Se gli Stati Uniti ripudiassero l’accordo sul nucleare con l’Iran, «le conseguenze sarebbero impossibili da prevedere» è quanto ha detto Ali Akbar Salehi che dal 2013 dirige l’Agenzia Atomica Iraniana. «Le posizioni deliranti e negative della nuova amministrazione americana non fanno ben sperare» aggiunge Salehi «e per la comunità internazionale in ballo c’è molto di più dei semplici interessi iraniani».
Queste le preoccupazioni del direttore dell’ Agenzia Atomica dell’ Iran, l’ acerrimo nemico degli Stati Uniti di Donald Trump. Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha ripetutamente definito «imbarazzante» il JCPOA (Joint Comprehensive Plan Of Action), l’ accordo sul nucleare iraniano raggiunto dall’ Amministrazione Obama. Grazie a quell’ accordo, l’ Iran si è visto cancellate molte delle sanzioni che gravavano sulla sua economia.
“Ho preso una decisione” aveva detto Trump a poche ore dal suo discorso all’ ONU, circa l’ accordo. Non va tralasciato che già due volte dall’ insediamento la nuova Presidenza ha certificato il rispetto dell’ intesa. E’ venuto meno lo “spirito” aveva incalzato l’ inquilino della Casa Bianca. L’ atteggiamento dell’ Amministrazione Trump, condiviso dai ‘falchi’ del partito repubblicano, porta l’ acqua al mulino degli iraniani più estremisti. Israele ha più volte avvertito che l’ Iran starebbe portando avanti il suo programma nucleare. E’ anche vero che, come denunciato più volte da Nikki Haley, rappresentante permanente degli USA presso l’ ONU, l’ accordo nucleare necessita di alcuni miglioramenti. Tra questi, ad esempio, la distinzione tra ‘siti militari’ e ‘siti non militari’ di cui l’ intesa è mancante oppure la capacità effettiva dell’ AIEA di controllare il rispetto dell’ accordo. E’ la strategia vincente, quella adottata dall’ Amministrazione, per migliorare l’ accordo?
«Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo intaccherebbe la posizione politica di Teheran in merito al trattato, ma soprattutto minerebbe il ruolo degli Stati Uniti in questa atmosfera di politica internazionale tumultuosa» ha precisato Salehi. Quali sono i rischi legati ad una decertificazione dell’ accordo? Ha risposto Giampiero Giacomello, docente di Studi Strategici presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’ Università di Bologna.
«Dovremmo proteggere e allargare gli accordi internazionali di non proliferazione nucleare, non smantellarli». Queste le parole di Federica Mogherini circa l’ intenzione della Presidenza americana di denunciare il non rispetto dell’ accordo sul nucleare da parte dell’ Iran. Perché è importante l’ accordo sul nucleare iraniano?
In termini internazionali, al di là dell’ interesse diretto degli Stati Uniti, c’è la questione del Trattato di Non Proliferazione che è il più importante trattato di controllo degli armamenti in esistenza e l’ Iran ne è un membro. Il Trattato distingue tra ‘Paesi che hanno già un’ arsenale nucleare”, che sono i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU, e tutti gli altri. Tutti quei Paesi che non hanno già un arsenale nucleare si impegnano, firmando questo trattato, a non sviluppare un arsenale nucleare ed in cambio ottengono una serie di vantaggi tra cui l’ accesso al materiale fissile per scopi civili e l’ assistenza tecnica dell’ AIEA. Ora, l’ Iran è un Paese membro, non è uscito dal Trattato di Non Proliferazione, diversamente dalla Corea del Nord, che è uscita dal Trattato nel 2003.
Il primo problema è che se qualche Paese, che non sia la Corea del Nord, comincia a violare il Trattato, rischia di esserci un effetto domino: se l’ Iran si dotasse di un arsenale nucleare, quasi immediatamente lo farebbe l’ Arabia Saudita, creando, appunto, un effetto domino che porterebbe alla fine del Trattato che è ancora oggi il più importante circa il controllo sugli armamenti nucleari. Il secondo aspetto riguarda il fatto che un Paese che ha una leadership non esattamente illuminata come quella iraniana possa dotarsi di un arsenale nucleare in una zona particolarmente delicata come il Medioriente, avendo come controparte Israele, aumenterebbe solo il già grande numero di problemi che ha quell’ area. Nonostante le critiche che ha ricevuto da diverse parti, non ultima da parte repubblicana durante l’ Amministrazione di Obama, in realtà, era, tutto sommato, un buon accordo. Anche se è stato molto complicato.
Dal punto di vista dei risultati, l’ accordo fortemente voluto dall’ Amministrazione Obama è stato soddisfacente?
