lunedì, 20 Marzo
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Ucraina: l’Europa faccia finalmente l’Europa

Passano le settimane e assistiamo sempre più sgomenti al pericolosissimo avvitarsi su se stessa della crisi russo-ucraina. E’ sotto gli occhi di tutti il fallimento strategico dell’avventura putiniana, che sta avendo conseguenze diametralmente opposte a quelle sperate da Mosca. Solo per citare le più importanti:

  • l’ondata di simpatia internazionale (almeno in Occidente) per il Paese invaso e per il suo coraggioso, ma sopravvalutato, Presidente;
  • lallontanamento pressoché definitivo dell’Ucraina dalla zona di influenza moscovita, sancito anche e soprattutto dall’ammodernamento dei suoi arsenali ad opera degli Stati Uniti e, in parte, dell’Europa (come si potrà negare l’ingresso nella NATO ad un Paese ormai ad essa integrato sia militarmente che dal punto di vista dell’intelligence, e per di più sul campo?);
  • la plastica dimostrazione della relativa, e imprevistadebolezza dell’apparato militare russo;
  • la possibilità fornita con l’invasione a Washington e alla stessa NATO di passare sotto silenzio, a costo pressoché zero, la robusta azione antirussa condotta in Ucraina a partire, come minimo, dal 2013-2014;
  • la parallela possibilità data al campo occidentale di ricompattarsi (quasi due anni dopo la celebre frase di Macron sulla ‘morte cerebrale’ della NATO) contro il ‘male’ moscovita, con contestuale prevalenza delle tesi guerrafondaie degli USA e della nuova global Britain’.

Di fronte a questo sfacelo, che ha non poche possibilità di sfuggire di mano sia da una parte che dall’altra, assistiamo in Russia ai deliri propagandistici degli scatenati aedi del regime putiniano; ma, quel che è anche peggio, in molti Paesi europei – e in particolare in Italia, a un profluvio di dichiarazioni e prese di posizione che incidono in maniera profondamente negativa sull’elaborazione di un condiviso interesse nazionale.

Il dibattito nostrano si è infatti fin dall’inizio diviso in due campi incompatibili fra loro, in maniera del tutto analoga a quanto accaduto durante la pandemia da Covid-19; ed è rapidamente emerso nel mainstream televisivo e della carta stampata un tipo di narrazione radicalmente antirusso, che tende a zittire chiunque la pensi in modo diverso o, comunque, esprima qualche preoccupazione per le conseguenze presenti e future dell’azione occidentale volta ad armare Kiev.

Si potrebbero citare moltissimi esempi in tal senso: ricordo prima di tutto le reazioni a dir poco scomposte all’intervista concessa qualche giorno fa a Rete Quattro dal Ministro degli Esteri russo Lavrov, con violente accuse di eccessiva vicinanza a Mosca rivolte al conduttore della trasmissione Giuseppe Brindisi (in realtà fortemente filoucraino) perfino dal nostro Presidente del Consiglio, che ha trovato il tempo di deplorare l’intervista stessa (un vero e proprio scoop) anche dal punto di vista – che non gli dovrebbe competere – della professionalità giornalistica.

E poi la chiusura da parte della LUISS dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale diretto da Alessandro Orsini, già giustamente deplorato su queste pagine dal Prof. Guarino; la ‘censura’ sui media filorussi improvvidamente progettata dal COPASIR, al di fuori fra l’altro dalle proprie competenze; la tiepida accoglienza alla recente intervista rilasciata alCorriere della Sera’ da Papa Francesco che, pur avendo fra l’altro fortemente criticato il Patriarca di Mosca Kirill e lo stesso Putin, ha ‘osato’ dire che forse anche la NATO ha avuto qualche responsabilità nello scatenarsi della crisi; le emotive intemerate antirusse, non esattamente definibili di tenore scientifico, di alcuni esponenti dei nostri think thank, ad iniziare dallo IAI; le accuse di eccessiva vicinanza alla Russia avanzate nei confronti di prestigiose ed obiettive riviste come ‘Limes’ o addirittura della rete televisiva LA7, spesso chiamata ‘LA Z’ dai nostrani amici di Kiev ma, semmai, prevalentemente schierata dall’altra parte. E chi più ne ha più ne metta.

