Atteso a ore l’annuncio circa la scelta dell’acquirente di TikTok per le attività negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda e in Australia, per un affare tra i 20 miliardi e i 30 miliardi di dollari. In pista: Microsoft, in collaborazione con Walmart, e Oracle. Affare che potrebbe essere ‘disturbato’ dalle nuove regole imposte dal Governo di Pechino in fatto di esportazioni e cessioni tecnologiche. In base alle nuove regole, le prime di questo tipo emesse dal Governo cinese negli ultimi dodici anni, alcune esportazioni, come l’intelligenza artificiale per il riconoscimento vocale, devono ottenere un’approvazione dal Ministero del Commercio di Pechino, che ha trenta giorni di tempo per prendere una decisione.
ByteDance, la società proprietaria di TikTok, per poter vendere gli asset statunitensi, che comprendono anche quelli neozelandesi, canadesi e australiani, dovrà, dunque, avere il via libera delGoverno cinese. Una legislazione che è molto chiaramente la risposta di Pechino alla richiesta da parte del Presidente statunitense Donald Trump alla società cinese, per questioni di sicurezza nazionale, di cedere le attività nordamericane, pena lo stop all’app social nel Paese. Pechino ha incassato, ma al momento giusto ha assestato il suo destro. L’acquirente americano dovrà dunque essere verificato e ritenuto ‘gradito’ da Pechino. E la guerra tecnologica Cina-USA va….
Gli esperti del settore delle tecnologie avanzate sono perplessi rispetto a quanto sta accadendo. Evidente che la mossa di Trump altro non è che uno dei tasselli della guerra che il Presidente americano ha deciso di intraprendere per minare la forza tecnologica della Cina, una tappa della guerra per la supremazia tecnologica. E proprio questa mossa -insieme ad altre, certo, in primis Huawei- potrebbe giocare contro la supremazia tecnologica americana.
Gli ordini esecutivi di Trump impediscono alle app di fare affari negli Stati Uniti o con persone o aziende statunitensi dopo il 20 settembre e richiedono la cessione di TikTok entro il 12 novembre. Gli ordini esecutivi si basano su motivi di sicurezza nazionale.
«Come persona che ricerca sia la sicurezza informatica che la politica tecnologica, non sono convinto che i benefici superino i costi», affermaJeremy Straub, docente di informatica alla North Dakota State University. «I divieti minacciano la libertà di parola degli americani e possonodanneggiare gli investimenti stranieri negli Stati Uniti e la capacità delle società americane di vendere software all’estero, offrendo al contempo vantaggi minimi in termini di privacy e sicurezza informatica».
Questo susseguirsi di divieti, nuove e più restrittive regole, questa intromissione della politica nel business, o meglio la strumentalizzazione del business per fini politici-propagandistici «potrebbe avere un impatto radicale sulla comunità imprenditoriale, che probabilmente non sarà limitata al settore tecnologico».
«Se la raccolta di dati da parte di un’azienda con connessioni estere rappresenta una minaccia, ci sono minacce ovunque», affermano Keman Huang e Stuart Madnick, ricercatori della MIT Sloan School of Management, sull’‘Harvard Business Review’. «I dati raccolti da TikTok impallidiscono rispetto, ad esempio, a ciò che la maggior parte delle aziende tecnologiche americane (così come banche, agenzie di credito e hotel) raccoglie, sia visibilmente che meno. Molte istituzioni che raccolgono dati sensibili sono già state violate – si stima che ci sia un attacco informatico ogni 39 secondi– e gran parte di queste informazioni è in vendita sul Dark Web. Se il governo cinese volesse il tipo di informazioni che TikTok potrebbe raccogliere, potrebbe essere ottenuto in molti altri modi».
Non solo, c’è un aspetto essenziale che rischia di essere sottaciuto, sottolinea Straub. Si stabilisce un precedente insidioso: «stabilire un precedente per vietare le tecnologie quotidiane potrebbe rapidamente sfuggire al controllo e interrompere seriamente quasi tutto il commercio internazionale».
