«Guardare il mondo dalla Cupola è indescrivibile», ha detto durante la missione VOLARE Luca Parmitano incantato, alla straordinaria finestratura costruita dall’industria italiana e posta come punto di osservazione sulla Stazione Spaziale Internazionale. Altri toni avranno avuto gli analisti, quando hanno scoperto una inoppugnabile realtà nel villaggio di Vynohradne, alla periferia di Mariupol. Forse i resti di mille corpi umani raccolti in anonimi sacchi neri e allineati lungo angusti fossati, sono il reale riscontro alle parole del Primo Ministro ucraino, Denys Shmyhal: «La peggiore catastrofe di questo secolo». La comunicazione del consiglio comunale della città dell’oblast’ di Donec’k è stata senza equivoci: «Le immagini satellitari del 20 aprile mostrano una fossa comune lunga 45 metri e larga 25».
Quello che è stato riportato dal sindaco di Mariupol è -dunque- la descrizione di una serie di figure riprese in sequenza di diverse settimane a 12 chilometri a est del grosso centro abitato, adagiate a scavi e trincee parallele accanto al cimitero della città.
La rivisitazione sistematica dei satelliti in orbita ha mostrato la dinamica degli interventi che hanno mutato le estensioni esterne ai perimetri del recinto funerario, con una necropoli approntata in pochi giorni. Per giungere ad una conclusione che non lascia a dubbi, gli addetti alle ricerche hanno lavorato sulle immagini ottiche provenienti dallo spazio, indicando tutte le varianti rilevate ad ogni passaggio. Poco dopo aver stabilito le prove documentarie, dal braccio armato della Casa Bianca si è fatto in modo di divulgare qualche contenuto all’opinione pubblica per consentire la condivisione delle nuove spese militari. E infatti già il 4 aprile scorso il New York Times ha pubblicato con cura i primi dettagli sulla moltiplicazione delle buche in poco più di 4.000 metri quadrati di spazi pianeggianti.
L’azienda che ha elaborato queste informazioni è la Maxar Technologies, che ha sede in Colorado; a costituirla nell’anno in cui Neil Armstrong e Buzz Aldrin sbarcavano sulla Luna, furono il canadese di prima generazione John S. MacDonald e il suo socio Vern Dettwiler in uno scantinato di Vancouver. Nel 1993, sia pur con altri brand, la società dei due giovani imprenditori è stata la prima ad avere ottenuto una concessione dal governo americano per lanciare satelliti di osservazione della terra con una risoluzione più bassa del metro lineare. Ovvero, per quei tempi, un’alta capacità di definire dettagli nella rilevazione a distanza spaziale. Nel 2017 poi Maxar ha riconfigurato la sua denominazione attuale, lasciando le attività canadesi del programma Lunar Gateway guidato dalla NASA al fondo di investimento Northern Private Capital e concentrando i propri interessi in contenuti geospaziali e immagini terrestri. Oggi, secondo i più informati, la società satura il 90% del fabbisogno dei reporting visivi al governo degli Stati Uniti in materia di sicurezza nazionale.
Il suo satellite di punta è WorldView-3 che, operando da un’altitudine di 617 chilometri, offre una risoluzione pancromatica di 31 centimetri -che presumibilmente si annovera al momento la minima distanza rilevata dai sensori tra due oggetti- con un tempo medio di rivisitazione inferiore a un giorno raccogliendo fino a 680.000 chilometri quadrati di suolo.
Maxar fa poi orbitare i suoi satelliti in costellazione, per cui si può immaginare la potenza delle informazioni che ne ricava e che non riguardano solo la sfera militare. L’azienda italiana Planetek, fondata dallo scienziato barese Giovanni Sylos Labini per esempio, acquista i prodotti della casa americana per attività commerciali e scientifiche.
Ma come dicevamo, Maxar con altri fruitori di immagini, sono elementi chiave in questi momenti così drammatici della vita sulla regione europea.
Questa guerra, probabilmente maturata per ridefinire un dominio territoriale della Russia lungo i suoi confini più nevralgici, ci sta facendo ripercorrere una storiografia che avevamo cercato di dimenticare e forse ci sta evidenziando che non è stata sufficiente l’unificazione economica più che politica per impedire che sul Vecchio Continente si riaccendessero le vecchie micce del passato.
Siamo consapevoli che è troppo presto per offrire la lettura di una storia che ancora non si è conclusa. Una delle lezioni che, tuttavia, abbiamo tratto fino ad ora è che l’intelligence geospaziale non è più monopolio delle amministrazioni della Difesa dei vari Paesi: oggi la necessità di reperire immagini in tempo reale ha costretto per prima la roccaforte del Pentagono e poi gli enti analoghi di più modeste dimensioni ad usufruire del supporto delle imprese private nell’acquisizione di servizi per monitorare costantemente i campi di battaglia, così come i luoghi in cui avvengono calamità apprezzabili dalla sensoristica più spinta. Ruoli congruenti con i mandati istituzionali. Lo consideriamo un passaggio molto importante che modifica sostanzialmente la dottrina militare più spregiudicata, consentendo alle industrie non controllate finanziariamente dai governi il consolidamento di know-how strategici quali l’alta risoluzione delle immagini. Per quanto valgano gli accordi blindati di riservatezza e di divieto di commercializzazione, fino a che punto delle imprese commerciali osserveranno gli obblighi così appetibili da eventuali acquirenti privati che potrebbero utilizzare i dati per finalità proprie o addirittura nocive alla sicurezza pubblica?