sabato, 1 Aprile
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Ucraina e il compito improcrastinabile di Draghi, in linea con Scholz e Macron

Il clima attorno alla guerra ucraina sempre più pesante in cui si combatte, specie in Italia, dove la rozzezza di molti è almeno pari (ma forse superiore) alle stupende beltà delle quali godremmo se le sapessimo apprezzare, da un lato si conferma appieno nella sua ormai irrefrenabile subalternità, dall’altra aiuta, senza volerlo, ad apprezzare vieppiù un paio di bune notizie, attese da tempo e, finalmente, pervenute.

Sulla rozzezza non vale la pena dilungarsi più di tanto. Cito una frase, molto bella ed elegante, di una persona non credo sospettabile di filo-putinismo, Dacia Maraini, che scrive il 9 maggio, sul ‘Corriere della Sera‘, dove il giorno prima campeggiava un articolone di Ernesto Galli della Loggia, sprezzante come sua abitudine, quando conclude cinicamente per attaccare i non meglio identificati pacifisti: «In realtà per arrivare a una conclusione positiva ogni ipotesi di negoziato ha bisogno preliminarmente che la situazione sul campo si modifichi in via più o meno definitiva a favore di uno dei due contendenti, ovvero che entrambi si trovino per una qualunque ragione nella comune impossibilità di continuare a combattere», insomma è un bel massacro quello che ci vuole!
Ma tornando alla frase della signora Maraini, nonché bella, saggia, dice: «Possibile che non si possa discutere sulle idee, coi dubbi che ogni situazione difficile e complicata come quella che stiamo vivendo prospetta? Perché è tanto difficile, soprattutto nel nostro Paese, creare solidarietà e un minimo di saggezza collettiva? Chiunque ragiona pubblicamente si sente solo, al di sopra di tutto e di tutti, pronto a infierire su chi rappresenta il Paese e prende decisioni, per imporre la sua visione del mondo che naturalmente è la migliore e la più pura delle altre». Non conosco la signora Maraini, ma anche se la conoscessi non mi azzarderei a farlo, ma una frase così mi indurrebbe ad abbracciarla.
Leggiamo, sul medesimo giornale, tre righe più sopra, frasi di questo genere, qualora ci si fosse adeguati alla trattativa e non alla guerra: «La Russia avrebbe continuato a sfruttare ogni opportunità per influenzare le fragili, aperte, permeabilissime, democrazie europee … Ma poi, Putin avrebbe allargato le sue pretese e l’Europa sarebbe scomparsa sotto il suo tallone. Per fortuna gli ucraini hanno resistito!».

 

Una delle poche, pochissime cose che ho imparato nella mia vita, è che l’unica cosa che una persona raziocinante non può e non deve fare, è ragionare perse …’. La storiaè‘. L’ho già scritto qui. Siamo tutti bravi, bravissimi a concionare sulle partite di calcio: se l’allenatore avesse messo quel giocatore lì, se l’altro non si fosse infortunato, se quel cretino dell’arbitro non avesse fischiato un fallo che ‘non c’era’ … e così via a colpi di ‘se’. Il guaio è che il fallo viene fischiato dall’arbitro e vale in quel momento e per quel momento; per carità con tutte le garanzie, ora c’è il Var (non ho idea di cosa sia, ma c’è), però il fallo ormai è fatto e giudicato, il giocatore era al posto sbagliato, ecc… Una partita non si può ripetere, se ne può solo fare un’altra. E allora leggere quei ragionamenti, francamente, fa cadere le braccia.
Se questi sono gli argomenti, stiamo davvero freschi. Perché si riducono ad una semplicissima frase: Putin (non la Russia, badate, che ipocrisia!) è un maiale, e quindi da lui ti puoi aspettare di tutto, perché farà certamente tutto, anzi ‘farebbe’: o gli spari o lui … ‘farebbe’, tertium non datur. Già mi pare di sentire i soliti critici della Domenica, dire ‘beh ma ha cominciato lui a sparare’, ecc…. Il punto resta: le partite si giocano qui e ora e se le giochi male le perdi alla fine, e in questa partita che stanno, no, stiamo, giocando, ogni cinque minuti c’è una persona che muore, ogni tre minuti un fabbricante di armi guadagna migliaia di euro, ogni due minuti a qualcuno può ‘scappare’ il dito sul bottone sbagliato.

 