Vi sarebbe invece bisogno da parte dei nostri ‘addetti ai lavori’ (o ai ‘livori’) di un meditato contributo all’elaborazione del nostro interesse nazionale che – di fronte alla possibilità, purtroppo non peregrina, che l’autocrate di Mosca sia prima o poi tentato di utilizzare soluzioni estreme, e alle più che negative conseguenze economiche della crisi, già ben presenti ma suscettibili di crescere fino al limite dell’insostenibilità  con l’avanzare dell’attività sanzionatoria – ci porti ad elaborare una risposta, se non italiana (non ne abbiamo evidentemente la forza), autenticamente europea alla crisi. Partendo dalla considerazione che, sebbene molti governanti occidentali la pensino in maniera opposta, la Russia Paese di importanza vitale per l’intero nostro continente, di cui è parte imprescindibile dal punto di vista umano e culturale – non potrà mai essere espulsa dalla civile convivenzaeuropea e mondiale; e che le sue risorse minerarie continueranno ad esserci necessarie anche nel medio e lungo periodo, alla faccia di chi dice che dobbiamo liberarci ‘per sempredalla nostra dipendenza energetica da Mosca.

Se Biden e Johnson, in maniera spesso violenta, cercano di imporre la loro visione di regime change’ (che a volte nasconde interessi poco confessabili), noi europei dovremmo invece essere portatori di un diverso modo di pensare, consci che la ‘difesa della democrazianon può essere portata avanti in maniera selettiva e che lo scioglimento dei partiti d’opposizione, l’avvenuta chiusura di varie reti televisive, i rapporti ambigui intrattenuti con ambienti politici estremisti e, in generale, certi metodi e atteggiamenti del pur aggredito Governo di Kiev non sembrano fare al momento dell’Ucraina un Paese del tutto meritevole di essere accolto nel consesso degli Stati di diritto.

Di fronte ai pericolosi intendimenti anglosassoni – che sembrano a volte andare addirittura oltre quelli dello stesso Zelensky, classico vaso di coccio fra vasi di ferro – occorrerebbe quindi, come lucidamente osservato dall’Ambasciatore Umberto Vattani in un articolo apparso sull’ultimo numero di ‘Panorama’, che Francia, Germania e Italia, Paesi fondatori dell’Europa comunitaria e membri del G7, concepissero e portassero avanti un’azione di mediazione tesa prima di tutto a pervenire al ‘cessate il fuoco’ necessario a sottrarre il popolo ucraino alle sue attuali, indicibili sofferenze; e, in seguito, ad avviare le trattative per una sistemazione a più lungo termine, con il riconoscimento alla Federazione Russa di unacintura di sicurezzaai suoi confini occidentali e all’Ucraina dell’opportunità di integrarsi nella UE e magari, in contropartita di eventuali cessioni territoriali, nella stessa NATO (o in un equivalente meccanismo di sicurezza).

Tali auspicati sviluppi ben difficilmente, è ovvio, sarebbero compatibili con il proseguimento dell’attività tesa ad armare Kiev: ma, almeno per quanto riguarda l’Italia, i più recenti sondaggi indicano una crescente contrarietà in questo senso da parte dell’opinione pubblica. Gli interessi economici di Berlino, fondamentali per l’intera Europa che non può permettersi di vedere la propria ‘locomotiva’ gravemente azzoppata; e la considerazione che la Francia continua tutto sommato ad avere di se stessa comegrande potenza’; tutto ciò potrebbe fare il resto, nel senso di portare l’Europa, o almeno i suoi Paesi più importanti, a compiere finalmente un passo decisivo verso quella politica estera e di sicurezza comune che non si può certo considerare degnamente rappresentata dai Borrell o dalle Mogherini.

Diversamente – e qui concludo purtroppo con le stesse, identiche parole che chiudevano un mio pezzo pubblicato su queste pagine il 16 marzo scorso sarà ben difficile sottrarsi ad un’ulteriore escalation militare, foriera di gravissime conseguenze per tutti.

Massimo Lavezzo Cassinelli
Massimo Lavezzo Cassinelli
Massimo Lavezzo Cassinelli ha fatto parte del servizio diplomatico italiano dal 1982 al 2016. Dopo un primo periodo alla Farnesina presso la Direzione Generale Affari Economici, ha iniziato nel 1985 la sua prima missione all’estero, all’Ambasciata d’Italia in Ecuador. Successivamente ha prestato servizio presso le Ambasciate in Giordania, in Perù e in Egitto, oltre che come capo del Consolato italiano a Berna. E’ stato poi Rappresentante Permanente Aggiunto presso la FAO, il PAM e l’IFAD. Ha infine ricoperto le cariche di Ambasciatore d’Italia in Armenia e nel Principato di Monaco. Ha concluso la carriera al Cerimoniale Diplomatico della Repubblica.
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