martedì, 21 Marzo
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Strage di Bologna: alla ricerca di un’altra verità

Ottantacinque morti e più di duecento feriti: questo il bilancio del più grave attentato terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra. Una ferita ancora aperta non solo per i parenti delle vittime, ma per lo stesso modo d’essere di una società democratica, che dovrebbe basarsi – tra le altre cose – su un rapporto coerente e trasparente con la propria storia. E questo ancor di più quando si tratta delle pagine più dolorose ed oscure di essa.

L’inchiesta per la strage di Bologna, avvenuta nella stazione ferroviaria della città felsinea il 2 agosto 1980, ha visto condannate tre persone, tutte riconducibili agli ambienti dell’estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR). L’esito dell’iter processuale, da subito indirizzato sulla pista neo-fascista, non ha mai compiutamente indicato i mandanti e i moventi dell’attentato, triste costante nelle inchieste più sensibili della storia repubblicana.
Anche qui depistaggi e strategie occulte hanno ostacolato e condizionato l’emergere di un quadro completo sulla vicenda, spingendo storici, giornalisti e uomini di legge a scavare più in profondità. Tra questi l’ex magistrato Rosario Priore e l’avvocato e giornalista Valerio Cutonilli, autori del saggio I segreti di Bologna, dove illustrano un quadro ben più ampio ad intricato della pista eversiva neo-fascista, ritenuta di comodo e riduttiva. Proprio con Cutonilli abbiamo parlato dell’altra versione di questa inquietante storia.

Tra retroscena di politica internazionale ed intelligence, con sullo sfondo la fine di un decennio – gli anni ’70 – tormentato per l’Italia e la Guerra Fredda, si corre il rischio atroce che la stessa lapide posta memoria delle ‘vittime del terrorismo fascista’, all’interno della stazione di Bologna, sia sporcata dal seme del dubbio. Quelle vittime che andrebbero onorate, per lo meno, con la verità.


L’iter processuale per la strage di Bologna ha seguito ed avvalorato la tesi della pista neofascista. Manca qualcosa nel quadro complessivo? E’ riduttivo relegare le dinamiche e i moventi dell’attentato agli ambienti di estrema destra all’interno della strategia della tensione?

Personalmente non condivido la ricostruzione giudiziaria e non credo alla matrice nera della strage. Nelle sentenze non sono indicati né i mandanti dell’attentato né tanto meno il movente. Proprio di recente, peraltro, la Procura di Bologna ha escluso definitivamente che i NAR – ritenuti, a mio avviso erroneamente, gli autori della strage – fossero manovrati da qualcuno. La ‘verità’ processuale non spiega cosa è accaduto il 2 agosto 1980 a Bologna e soprattutto perché. E’ inevitabile, quindi, che aumenti il nome degli storici impegnati a ricercare altrove la Verità.

In che modo si è concretizzata l’opera di depistaggio e disinformazione nell’immediato postattentato, e che ruolo hanno avuto i cosiddetti servizi segreti deviati in questo? Cosa c’era da nascondere?

Sono state inquinate prove, create false piste, anche mediante l’utilizzo di finti testimoni. Guarda caso le cavie dei depistaggi erano sempre esponenti di destra. Questo è uno dei motivi per cui molti non credono alla responsabilità dei NAR.
Se la strage fosse nera, le vittime dei depistaggi a rigor di logica sarebbero dovute appartenere ad altre e opposte aree politiche.
Servizi deviati è un termine equivoco che ha fatto comodo a molti. I servizi lavorano per i governi e i governi hanno interesse a non far capire pubblicamente i contenziosi internazionali spesso combattuti attraverso il terrorismo. A depistare, peraltro, non furono solo i servizi segreti italiani ma anche quelli dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina).

Come si caratterizzavano i rapporti internazionali dell’Italia all’interno del blocco occidentale, alla vigilia dell’attentato alla stazione di Bologna?Dal 1979 erano in corso mutamenti repentini. Era terminata la fase della distensione tra Usa e Urss e con essa la fase della “solidarietà nazionale”.
I due esecutivi Cossiga ricollocarono l’Italia nell’alveo dell’ortodossia atlantista. L’Italia si schierò in prima fila nella battaglia per gli euromissili, fu mandata a Malta a sottoscrivere un trattato militare che escludesse i libici ovvero i sovietici dall’isola, perno strategico dello scacchiere mediterraneo, ruppe il lodo Moro ossia l’accordo di non belligeranza con il gruppo terroristico palestinese e filosovietico dell’Fplp (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina).

L’idea mia e del giudice Priore, esposta nel libro I segreti di Bologna, è che ce l’hanno fatta pagare.

Cosa riguardava nello specifico il cosiddetto lodo Moro?

A fine anni 60 i palestinesi sferrarono un’offensiva terroristica su scala europea e internazionale per porre la questione del loro ritorno in patria al centro del dibattito nel mondo occidentale. I sovietici cercarono di usare le loro frange più estremistiche al fine di destabilizzare l’Europa democratica.
Non solo l’Italia ma altri paesi si tutelarono stringendo accordi sottobanco: libero transito delle armi palestinesi in cambio dell’impegno dei fedayn a non compiere attentati nel nostro paese. L’accordo prevedeva anche altri punti, non da ultimo quello delle mediazioni commerciali con il mondo arabo soprattutto nel settore dell’approvvigionamento energetico, vero incubo dell’Italia durante la crisi degli anni 70.

L’accordo con il gruppo più pericoloso, il filosovietico Fplp, salta nel 1979 con l’arresto a Bologna del rappresentante in Italia Abu Anzeh Saleh. La guerra fredda era tornata il nostro paese non poteva conservare un’intesa con un gruppo terroristico dichiaratamente legato a Mosca.

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