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Ucraina – Donbass: radiografia delle Repubbliche popolari di Doneck e Lugansk

Martedì 15 febbraio, la Camera bassa del Parlamento russo, la Duma di Stato, ha votato a favore di una risoluzione che chiede al Presidente Vladimir Putin di riconoscere i due territori nell’Ucraina orientale detenuti dai separatisti come Stati indipendenti -dichiaratasi unilateralmente indipendenti dall’Ucraina il 12 maggio 2014, a seguito di un referendum non riconosciuto né dalla comunità internazionale né dal governo centrale ucraino-, la Repubblica Popolare di Doneck (DNR) e la Repubblica Popolare di Lugansk (LNR), che comprendono parte della regione del Donbas.
Il riconoscimento delle due entità, segnerebbe la fine del processo di pace derivante dall’accordo di Minsk 2.
Ufficialmente Putin non ha ancora preso una decisione in proposito. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto che non ci sono state discussioni ufficiali sul riconoscimento delle due regioni.
La Russia ha spinto l’Ucraina ad attuare gli accordi di Minsk 2, i quali prevedono uno status speciale per i territori controllati dai separatisti per dare loro maggiore autonomia all’interno dell’Ucraina. Kiev ha respinto l’idea, dicendo che si tratta di un velato tentativo del Cremlino di federalizzare l’Ucraina e alla fine prenderne il controllo.
Mosca sostiene di non essere coinvolta negli affari interni dell’Ucraina, ma di fatto, fin dal 2014, ha fornito supporto militare, economico e politico ai separatisti.
Il Ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha detto che se Putin approva il riconoscimento dei territori, «la Russia si ritirerà de facto e de jure dagli accordi di Minsk, con tutte le conseguenze che ne derivano».

 

Negli ultimi giorni, la tensione nel Donbas è salita alle stelle. I separatisti hanno accusato l’esercito di Kiev di aver bombardato almeno quattro volte in 24 ore le regioni da loro occupate, con armi pesanti. Le autorità dell’Ucraina negano e parlano di ‘operazioni false flag’ del Cremlino che potrebbero essere utilizzate per giustificare un’azione militare.
Scontri e scaramucce sono la quotidianità lungo la linea del fronte, dove il cessate il fuoco raggiunto sette anni fa e monitorato dall’OSCE viene regolarmente violato. Però questa volta c’è qualcosa di assolutamente inedito. Venerdì 18 febbraio, i leader separatisti nell’Ucraina orientale hanno ordinato unaevacuazionedi massa di civili verso la Russia, poco prima dell’esplosione di un’autobomba.
Poche ore dopo, il Presidente russo Vladimir Putin ha ordinato al governo russo di organizzare il necessario per ospitare e nutrire le persone che lasciano le due autoproclamate repubbliche separatiste, quelli che il Cremlino ha subito definito irifugiati del Donbass‘. Putin ha anche ordinato che a tutte le persone che si rifugiano in Russia dal Donbass siano assegnati 10.000 rubli (129 dollari).
Sabato 19 febbraio, il leader dei separatisti filo-russi della Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin, ha ordinato una mobilitazione generale. Pushilin, riferisce la ‘CNN‘, in un video pubblicato sul suo account Telegram, ha affermato di aver firmato un ordine di mobilitazione generale, sostenendo che l’Ucraina stava pianificando un’offensiva contro la regione. E’ la chiamata alle armi: «Faccio appello a tutti gli uomini della repubblica, che sono in grado di tenere le armi in mano, di difendere le loro famiglie, i loro figli, le mogli, le madri», ha detto Pushilin.
L’evacuazione dei civili -anziani, bambini, donne, persone fragili- è iniziata e diversi autobus che trasportavano residenti delle repubbliche separatiste sono già arrivati a Rostov, sul Don, in Russia, ha aggiunto Pushilin.
I numeri non sono verificabili, ma si parla di circa 6.000 persone già evacuate da Donetsk e circa 25.000 che hanno lasciato Luhansk, più di 10.000 sarebbero pronte a partire, e il totale stimato da Donetsk di persone da evacuare ammonterebbe a oltre 720.000.
Secondo Stati Uniti e Ucraina questi fatti depongono a favore di una imminente invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con il Donbas, ovvero con la difesa dei cittadini di etnia russa dall’agressione ucraina, quale pretesto. C’è chi sostiene che non è assolutamente così.

