L’invasione? Oggi no. Domani forse… Ma dopodomani, sicuramente! Giocando pericolosamente sul crinale del baratro, Russia e ‘Occidente‘ (qualunque cosa significhi qui ed ora questo termine) si illudono che la corda si possa tirare sino ad avere il vantaggio prefissato, il dividendo da incassare. Senza che si spezzi. E che a cadere a terra, del caso, sia solo la ‘squadra‘ avversaria.
Il fatto, invece, è che in questo gioco pericoloso e perverso cadrebbero a terra tutti e il coccige (diciamo educatamente così) se lo spaccherebbero tutti. Spettatori compresi, anzi soprattutto gli spettatori, siano russi, siano ucraini, siano (anzi: siamo) noi. E non è bello, né per noi, né per il nostro coccige (diciamo educatamente così).
‘Sparigliare‘ la partita è quello che cercano disperatamente di fare tutti, mentre ben più che nubi si addensano sul Donbass. Gli Stati Uniti continuano a paventare il «probabile attacco russo nei prossimi giorni». Per terra, o magari solo dissuasivamente con aerei e razzi. Vai a capire. Ci capiscono poco Joe Biden e i suoi preparatissimi analisti, figuriamoci noi. L’unica sarebbe essere nella testa dello Zar Putin, sperando fortemente che lui non ne sia fuori. Di testa.
«La rivoluzione? Oggi no. Domani forse… Ma dopodomani, sicuramente!» cantava, e recitava, Giorgio Gaber nel suo geniale ‘Qualcuno era comunista‘. Noi ci ispiriamo. Ed è tristemente paradossale che postcomunisti russi e ucraini siano protagonisti di questa folle partita.
Nel suo L’Editoriale ‘Ucraina: Apocalisse o no?‘ la Direttrice de L’Indro, Margherita Peracchino, sosteneva che «bisognerebbe avere il coraggio di avere una propria linea, e di volerla affermare, per giocare non solo in difesa ma in attacco, da protagonisti». Draghi stava cercando una linea politica di comportamento per l’Italia, che non fosse solo subordinata e vilmente presuntuosa. Era il 7 febbraio scorso. Non l’ha ancora trovata.