“Guarda, il Cavatassi lo si conosceva un po’ in tanti a Phi Phi Island ma anche in altre zone dove vengono i turisti un po’ da tutto il Mondo. Lo conoscevamo bene, un tipo assolutamente tranquillo”. Un imprenditore italiano che intende restare anonimo, racconta il suo punto di vista su di un italiano, condannato in primo e secondo grado con l’accusa di aver ucciso un socio in affari -anch’egli italiano- nel 2011. “Personalmente ritengo che sia stato condotto in una trappola. Il vero killer, anzi, potrebbe essere Thai ma non nei modi in cui ha raccontato un thailandese arrestato in quel caso col Cavatassi. Il mandante potrebbe essere Thai anch’esso. Magari una donna che però, è rimasta nascosta in tutta la vicenda, la seconda moglie dell’assassinato. Insomma, girano tante voci. Si tratta di un fatto ormai lontano, le cose le ricordiamo vagamente oggi”.
Sembra la trama del tipico film ambientato in una oscura Thailandia, dove degli occidentali diventano protagonisti di casi giudiziari che gettano una luce drammatica sulle condizioni delle carceri thailandesi e su certi metodi spicci della Magistratura locale. Fino a quando non ci si scontra con la ben più dura realtà.
La vicenda di Denis Cavatassi, imprenditore di Tortoreto (Teramo) arrestato nel Marzo 2011 con l’accusa di aver fatto uccidere da un killer assoldato allo scopo specifico il socio in affari il 60enne Luciano Butti è diventata oggetto di attenzione mediatica nazionale grazie all’intervento del Senatore Luigi Manconi , Presidente della Commissione per la Tutela dei Diritti Umani, il quale unitamente ai fratelli di Denis, Romina e Adriano Cavatassi ha tenuto una conferenza stampa per portare all’attenzione nazionale le terribili condizioni di detenzione nelle quali il Cavatassi è ristretto ancor oggi, cioé sette anni dopo i fatti contestati in un’Aula di Giustizia in Thailandia. Durante la conferenza stampa tenutasi nella Sala Nassirya del Senato, son stati presenti i fratelli Romina e Adriano Cavatassi, l’avvocato Alessandra Ballerini, legale della famiglia Cavatassi, Antonio Marchesi , presidente di Amnesty International Italia e l’avvocato Francesca Carnicelli, membro della Onlus Prigionieri del Silenzio .
La vicenda. Luciano Butti, imprenditore che da una ventina d’anni soggiornava e lavorava in Thailandia, impegnato nel settore della ricezione turistica e della ristorazione all’italiana, morì il 15 marzo del 2011 a causa di colpi di arma da fuoco. Aveva 60 anni e gestiva il ristorante “Ciao Bella”. Con Cavatassi, all’epoca dei fatti 42enne, in realtà, condivideva differenti e numerosi affari, non solo la co-gestione del ristorante italiano a Phi Phi island. Fu ritrovato morto poco distante dalla Cascata di Bang Pae, dove era arrivato con un motorino preso a noleggio. Il motorino noleggiato, in Thailandia è prassi abbastanza comune, non solo per i turisti ma anche perché è spesso la soluzione più veloce per spostarsi quando se ne ne ha impellente bisogno. Il Butti fu colpito si dice da quattro colpi di arma da fuoco che lo avevano raggiunto al torace, all’addome e alla clavicola destra. Gli inquirenti -in prima battuta- pensarono si trattasse di una rapina finita male ma nei pantaloni della vittima furono trovati 520 euro: una cifra che in Thailandia esclude nettamente quella pista.
Nell’immediatezza dei fatti, il Cavatassi fu arrestato unitamente a tre cittadini thailandesi e -nonostante si sia sempre e strenuamente proclamato innocente- in primo e in secondo grado il Cavatassi è stato condannato alla pena di morte. Denis Cavatassi – che si è sempre professato innocente – ricostruisce il legale della famiglia, Alessandra Ballerini – è stato posto “in stato di fermo senza avere diritto a un avvocato, senza un traduttore, senza nessun rappresentante dell’ambasciata“.