L’Esposizione universale di Milano è arrivata al giro di boa e da qualche settimana il sito ha assunto le sue sembianze definitive. Per i primi due mesi infatti, percorrendo di frequente il chilometro e mezzo del decumano, si è assistito a un continuo processo di perfezionamento: l’occhio allenato coglieva così le piccole scosse quotidiane di assestamento nella logistica, nella cartellonistica e nel decoro degli arredi, e non solo da parte dell’amministrazione di Expo, ma anche e soprattutto da parte dei padiglioni nazionali. Questi ultimi, oltre ad arricchire via via i loro spazi, hanno cercato di limitare alcuni errori macroscopici nella disposizione degli spazi, venuti a galla solo quando il flusso dei visitatori è iniziato. C’era chi aveva sistemato la zona ristorazione in anfratti irraggiungibili del padiglione, come la Malesia, o chi, piazzato semplicemente troppo lontano dal decumano, faceva registrare un numero di accessi davvero penalizzante; qui su tutti valga l’esempio dello spazio polifunzionale della Cascina Triulza. Così sul sito sono spuntati come funghi nuovi cartelli e baracchini volanti, per giocare d’anticipo e reindirizzare il visitatore travolto dall’abbuffata di stimoli sensoriali.

Ciò che pare non sia stato invece fin qui risolto è un problema per così dire d’accesso al sito: circa l’80% dei vistitatori arrivano infatti utilizzando treno e metropolitana, le cui fermate sono in prossimità del medesimo lato del decumano; il restante 20% è quello che arriva utilizzando l’automobile o con le navette turistiche o convenzionate. Risultato: il decumano, idealmente un viale senza capo nè coda, un senso di circolazione preciso ce l’ha eccome. E non è un caso che l’introduttivo Pavilion Zero, le splendide statue di Dante Ferretti che rievocano i ritratti ortofrutticoli dell’Arcimboldo e l’imponente quartier generale della società Expo, dove sono posizionati anche la sala stampa e il centro Rai, siano collocati proprio dal lato baciato dalla fortuna, un destino felice che tra l’altro si poteva facilmente prevedere anche prima di maggio. Da qui le vigorose proteste anche a mezzo stampa dei responsabili dei padiglioni situati dal lato opposto, anche se a onor del vero alcuni degli spazi più apprezzati dal pubblico, come i padiglioni di Giappone e Germania, sono proprio nella seconda parte del decumano.
Ma andiamo oltre. Dicevamo dei padiglioni che hanno aggiustato la mira in questi primi mesi, ma c’è poi anche chi ha dovuto recuperare pesanti ritardi nell’allestimento. Il caso più grave è stato quello del Nepal che, colpito dal davastante terremoto del 25 aprile, ha rimpatriato quasi tutta la manovalanza, colpita da lutti e stravolta dalla tragedia nazionale; finalmente il 12 luglio si è tenuta l’inaugurazione del Padiglione nepalese, un tempio in legno interamente intarsiato a mano, ed è stato annunciato che, una volta finita Expo, la struttura sarà venduta per aiutare la ricostruzione del Paese. Tra l’altro, fin qui sono stati raccolti 300 mila euro grazie alle donazioni dei visitatori, che proprio sul decumano possono lasciare il loro contributo in una grossa teca trasparente dedicata agli aiuti umanitari in Nepal.
Questo è però l’unico caso giustificato di ritardo, il solo peraltro a coinvolgere un padiglione indipendente. Assolutamente scandalose però sono state le lentezze di alcune nazioni ospitate all’interno dei nove cluster tematici. Non si capisce ad esempio perché Cuba abbia impiegato circa un mese ad allestire il suo spazio, con risultati comunque disastrosi, come diremo più avanti. E ancora ha fatto scalpore il degrado in cui gli spazi della Regione Sicilia (cluster Bio-mediterraneo) versavano a manifestazione già iniziata, tra sporcizia e merce accatastata. Tuttavia, a riprova del processo progressivo di lifting cui si accennava, bisogna annotare che oggi la piazzetta biomediterranea, dove tra gli altri si affacciano i mini padiglioni di Grecia, Tunisia e Montenegro, è uno dei luoghi più gradevoli e vivi dell’intera Expo, in quanto a spettacoli, feste e presentazioni. Chiude la classifica dei ritardatari lo spazio della Regione Lombardia, piazzato in una posizione assolutamente strategica all’incrocio tra cardo e decumano, ma clamorosamente chiuso per qualche giorno in maggio per un ripensamento globale, a causa della manifesta bruttezza e pochezza degli allestimenti. La classica figuraccia del padrone di casa, insomma.
Prima di passare alle note dolenti sulla sostanza, sui temi caratterizzanti di questa Expo, ci sia concessa un’ultima annotazione sulla forma. Una delle tante polemiche di questa torrida estate milanese ha riguardato la serie di otto installazioni chiamate “il mercato” realizzate sempre dallo scenografo tre volte Premio Oscar, Dante Ferretti. Anche qui abbiamo avuto ritardi macroscopici, minacce di querela da parte dell’artista e tanto rumore fino al 27 maggio, quando le opere hanno fatto la loro comparsa al
centro del decumano, piazzate a intervalli regolari lungo tutto il corso. Tutti contenti e felici? Beh, non proprio. Non ci è sembrata propriamente di buon gusto l’idea di una serie di isole rappresentanti sotto forma di mercato i vari generi alimentari, dal pane alla frutta e verdura a carne e pesce, con materiali tutti rigorosamente finti; l’effetto è sicuramente adatto ai set cinematografici ma dal vivo ricorda a tratti i bouquet di fiori finti di certi ristoranti cinesi. Inoltre, nel primo mese, imboccando in un senso o nell’altro il decumano, si poteva assistere allo spettacolo davvero emozionante di una serpentina umana lunga quasi due chilometri, irrequieta e sinceramente operosa attorno all’evento. Purtroppo le installazioni hanno distrutto questa vista, spezzettando irrimediabilmente l’orizzonte.
Dicevamo dei temi di questa Esposizione universale, il cui motto è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Va da sè che i Paesi accorsi si debbano occupare di cibo, agricoltura, il tutto coniugato con un accesso equo alle risorse e con un approccio ecosostenibile ai temi del sostentamento umano. Insomma, tematiche di capitale importanza per decidere che pianeta vogliamo, le scommesse fondamentali per il presente e che verosimilmente diventeranno sempre più pressanti nell’immediato futuro. Inoltre, pur trattandosi di un’esposizione e non di una fiera, il business dovrebbe rimanere in secondo piano, ma non è un mistero che far conoscere a pubblico, buyer ed importatori le proprie eccellenze in campo agroalimentare, magari anche grazie ad appuntamenti B2B organizzati con discrezione qui a Expo, possa costituire un volàno di sviluppo importante. Che poi in tempi di capitalismo globalizzato è il solo modo per accedere a una ricchezza diffusa e in ultima analisi a un’eguaglianza livellata verso l’alto. Non siamo ipocriti, via.