Le popolazioni di lingua russa dell’Ucraina orientale sono il risultato di una storia complicata che risale a secoli fa, ed è una storia che ha creato linee di faglia che appaiono ben evidenti in questa crisi. ‘National Geographic‘ la ricostruisce così. «L’Ucraina orientale cadde sotto il dominio imperiale russo alla fine del XVII secolo, molto prima dell’Ucraina occidentale. Questo aiuta a spiegare perché, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, le persone nell’est hanno generalmente sostenuto i politici più inclini alla Russia. L’Ucraina occidentale ha trascorso secoli sotto il controllo mutevole di potenze europee come la Polonia e l’Impero austro-ungarico. Il terzo occidentale dell’Ucraina ha fatto parte della Polonia per diversi anni fino alla seconda guerra mondiale. Questo, in una certa misura, aiuta a spiegare perché le persone in Occidente hanno avuto la tendenza a sostenere i politici più orientati all’Occidente. L’est tende ad essere più di lingua russa e religione ortodossa, con parti dell’ovest più di lingua ucraina e con influenze cattoliche romane più pesanti.
Ma non si tratta solo di geografia o religione. «
Il divario più grande», afferma Adrian Karatnycky, un esperto ucraino dell’Atlantic Council, «è tra coloro che vedono il governo imperiale russo e sovietico in modo più comprensivo rispetto a coloro che li vedono come una tragedia». All’inizio non c’erano tali divisioni. Nel IX secolo, l’Ucraina, conosciuta come Kievan Rus, stava diventando la prima sede del potere slavo e della religione ortodossa di recente adozione. Ma le invasioni mongole nel XIII secolo ridussero l’ascesa di Kiev, con il potere che alla fine si spostò a nord, in Russia, fino alle attuali San Pietroburgo e Mosca».
«Sotto il regno di Caterina la Grande, le aree della steppa dell’Ucraina orientale divennero i principali centri economici del carbone e del ferro. La lingua ucraina, parlata nelle zone rurali, è stata bandita due volte per decreto dello zar (e oggi nel Paese si parlano sia l’ucraino che il russo). Ma la pace non durò a lungo. Dopo la rivoluzione comunista del 1917,
l’Ucraina fu uno dei tanti Paesi a subire una brutale guerra civile prima di diventare una repubblica sovietica nel 1920».
All’inizio degli anni ’30, prosegue il ‘National Geographic‘, «per costringere i contadini a unirsi alle fattorie collettive, il leader sovietico Joseph Stalin orchestrò una carestia che provocò la fame e la morte di milioni di ucraini. In seguito, Stalin importò un gran numero di russi e altri cittadini sovietici, molti senza capacità di parlare ucraino e con pochi legami con la regione, per aiutare a ripopolare l’est.
Questo, dice l’ex ambasciatore in Ucraina Steven Pifer, è solo uno dei motivi storici che aiuta a spiegare perché “il senso del nazionalismo ucraino non è così profondo a est come lo è a ovest”.
La transizione verso la democrazia e il capitalismo è stata dolorosa e caotica, e molti ucraini, specialmente nell’est, desideravano la relativa stabilità delle epoche precedenti. Su alcune mappe puoi persino vedere il divario tra la parte meridionale e quella orientale dell’Ucraina, conosciute come le steppe, con il loro fertile suolo agricolo, e le regioni settentrionali e occidentali, che sono più boscose, afferma Serhii Plokhii, professore di storia ad Harvard e direttore dell’Istituto di ricerca ucraino dell’università. L’istituto ha creato una mappa raffigurante le demarcazioni tra la steppa e la foresta, una linea diagonale tra est e ovest, che ha unasorprendente somiglianzacon le mappe politiche delle elezioni presidenziali ucraine del 2004 e del 2010.
Quando le proteste si sono estese a est, il conflitto si è trasformato in molto di più”, afferma Pifer. Inizialmente si trattava dell’Europa, ma alla fine si è rivolto alle questioni della democrazia e della fine della corruzione. Sembravano esserci anche divisioni politiche basate sulla demografia, tra le generazioni più giovani e quelle più anziane, non solo sulla geografia e su una storia turbolenta».