Straub sostiene che il divieto di Trump ha un risvolto negativo anche in termini di sicurezza nazionale: «danneggia l’autorità morale degli Stati Uniti nel sostenere la libertà di parola e la democrazia all’estero. I critici hanno spesso sostenuto che l’autorità morale americana è stata gravemente danneggiata durante l’Amministrazione Trump e questa azione potrebbe senza dubbio aumentare il declino». Altresì, affermano i ricercatori della MIT Sloan School of Management, il divieto proposto «rafforza una crescente convinzione che l’America non sia più il principale garante del business globale, ma piuttosto una potenziale minaccia per esso – una nozione che sta profondamente rimodellando l’economia mondiale e minacciando le imprese americane».
La preoccupazione maggiore per Straub è l’impattodei divieti sulla «capacità delle persone di comunicare» e la possibilità che violino il Primo Emendamento.
Vietare una app che viene utilizzata per commenti politici e attivismo solleverebbe rivendicazioni costituzionali pronunciate e probabilmente il divietosarebbe cassato dai tribunali. Ma «se i divieti resistono in tribunale , gli ordini esecutivi che li istituiscono mettono gli Stati Uniti in un territorio scomodo: l’elenco dei Paesi che hanno vietato le piattaforme di social media. Questi includono Egitto, Hong Kong, Turchia, Turkmenistan, Corea del Nord, Iran, Bielorussia, Russia e Cina»Insomma gli Stati Uniti sarebbero accusabili di reprimere il dissenso, metterebbe Washingtonsullo stesso livello di quella Pechino contro la quale Trump si scaglia.
Straub ricorda che gli Stati Uniti hanno inserito la società di telecomunicazioni cinese Huawei nell’elenco delle entità di sicurezza del Bureau of Industry, impedendo alle aziende statunitensi di condurre affari con Huawei. «Sebbene ciò abbia impedito a Huawei di vendere hardware wirelessnegli Stati Uniti, ha anche impedito la vendita di software statunitense al gigante delle telecomunicazioni e l’ha indotta a utilizzare i propri chip invece di acquistarli da aziende statunitensi». Insomma Trump avrebbe danneggiato il sistema delle imprese americane, quella economia nazionale a fronte della quale si erge paladino.
TikTok e WeChat –altra app cinese finita nel mirino di Trump– hanno entrambi una base di utenti enorme (rispettivamente 800 milioni e quasi 1,2 miliardi). «La rimozione di WeChat dall’Apple Store potrebbe causare un calo delle vendite di iPhone di circa il 30% secondo un eminente analista. Più di una dozzina di grandi multinazionali statunitensi hanno espresso preoccupazione sul fatto che il divieto di WeChat potrebbe minare la loro competitività nel mercato cinese», affermanoHuang e Madnick.
L‘86% delle aziende del Business Council USA-Cina, affermano i ricercatori della MIT Sloan School of Management, «ha riferito di aver subito impatti negativi sui propri affari con la Cina. L’impatto maggiore è stato il calo delle vendite perché i clienti spostano i fornitori o l’approvvigionamento a causa dell’incertezza della fornitura continua. Le aziende preoccupate per un divieto statunitense potrebbero avviare un piano di ‘de-americanizzazione’ per rimuovere o sostituire componenti statunitensi nei loro prodotti e nelle catene di approvvigionamento». Tra gli esempi di de-americanizzazione,
vi è WorldFirst, che ha chiuso la sua attività negli Stati Uniti prima della sua acquisizione da parte di Ant Financial, con sede in Cina, per evitare che gli USA bloccassero l’accordo per problemi di sicurezza nazionale. E le aziende cinesi stanno trovando alternative per le loro forniture.
