Un Consiglio della Federazione russa e poi un discorso alla Nazione trasmesso in Tv, così il Presidente russo Vladimir Putin ha segnato il 21 febbraio 2022 -il giorno dopo l’ottavo compleanno dell’inizio dell’invasione della Crimea da parte delle forze armate della Russia, era, infatti, il 20 febbraio 2014- giorno del riconoscimnto dell’indipendenza delle due autoproclamate repubbliche separatiste del Donbas, la Repubblica Popolare di Doneck (DNR) e la Repubblica Popolare di Lugansk (LNR), e dell’ordine d’invio dell’esercito russo nell’area per una ‘missione di peacekeeping‘.
Poi la Tv di Stato ha mostrato Putin nella cerimonia ufficiale della sigla al Cremlino dei ‘trattati di amicizia e assistenza reciproca‘ con i leader dei separatisti ucraini filo-russi, Leonid Pasechnik e Denis Pushilin. Trattati che prevedono anche la possibilità di assistenza militare su richiesta, già avvenuta nei giorni scorsi da parte dei leader separatisti.
La decisione, definita da Putin, «assolutamente necessaria», ha affermato essere stata motivata dal fatto che le autorità di Kiev non hanno intenzione di portare avanti una soluzione diplomatica in Donbass -dal 2015 si attende l’attuazione dell’Accordo di Minsk-2, ostacolato da entrambi le parti e ora definitivamente sepolto-, che l’Ucraina «non ha una vera tradizione di Nazione» e oggi è «una marionetta nelle mani degli Usa», i quali, con l’espansionismo della Nato «puntano solo a contenere la Russia».
Uno dei punti più gravi che non sono stati chiariti è se il riconoscimento russo si riferisca ai confini amministrativi prima di quella che Mosca definisce «l’occupazione ucraina» del 2014, il che comporterebbe strappare il controllo di alcune zone sotto il controllo di Kiev, o se si riferisca ‘solo‘ ai territori conquistati dai separatisti. Probabilmente sarà chiaro quando sarà definito il dispiegamento dei peacekeeper russi.
Oggi la Duma che il Consiglio della Federazione -i due rami del Parlamento russo- ratificheranno i trattati con Donetsk e Lugansk e poi Putin dovrebbe rivolgersi al Consiglio della Federazione per avere l’autorizzazione a inviare l’esercito ‘oltre i confini russi’.
Il riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Luhansk non ha sorpreso e l’invio dei peacekeeper russi «è una mossa uscita direttamente dal playbook russo per far apparire un’acquisizione militare formale come un’operazione benigna»; «L’ordine di sicurezza dell’Europa dopo la Guerra Fredda è in bilico», affermano gli analisti dell’Atlantic Council, raccomandando a Stati Uniti, NATO, UE di «imporre immediatamente alcune sanzioni: sanzioni forti».
Gli «ultimi eventi sono un’ulteriore dimostrazione della necessità di rinegoziare gli accordi di sicurezza europei per porli su una base più sostenibile e pacifica. La guerra tra potenze nucleari non è un’opzione», afferma Anatol Lieven, ricercatore senior di punta del Quincy Institute for Responsible Statecraft, e specialista di Russia ed Europa.
«Di per sé, questa azione russa non cambia nulla in termini pratici. Queste aree del Donbas sono state separate dall’Ucraina, con il sostegno russo, dal 2014, e da allora sono in corso combattimenti intermittenti. Le sanzioni occidentali sono già in atto per punire la Russia per questo. Finora, il riconoscimento russo delle repubbliche del Donbas è davvero una questione molto diversa dall’invasione su vasta scala dell’intera Ucraina contro la quale Washington e la NATO hanno messo in guardia, e che il disegno di legge sulle sanzioni ‘Defend Ukraine Sovereignty‘ in lettura al Congresso degli Stati Uniti ha lo scopo di scoraggiare. Una tale invasione sarebbe una violazione di gran lunga maggiore del diritto internazionale e porterebbe a un conflitto di gran lunga più grande e più pericoloso».