 

In queste settimane il Presidente russo Vladimir Putin ha chiesto personalmente al governo ucraino di negoziare direttamente con i leader separatisti nelle aree occupate dell’Ucraina orientale. In assenza di tali discussioni, ha affermato, l’attuazione degli accordi di pace di Minsk è ‘impossibile’. Il Presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy ha dichiarato che i colloqui diretti con le Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk sono una linea rossache il suo governo non oltrepasserà, definendo i separatistiterroristi‘.
Quando sono scoppiati i combattimenti nell’Ucraina orientale,
nel 2014, i ribelli separatisti delle autoproclamate Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk sono stati accusati di essere delegati degli interessi russi, se non semplicemente soldati russi sotto mentite spoglie. Il conflitto nella regione ucraina del Donbas è quindi inquadrato come una guerra tra Russia e Ucraina, nei media ucraini e nella maggior parte dei media occidentali, e non una guerra civile, e le due repubbliche separatiste sono considerate Stati proxy russi all’interno dell’Ucraina. Donetsk e Luhansk sono ritenute completamente controllate da Mosca, con una leadership installata dal Cremlino, sussidi russi che sostengono l’economia e l’esercito russo che fornisce protezione e armi. «Un ex alto funzionario dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk ha dichiarato a ‘Reuters, nel 2016, che la Russia finanzia direttamente le pensioni e gli stipendi del settore pubblico nelle due regioni separatiste dell’Ucraina orientale».
Le due repubbliche hanno adottato il rublo russo come valuta ufficiale. Le scuole seguono il curriculum nazionale russo, invece di quello dell’Ucraina. Le esportazioni e le importazioni di beni tra la Russia e le regioni di Donetsk e Luhansk godono del sostegno del governo russo.
Oggi, la maggior parte dei combattenti separatisti è nata in Ucraina, ma c’è ancora un numero significativo di russi tra loro, a partire da volontari russi, presenti soprattutto nei primi di questi otto lunghi anni.
Dopo la costituzione delle due repubbliche,
i separatisti hanno iniziato lotte intestine per il controllo di miniere di carbone, impianti metallurgici e chimici, banche, fattorie. Hanno spaventato i civili, anche con l’espropriazione dei loro beni, e reintrodotto la Costituzione del leader sovietico Josef Stalin del 1937 aggiungendoci però il monopolio religioso della Chiesa ortodossa russa.
A metà del 2015, secondo il governo ucraino, c’erano 42.500 combattenti separatisti, inclusi 9.000 soldati russi.
Oggi le due repubbliche separatiste, che insieme coprono un’area di poco meno di
17.000 Km quadrati, contano pochi milioni di abitanti: ufficialmente la DPR ne ha 2.3 milioni e la LPR 1,5 milioni, dati ufficiosi sostengono che nelle due repubbliche siano rimaste meno di 3 milioni di persone. Secondo l’intelligence ucraina, le due repubbliche contano ora 35.000 combattenti separatisti e 3.000 militari russi a loro supporto. Secondo alcune fonti, i civili delle due repubbliche sono perlopiù anziani (38% delle quali sono pensionati), oppure gente anche giovane ma tanto povera da non essere riuscita fuggire all’estero, piuttosto che nel resto dell’Ucraina sotto il controllo di Kiev (dove sarebbero giunte circa 1,4 milioni di persone), oppure in Russia (verso la quale si sarebbero dirette circa 75mila persone).

Secondo i rapporti emersi in questi anni, il profilo delle due repubbliche è sempre più simile a quello di una terribile dittatura. L’opposizione pubblica nei territori è inesistente. Nel 2017, la rete per la sicurezza PONARS Eurasia, descriveva, tra l’altro, torture, sparizioni forzare, una rete di centri di detenzione e tortura situati nei sotterranei degli edifici governativi, nelle fabbriche, nelle carceri, affermando comunque che la «coercizione fisica è diventata un elemento standard anche delle tattiche di controinsurrezione dell’Ucraina».
Esecuzioni extragiudiziali sono state raccontate dai media internazionali che sono riusciti a superare le restrizioni imposte dalle autorità locali. Così come stupri e violenze sessuali di ogni genere.
Il rapporto 2020 di Amnesty recitava: «I territori dell’Ucraina orientale controllati dai separatisti sostenuti dalla Russia sono rimasti fuori dalla portata di molti attori della società civile e umanitari.
La repressione di ogni forma di dissenso è continuata, anche attraverso l’arresto, l’interrogatorio, la tortura e altri maltrattamenti da parte delle autorità de facto, e la reclusione in condizioni spesso disumane. Le informazioni indipendenti da questi territori sono state sempre più scarse, la sua scarsità esacerbata da gravi restrizioni di viaggio legate alla pandemia».
Le vittime del sistema di repressione dei separatisti parlano di un Donbas che ospita «
gli ultimicampi di concentramentod’Europa che esistono con la tacita approvazione del presidente russo Vladimir Putin».

