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