A questo punto c’è da capire se i fatti di ieri siano funzionali a «esercitare ulteriore pressione sull’Occidente affinché raggiunga accordi sul controllo degli armamenti e sull’adesione alla NATO, o se la decisione di invadere sia già stata presa e la Russia stia ora fabbricando la scusa per farlo», afferma Lieven.
Viktor Baranets, firma del quotidiano ‘Komsomolskaya Pravda‘, uno degli analisti militari russi più popolari in patria, ex colonnello sotto Eltsin, licenziato nel ’97 per le critiche contro lo stato di degrado in cui versava l’ex Armata rossa, parlando con ‘AGI‘, si è detto convinto che si andrà alla guerra «per riparare a un errore» fatto nel 2014. «Allora non abbiamo ascoltato la voce delle due repubbliche che con un referendum chiesero l’annessione alla Russia, perchè abbiamo avuto paura della reazione internazionale dopo il clamore dell’operazione della Crimea, e abbiamo lasciato che gli ucraini avessero il controllo su parte del territorio del Donbass». «Se la Russia invierà l’esercito, sarà per liberare entrambe le regioni dagli occupanti ucraini», aggiunge l’analista, «perchè la pace in Donbass è un obiettivo strategico per la Russia, serve rafforzarci nel Mare di Azov e impedire che l’Ucraina diventi piattaforma di armi nucleari Nato».
A guidare l’operazione, ipotizza Baranets, «potrebbe essere Valery Gerasimov, capo dello Stato maggiore generale delle Forze armate russe o il comandante delle distretto militare del Sud, il più combattivo dei distretti russi, a cui potrebbero aggiungersi le forze della Flotta russa del Mar Nero e del Mar Caspio, per un totale di non meno di 300mila soldati». Sul rischio delle misure punitive da parte dell’Occidente, Baranets è convinto che i conti siano stati fatti e il passo del riconoscimento «è stata una decisione difficile, ma necessaria».
Ci possono essere diversi livelli di azione militare della Russia, afferma Anatol Liven. «Un sequestro russo dell’intera Ucraina, come immaginato da Washington, sembra intrinsecamente improbabile. Un’occupazione delle aree di lingua russa dell’Ucraina orientale e meridionale è molto più plausibile. Può anche essere, tuttavia, che la Russia si accontenti di infliggere una limitata sconfitta locale alle forze ucraine nel Donbas, mostrando l’incapacità della NATO nell’aiutare l’Ucraina, seguita forse da una pausa per vedere cosa farà l’Occidente dopo. Questo sarebbe ben lontano dall’invasione. Segnerebbe solo un’escalation limitata del conflitto in corso nel Donbas dal 2014. Rimane quindi di fondamentale importanza mantenere in mano la minaccia di sanzioni su vasta scala per dissuadere la Russia da un’invasione su vasta scala. Se imponiamo sanzioni complete ora, non avremo più munizioni economiche da utilizzare e la Russia non avrebbe nulla da perdere allargando la guerra».
Biden, la NATO e tutti i membri della NATO, non combatteranno per difendere l’Ucraina. «Questo rifiuto occidentale di combattere rende intrinsecamente assurda l’idea dell’adesione dell’Ucraina alla NATO. Nessuno in Occidente rischierà, giustamente, l’annientamento nucleare dell’umanità per il bene dell’orientamento internazionale dell’Ucraina». Nel frattempo considerando che «la pressione economica sulla Russia è l’unica potente leva che abbiamo per influenzare le azioni russe», si tratta di mantenere in serbo le pallottole più potenti, e contestualmente fare pressione sul «governo ucraino a non intraprendere alcuna azione militare nel Donbas che possa aiutare a fornire alla Russia il pretesto per l’invasione», e «continuare a portare avanti i negoziati con la Russia verso nuovi accordi sul controllo degli armamenti, nel tentativo di raggiungere un accordo», conclude Anatol Lieven.