Secondo ricerche condotte nel 2016 e nel 2019, circa il 65% degli intervistati desiderava vedere queste aree reintegrate nelle oblast’ di Donetsk e Luhansk senza alcun tipo di status speciale, circa il 55% degli intervistati ha espresso la preferenza a far parte dello Stato ucraino. «Della maggioranza assoluta a favore della permanenza in Ucraina, circa un terzo degli intervistati in entrambi gli anni ha espresso la preferenza per uno status di autonomia all’interno dell’Ucraina. Nel frattempo, circa il 21% degli intervistati nel 2016 ha affermato che i territori dovrebbero tornare negli oblast di Donetsk e Luhansk senza alcuno status speciale. Nel 2019, il 24% ha scelto questa opzione. Sebbene piccolo in numeri assoluti, questo è un cambiamento statisticamente significativo che indica che l’idea di tornare allo stato prebellico ha guadagnato popolarità», commenta Gwendolyn Sasse, ricercatore senior presso il Nuffield College e membro associato presso il Dipartimento di politica e relazioni internazionali dell’Università di Oxford, nonché Direttore del Center for East European and International Studies (ZoiS), per il quale ha condotto il lavoro.
Per quanto riguarda la forza militare dei due territori. «L’Ucraina ha affermato che ci sono 35.000 militari e 481 carri armati, 914 veicoli corazzati da combattimento, 720 sistemi di artiglieria, 202 sistemi di lancio multiplo di razzi. Secondo Rochan Consulting, però, quei numeri potrebbero essere ‘sopravvalutati», afferma ‘The Guardian. Altresì, non è da escludere che questi dati siano superati causa recenti rifornimenti di armi da parte della Russia.

 