Ma lasciamo queste miserie di para-cultura del nostro povero Paese, e torniamo a bomba, nel senso della cosa con cui ho esordito: qualcosa, forse, si muove. E quindi, se noi saliamo tutti su quel treno in movimento andiamo da qualche parte, altrimenti restiamo qua, sotto le bombe.
Primo fatto. Olaf Scholz, nelle manifestazioni del 9 Maggio, ha vietato di esporre bandiere ucraine e russe. Badate, entrambe. Già mi pare di sentire le urla dei sunnominati: ecco si mettono sullo stesso piano aggressori e aggrediti, e così via urlando. Potrei ora dire che la distinzione, in questo caso, tra aggressori e aggrediti è molto difficile da fare con un minimo di oggettività, ma l’ho già scritto mille volte. Le cose non sono così nette e chiare come le descrive la propaganda.
Quello che ha detto Scholz -e non certo per l’insulto subito da Volodymyr Zelenski (cioè da Joe Biden) e che Zelenski ha cercato miseramente di correggere … ecco, la storia non si replica: l’errore lo hai fatto, e non lo puoi eliminare- dando un messaggio chiaro, benché in formadiplomatica‘, è:noi tedeschi, noi Germania non ci schieriamo preventivamente da una parte o dall’altra: siete tutti uguali e dovete per ora deporre le armi‘. Poi si potrà, seduti ad un tavolo tondo come per il Vietnam, negoziare e accertare le responsabilità e magari perseguirle. Come si fa o si ‘farebbe’ in qualunque Paese civile.
La Germania, va detto chiaro, ha avuto un coraggio e una forza davvero invidiabile, perché la Germania è sempre il Paese sconfitto dagli USA (ma non esattamente solo da loro, anche se, come i russi, negano l’importanza di questi ultimi), dove vi sono basi statunitensi estremamente grandi, ma specialmente dove è difficile superare il senso di colpa per il proprio passato. Ma la Germania, nonostante tutto e nonostante che fornisca armi agli ucraini, anche se molto malvolentieri, ha cercato di porsi ‘a distanza’ dal conflitto e di proporsi per una discussione vera.

 

Non per caso, immediatamente dopo, ha parlato Emmanuel Macron, in quell’edificio a Strasburgo, frutto delle marchette ‘denunciate’ da Di Maio, oggi Ministro degli Esteri … – mettetevi nei panni di Mario Draghi (e di noi tutti) è un bel problema fare politica estera così … E Macron non ha avuto dubbi e ha tenuto un discorso chiarissimo e lungimirante, nel quale ha detto chiara la cosa che aveva lasciata intendere Scholz: la Russia è in Europa (è Europa, secondo me) come l’Ucraina, a noi non interessa umiliare nessuno, grande o piccolo, a noi interessa capirci e collaborare, cioè trovare insieme una soluzione alla crisi, tenendo conto delle esigenze, ma specialmente delle ragioni di tutti: «Non siamo in guerra contro la Russia», pur riconoscendo le ragioni dell’Ucraina e i suoi diritti. Poi ha sferrato il colpo vero, quando ha detto chiaro ciò che si dice da un bel po’ «Bisogna convocare una convenzione per la riforma dei trattati» e chi non ci sta non parteciperà a quella modifica.
Ha enunciato, in altre parole, un progetto di cooperazione rafforzata‘, insomma un progetto di Europa a due velocità, che tenga conto dei problemi di molti Stati ad adeguarsi pienamente alle norme dei trattati, dando loro il tempo di crescere prima di raggiungere gli altri. E, sul punto ha detto chiaro che l’Ucraina può anche essere dichiarata ammissibile alla UE, ma non sarà ammessa se non avrà completato tutti gli adempimenti del caso. Quegli adempimenti sui quali molti Stati dell’est europeo hanno piatito sconti, la conseguenza dei quali è il cattivo funzionamento dell’Europa e l’impoverimento di tutti.
Non a caso, le stesse parole sostanzialmente contenute nel trattato del Quirinale, che disegna una Italia terzo polo di questa Europa a due velocità.
Ma la ‘reazionepreventiva statunitense non si è fatta attendere, se si pensa con quanta arroganza il Ministro degli Esteri ucraino, parla della partecipazione della Ucraina all’Europa come di unaquestione di guerra‘. Una via di mezzo tra una minaccia e un eccesso di sicurezza, dato che lo stesso Ministro rovescia anche la dichiarazione dell’altro giorno di Zelenski circa la disponibilità alla trattativa, viene sementita dalla pretesa di riprendersi tutta l’Ucraina!

 

Vedremo se Draghi avrà saputo onorare il suo compito e l’impegno assunto con quel trattato, nel difficile incontro di ieri con Biden, al quale, mi auguro, avrà voluto cominciare a fare capire che gli interessi dell’Europa, anzi, gli interessi del mondo, non coincidono più con gli interessi statunitensi.
Nelle poche frasi che abbiamo potuto raccogliere pronunciate dai due davanti al famoso caminetto, parrebbe di sì. Draghi rivolgendosi a Biden, infatti, ha detto: «in Italia e in Europa la gente vuole vedere la fine di questo massacro e si chiede cosa poter fare per portare la pace» E poi ha invitato Biden a «utilizzare ogni canale per la pace, diretto e indiretto» per arrivare «a un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati credibili».
Non sarà, a noi cittadini, detto con chiarezza tutto il resto e nello specifico se Draghi ha condotto l’incontro in linea con il trattato del Quirinale. Ma è questo in questo memento il compito improcrastinabile di Draghi. In mancanza della realizzazione del quale, l’Italia è destinata ad affondare: la partita possiamo giocarla una sola volta e, o la vinciamo o la perdiamo. Nella politica internazionale il Var non c’è.

Giancarlo Guarino
Giancarlo Guarino
Giancarlo Guarino, ordinario, fuori ruolo, di diritto internazionale nell’Università degli Studi di Napoli Federico II, è autore di numerose pubblicazioni su diverse tematiche chiave del diritto internazionale contemporaneo (autodeterminazione, terrorismo, diritti umani, ecc.) indagate partendo dal presupposto che l’Ordinamento internazionale sia un sistema normativo complesso e non una mera sovrastruttura di regimi giuridici gli uni scollegati dagli altri.
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