Bisogna poi considerare le possibili ritorsioni.«Altri Paesi potrebbero utilizzare i divieti statunitensi delle società cinesi come giustificazione per vietare le società statunitensi, anche se gli Stati Uniti non hanno intrapreso azioni contro di loro o contro le loro società direttamente». Le restrizioni messe in campo da Trump nella guerra tecnologica che ha intentato contro la Cina hanno già «tagliato le aziende statunitensi fuori dal mercato cinese in forte crescita».
Keman Huang e Stuart Madnick sottolineano come il caso TikTok sia solo l’ultimo di una serie di casi simili, una vera e propria tendenza da 20 anni a questa parte e con picchi negli ultimi 5. «Nella nostra ricerca, abbiamo studiato più di 75 di questi eventi che hanno coinvolto più di 31 Paesi». Tra i molti casi, nel 2017, la Germania ha vietato My Friend Cayla, una bambola americana con cui si può parlare, perché la conversazione è stata elaborata dai server negli Stati Uniti. Nel 2016, la Russia ha bloccato l’accesso a LinkedIn, affermando che LinkedIn ha rifiutato di memorizzare i dati personali dati degli utenti russi in Russia. Nel 2017 gli Stati Uniti hanno bloccato la società di sicurezza russa Kaspersky per i suoi presunti legami con il governo russo. La Cina ha bloccato Facebook, Twitter e Google (2009), BlackBerry è stato bandito o minacciato di divieto in India, Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti ( 2010).
«Poiché qualsiasi prodotto che contiene un computer o un servizio che utilizza un computer – oggigiorno quasi tutto – può introdurre rischi per la sicurezza informatica, la frequenza e l’impatto di questi eventi sono in aumento».
La tendenza è in aumento in quanto, considerando che qualsiasi prodotto che contiene un computer o un servizio che utilizza un computer può introdurre rischi per la sicurezza informatica, visto che non è possibile esaminare i milioni di righe di software o firmware di questi prodotti e servizi, si procede ai divieti, decisioni «prese in base ai rischi percepiti, che possono essere influenzati da fattori quali la fiducia e la capacità di gestire i rischi per la sicurezza informatica».
Secondo il Digital Trade Service Restrictiveness Index dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, 13 delle 46 economie maggiori hanno aumentato le restrizioni al commercio digitale tra il 2014 e il 2019, quattro Paesi hanno ridotto le loro restrizioni. I rischi possono essere «vietare i prodotti sta diventando sempre più comune e non sembra essere una strategia particolarmente sostenibile», in più esistono altre opzioni che i Paesi e le aziende possono adottare per gestire i rischi per la sicurezza informatica derivanti da prodotti / servizi digitali transfrontalieri.
Secondo gli esperti dell’‘Harvard Business Review’, è più probabile che il divieto di Trump«aumenti, non riduca, il rischio, perché crea sfiducia tra Paesi e aziende. Altri paesi potrebbero reagire vietando le società statunitensi e la situazione potrebbe rapidamente precipitare».
Precedenti a parte, quella in cui è finito TikTok è una guerra tecnologica, e, affermano i ricercatori della MIT Sloan School of Management, «l‘abuso della ‘minaccia per la sicurezza nazionale’ sta aumentando vertiginosamente e sta portando a un’escalation della guerra commerciale che potrebbe interrompere il commercio mondiale. Abbiamo assistito a una situazione simile causata dalle tariffe Smoot-Hawley negli anni ’30. L’obiettivo era proteggere gli agricoltori statunitensi e altre industrie che stavano soffrendo durante la Grande Depressione aumentando le tariffe e scoraggiando l’importazione di prodotti da altri Paesi. Ma, non sorprendentemente, quasi tutti i partner commerciali degli Stati Uniti hanno reagito e aumentato i dazi. Ciò ha comportato una diminuzione delle importazioni statunitensi del 66% e delle esportazioni del 61%, rendendo la Grande Depressione molto più grave. In generale, raramente ci sono vincitori nelle guerre commerciali e probabilmente non nelle guerre commerciali cibernetiche».