720.000 residenti delle aree controllate dai ribelli nell’Ucraina orientale, circa il 18% della popolazione, hanno ricevuto la cittadinanza e i passaporti russi attraverso una procedura accelerata che richiede minimo 1 massimo 3 mesi. Operazione considerata un tentativo di dimostrare l’influenza della Russia nella regione.
Secondo un funzionario del servizio di migrazione a Donetsk, sentito dall’agenzia ‘AP‘, il numero di persone che richiedono passaporti russi è aumentato nelle ultime settimane proporzionalmente all’aumento delle tensioni in Ucraina. Avere la cittadinanza russa trasmette un senso di protezione. Molti di questi ‘nuovi’ cittadini russi affermano, ai cronisti di ‘AP‘, che il passaporto consentirà loro di recarsi in Russia e godere dei benefici a cui hanno diritto i cittadini russi, come l’assistenza sanitaria gratuita.
I residenti di Donetsk e Luhansk con passaporto russo sono stati autorizzati a votare alle elezioni parlamentari russe dello scorso anno e in occasione del referendum del 2020 sulla riforma costituzionale che consente a Putin di candidarsi per altri due mandati. Sono stati portati in autobus nella vicina regione di Rostov in Russia per votare.
A dicembre, il partito Russia Unita di Putin ha accettato nei suoi ranghi anche alti funzionari degli autoproclamati governi di Donetsk e Luhansk, oltre a comuni cittadini.
Gli analisti politici concordano sul fatto che è improbabile che il Cremlino riconoscerà a breve l’indipendenza di Donetsk e Luhansk, ma continuerà a raccogliere benefici politici dal suo coinvolgimento nell’Ucraina orientale. «È una forma per mantenere la pressione su Kiev, destabilizzarla e ostacolare il movimento dell’Ucraina verso i valori europei, verso la NATO», ha affermato l’analista politico di Mosca Dmitry Oreshkin. Oreshkin ha anche sottolineato il vantaggio politico per il Cremlino, dicendo che potrebbe potenzialmente portare a «quasi un milione di voti in più per Vladimir Putin» e il suo partito.
Gli alti funzionari che ora hanno la nazionalità russa includono i massimi rappresentanti separatisti che hanno partecipato alle discussioni del Gruppo di contatto trilaterale, che è responsabile della negoziazione dell’attuazione dettagliata degli accordi di Minsk: Natalia Nikonorova, Ministro degli Esteri a Donetsk; e la sua controparte di Luhansk, Vladislav Deinego.
Il fatto che la Russia possa invadere l’Ucraina usando come pretesto il fatto che ci sono centinaia di migliaia di cittadini russi nel Donbas per i quali è necessaria un’azione militare per difenderli, non è nuova. Ma in queste ore è martellante da parte degli Stati Uniti e dell’Ucraina soprattutto.
Mykola Sunhurovskyi, esperta militare presso il think tank Razumkov Center con sede a Kiev, sentita da ‘
AP‘, ha affermato che la Russia «potrebbe usare la difesa degli interessi dei cittadini russi a Donetsk e Luhansk come pretesto … per iniziare la guerra». Sunhurovskyi ha osservato che la Russia ha usato un pretesto simile nel 2008 durante la sua guerra con la Georgia dopo aver distribuito passaporti russi ai residenti delle regioni separatiste dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia.
Secondo Oreshkin,
il Cremlino è molto più interessato a mantenere lo stato delle aree controllate dai ribelli nel limbo, e a mostrare che ha una serie di opzioni sul tavolo, che si tratti di riconoscere la loro indipendenza o di schierare forze per proteggere i cittadini russi residenti nell’area. «Finora non c’è interesse politico», da parte della Russai, a invadere. «Piuttosto, c’è un interesse politico nell’allarmismo, sia in Ucraina che nei suoi vicini della NATO», ha detto Oreshkin.
A differenza di come si è comportata con la Crimea, Mosca non ha annesso, dopo il referendum del 2014, le due repubbliche secessioniste. Il motivo è che il Donbas è il cuscinetto di sicurezza della Russia, e lo resterà validamente solo se resteranno in pancia a Kiev, da qui l’interesse di Putin a spingere perchè l’accordo di Minsk-2 (che prevede uno status fortemente autonomo per le due repubbliche ma inserite nell’Ucraina) venga attuato, e da qui il non interesse al riconoscimento delle repubbliche indipendenti richiesto dalla Duma. Con un Minsk-2 attuato, Doneck e Lugansk sarebbero reinserite nell’Ucraina, ma con i loro leader filo-russi che avrebbero il potere di veto su importanti decisioni di politica estera, come l’ingresso nella Nato, e la capacità di influenzare tutta la politica ucraina.
Sara Meger, docente di Relazioni Internazionali, Scuola di Scienze Sociali e Politiche, Faulty of Arts, dell’Università di Melbourne, è tra coloro che sostengono che è improbabile che la Russia invada l’Ucraina perché sta già riuscendo nei suoi obiettivi, mantenendo l’Ucraina instabile e costringendo gli Stati Uniti a prendere sul serio i suoi problemi di sicurezza.
«
Molti sostengono che i movimenti secessionisti della Repubblica popolare di Donetsk e della Repubblica popolare di Lugansk, che hanno provocato un conflitto armato in Ucraina che dura ormai da otto anni, agiscano per volere della Russia e facciano parte di una più grande ambizione della Russia di impadronirsi del territorio ucraino.
Tuttavia, è più corretto affermare che questi movimenti separatisti indipendenti ricevono sostegno materiale dalla Russia perché il conflitto in Ucraina frustra ulteriormente gli sforzi dell’Ucraina per integrarsi più strettamente con l’Europa, la cui prospettiva è vista dalla Russia come una minaccia alla sicurezza», afferma Meger.
«Mentre la Russia ha certamente un interesse acquisito nel mantenere l’Ucraina sufficientemente instabile da impedire che diventi più integrata economicamente e militarmente in Europa, le affermazioni secondo cui stanno pianificando un’invasione imminente sono esagerate.
Più probabilmente, vedremo la continua pressione da parte di Mosca sotto forma di potenziamento militare al confine con l’Ucraina, ulteriore uso di giochi di guerra e altre forme di pressione come mezzo per costringere le potenze occidentali a negoziare sulla limitazione delle capacità militari occidentali nell’est Europa».

 

La crisi ucraina, che nei mesi è diventata una crisi sulla sicurezza europea, o meglio, sull’Europa dopo il post-Guerra Fredda, negli ultimi giorni è tornata all’origine: il Donbas e i due territori contesi tra Kiev e Mosca. E i venti di guerra in queste ore spirano davvero forte.

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