Sebbene il tema di una possibile ammissione dell’Ucraina alla NATO rappresenti – almeno nelle dichiarazioni – il principale oggetto del contendere fra la Russia e l’Alleanza atlantica, la possibilità che Kiev acceda nel breve periodo ai benefici del sistema di sicurezza collettiva appare – nella migliore delle ipotesi – remota. Le ragioni di questo stato di cose sono molteplici. Nonostante sia inserita nel programma ‘Partnership for peace’ sin dalla metà dagli anni Novanta e nonostante abbia collaborato ‘sul campo’ ad alcune missioni ‘fuori area’ dell’Alleanza, l’Ucraina è considerata, dai suoi possibili partner, più un ‘consumatore’ che un ‘produttore’ di sicurezza. Anche se, negli ultimi tempi, le cose sono cambiate, l’opinione pubblica ucraina e la classe dirigente del Paese non hanno mai espresso un particolare favore nei confronti dell’Alleanza e dell’adesione a quest’ultima. Infine, nell’attuale scenario internazionale, il rischio di un ulteriore deterioramento dei rapporti con Mosca è considerato da molte parti un prezzo troppo alto da pagare per un ampliamento i cui benefici appaiono – quanto meno – dubbi.
Al di là delle formule di rito, vari leader dell’Alleanza hanno espresso queste riserve, in modo più o meno velato, sia in queste settimane, sia in passato. L’ammissione di Ucraina e Georgia alla NATO è prefigurata nella dichiarazione finale del vertice di Bucarest del 2008. Perché un Paese giunga alla membership effettiva è però necessario che intraprenda un percorso di convergenza agli standard dell’Alleanza, percorso che, dal vertice di Washington (1999), si è formalizzato nello strumento del Membership action plan (MAP). I Paesi ammessi al MAP devono presentare annualmente agli organi dell’Alleanza programmi individuali d’intervento contenenti le misure politiche, economiche, giuridiche, militari e in termini di risorse che intendono adottare in vista dell’adesione. Dal canto suo, la NATO offre a questi Paesi la sua consulenza politica e tecnica e incontri annuali a livello del Consiglio nordatlantico nel corso dei quali sono valutati i progressi compiuti. Inoltre, nel corso dell’anno, incontri e workshop con esperti civili e militari permettono di discutere l’intero spettro delle questioni legate all’adesione.
L’ammissione al MAP richiede, comunque, che il Paese candidato rispetti già alcuni standard minimi, standard dai quali Kiev sembra essere ancora lontana. Negli scorsi mesi, anche di fronte al disagio espresso dalle autorità ucraine, il Presidente Biden ha osservato come il Paese debba fare molta strada prima di potere aspirare credibilmente alla membership della NATO. I settori in cui il governo di Kiev deve intervenire sono tanti e spaziano dall’interoperabilità delle forze al loro adeguamento agli standard tecnici e operativi della NATO, al rafforzamento dei meccanismi di controllo civile sulle forze armate, alla ‘rule of law’, alla lotta alla corruzione in campo politico; un tema, quest’ultimo, che Biden ha sollevato pubblicamente anche nei suoi colloqui con il Presidente Zelensky. Il problema di fondo è che non esiste una lista precisa dei requisiti che un Paese deve soddisfare per accedere al MAP. La decisione di concedere o meno a un Paese l’accesso al MAP è, in definitiva, una decisione politica dei membri dell’Alleanza: una decisione che – come tutte quelle della NATO – è soggetto al vincolo dell’unanimità.
Si torna, quindi, al punto di partenza. Se nel 2008 è stato possibile aggregare intorno alla questione ucraina il consenso necessario a prefigurare la sua futura membership (seppure in tempi da definire), oggi le cose sono radicalmente cambiate. Ovviamente, la NATO non può rinunciare al principio della ‘porta aperta’ contenuto nell’articolo 10 del trattato Nordatlantico del 1949 e ribadito nello Study on NATO Enlargement del 1995. In altre parole, essa non può rinunciare ad affermare la sua autonomia nel decidere chi possa essere membro e quali debbano essere i modi e i tempi dell’ammissione, senza che paesi terzi vantino diritti di veto o di controllo di questo processo. Ciò non significa, tuttavia, l’automatismo di una decisione che rimane comunque politica. Si tratta – in fondo – del nocciolo dell’attuale crisi: per Bruxelles, non è tanto importante che l’Ucraina entri nella NATO, né che vi entri in tempi brevi. Per l’Alleanza, quello che conta è che Kiev conservi la possibilità di farlo: una possibilità che la Russia percepisce come una minaccia –più ancora che alla sua sicurezza – al suo status di ‘grande potenza’.