«L’attuale crisi sull’Ucraina è l’ultima e più ovvia indicazione che la continua ricerca del pluralismo geopolitico nell’Eurasia post-sovietica creerà rischi significativi per il Gli Stati Uniti e i loro alleati, e in particolare per i vicini della Russia», afferma, dalle colonne della prestigiosa rivista di affari internazionali ‘Foreign Affairs‘, Samuel Charap, scienziato politico senior presso la RAND Corporation. «Indipendentemente da come questa crisi attuale venga risolta, le immediate vicinanze della Russia continueranno a essere un punto critico a meno che la Russia, gli Stati Uniti, le potenze europee e i Paesi dell’Eurasia post-sovietica -in particolare quei sei stretti tra Russia ed Europa: Ucraina, Bielorussia , Moldova, Armenia, Georgia e Azerbaigian- possono raggiungere un ampio accordo su norme, istituzioni e regole che dovrebbero governare le interazioni degli Stati nella regione». Nel tentativo di fare proprio questo, la RAND Corporation e la Fondazione Friedrich Ebert hanno chiesto a un gruppo di esperti non governativi di Stati Uniti, Europa, Russia e cinque Paesi eurasiatici post-sovietici di elaborare un accordo regionale reciprocamente accettabile.
Si tratta, spiega Charap, di «una proposta globale per un ordine regionale rivisto che copra la sicurezza, i conflitti regionali e l’integrazione economica. La nostra proposta creerebbe un nuovo organo consultivo per l’impegno delle grandi potenze sulla sicurezza regionale, nuove norme per il comportamento della NATO e dell’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva guidata dalla Russia nei confronti dei non membri (come non mettere in discussione la legittimità dell’altro) e un’offerta di garanzie di sicurezza multilaterali e altre misure di rafforzamento della fiducia agli Stati non allineati. Faciliterebbe un aumento del commercio multidirezionale all’interno della regione; stabilirebbe un dialogo regolare tra l’UE, l’Unione economica eurasiatica (EAEU) a guida russa, e non membri di quei blocchi commerciali; e stabilirebbe nuove regole per evitare crisi future. Infine, il nostro piano fornirebbe meccanismi e processi per migliorare immediatamente i mezzi di sussistenza delle persone che vivono nelle zone di conflitto regionali e, infine, progredire verso insediamenti concordati».
Concretamente come funzionerebbe questo accordo nel caso dell’Ucraina? «In cambio dell’adozione volontaria di uno status non allineato, Kiev potrebbe ricevere sia garanzie di sicurezza multilaterali sia impegni russi di moderazione militare, anche lungo l’area di confine. La Russia e l’Occidente terranno consultazioni regolari su questioni di sicurezza e, cosa importante, si impegneranno a cercare un consenso reciproco prima di apportare modifiche all’architettura di sicurezza regionale. Si impegnerebbero a rispettare il non allineamento dell’Ucraina. I negoziati sulla regione del Donbas, nell’Ucraina sudorientale, sarebbero stati notevolmente accelerati nell’ambito di un nuovo impegno internazionale per la risoluzione del conflitto. E in aggiunta al suo attuale libero scambioaccordo con l’UE, l’Ucraina beneficerebbe di un ripristino del commercio con la Russia (ora ostacolato dalle sanzioni punitive di Mosca) e della creazione di un meccanismo di consultazione trilaterale con l’UE e l’EAEU. Questi accordi fornirebbero all’Ucraina sicurezza, stabilità e prosperità di gran lunga maggiori rispetto allo status quo, anche se la Russia non stesse minacciando un’imminente invasione», conclude Samuel Charap.
Certamente gli sviluppi di ieri esprimono, agli osservatori più attenti capaci di tenersi fuori dalla partigianeria, come «l’architettura della sicurezza europea abbia bisogno di un vero e proprio ripristino e di un rinnovamento creativo», ma se questo processo si avvierà dipenderà dalla capacità di tenere a freno impulsi e interessi di parte, quando non addirittura personali, di Vladimir Putin e Joe Biden, e questo è sicuramente uno dei momenti peggiori della lunga storia della crisi ucraina.