L’ accordo sicuramente poteva essere migliore di quello che alla fine c’è stato. Però, date le condizioni, è stato un successo perché era il meglio che si potesse fare. Non era il meglio in termini tecnici nel senso che lascia una certa flessibilità che l’ Iran potrebbe sfruttare e, soprattutto, non impegna l’ Iran a smantellare l’ arsenale nucleare. Praticamente, lo mette nel congelatore. L’ Iran non si è impegnato a distruggere quanto ha fatto, a tornare indietro. Ha detto semplicemente ‘dove siamo ci fermiamo’. Quindi, in realtà, la grossa critica che è stata fatta all’ accordo è che non ha raggiunto una riduzione del livello degli armamenti per cui l’ Iran tornava indietro e rinunciava a sviluppare un arsenale nucleare, ma l’ Iran si impegnava solamente a non andare avanti. Dato che se ne è parlato per anni, dato che gli Stati Uniti hanno tentato per anni di bloccare lo sviluppo dell’ arsenale iraniano e visto che nel 2012-2013 siamo stati ad un passo dall’ intervento militare americano, credo che fosse il miglior risultato possibile, raggiunto in maniera relativamente pacifica.
Tra quei cosiddetti ‘punti deboli’ dell’ intesa, come più volte fatto presente dalla Rappresentante permanente per gli Stati Uniti alle Nazioni Unite, Nikki Haley, la non distinzione tra ‘siti militari’ e ‘siti non militari’. Israele ha denunciato ripetutamente come la Repubblica Islamica stia continuando ad implementare le sue capacità nucleari. Secondo lei, l’ AIEA è veramente in grado di controllare il rispetto dell’ accordo?
Questa è stata una delle debolezze che è stata criticata: ossia che non prevedesse dei sistemi di verifica più restrittivi ed intrusivi. Per quanto riguarda l’ AIEA, c’è da dire innanzitutto che, tranne il caso dell’ Iraq, che all’ epoca di Saddam era un sorvegliato speciale e quindi l’ AIEA aveva praticamente accesso ovunque, in teoria l’ AIEA avrebbe accesso ovunque, è chiaro, però, che tanto è maggiore la collaborazione dello Stato sotto verifica, tanto migliore è il risultato delle certificazioni. E’ chiaro che se uno Stato non collabora, l’ AIEA di sicuro può far molto, ma non è in grado di sapere tutto quello che avviene. Se lo Stato sotto verifica non collabora, l’ AIEA può far qualcosa, ma ci sono dei limiti a quello che può fare anche se il fatto che uno Stato non collabori viene incluso nel rapporto dell’ AIEA e questo può portare ad ulteriori ispezioni e a forme di pressione.
Ma se uno Stato dice ‘non vi faccio accedere a questo edificio’, l’ AIEA lo inserisce nel rapporto e poi ci possono essere pressioni da parte del Consiglio di Sicurezza, ma non può fare irruzione nell’ edificio. Quindi, certamente ci sono delle debolezze, però l’ idea era quella che una volta che quest’ accordo fosse entrato in funzione, sarebbe potuto diventare la base per fare dei passi avanti. Nulla toglie che se l’ Iran avesse, in qualche modo, non tenuto fede all’ accordo, si poteva sempre tornare alle sanzioni. Ma se viene rigettato dagli Stati Uniti, anche se questi ultimi non sono gli unici giocatori di questa partita con l’ Iran, è pericoloso perché l’ accordo è come fosse morto. L’ accordo era la base per creare queste misure di fiducia reciproca, così si chiamano tecnicamente, che poi avrebbero potuto portare ad ulteriori sviluppi. Cancellarlo vorrebbe dire autorizzare gli iraniani a ricominciare ed è quello che gli iraniani faranno.
Quindi se la strategia di Trump fosse quella, come molti sostengono, di far maggior pressione sull’ Iran, lo strumento che si accinge ad utilizzare non sembrerebbe essere il più consono?
Completamente sbagliato anche perché sembra fare apposta ad avere due crisi nucleari quasi contemporaneamente. Invece di costruire su quanto di positivo è stato fatto, ho l’ impressione che il Presidente si sia fatto trasportare da un certo astio nei confronti del regime iraniano, sicuramente criticabile,però era anche l’ unica base positiva che avrebbe creato un minimo di fiducia reciproca. Poi, se ulteriori passi avanti non fossero stati fatti, si sarebbe potuti tornare alla situazione precedente. E’ vero quanto sostenuto dai repubblicani e da Israele e cioè che nel mentre questo accordo viene implementato, gli iraniani procedono nel progetto di sviluppo dell’ arsenale. Questo è però un rischio che c’è sempre stato in tutti gli accordi di riduzione degli armamenti, anche all’ epoca dell’ Unione Sovietica. Ci sono le verifiche ma c’è anche una forte componente di fiducia. Certo il motto di chi lavora nel campo degli armamenti è ‘fidatevi, ma controllate’ e questo è assolutamente vero. E’ chiaro poi che le circostanze di ciascun accordo sono diverse. La motivazione dell’ Amministrazione Trump, a questo punto, è quella di tornare ad avere le mani libere, però, vedo difficile come si possa sostituire questo accordo con qualcosa di meglio.
Durante la guerra fredda, il gioco era a somma zero: ognuno dei due contendenti aveva un arsenale nucleare che bilanciava il peso dell’ altro. Con la proliferazione nucleare, questa condizione viene a mancare.
Non riesco a vedere nulla di positivo nell’ idea che ci siano ancor più Paesi con le armi nucleari rispetto a quelle che già ci sono. Vedo difficile come la rottura di questo accordo possa portare indietro le lancette dell’ orologio del ‘Bulletin of the Atomic Scientists’ che segnala quanto siamo vicini all’ Apocalisse.
Dal punto di vista tecnico, oltre alla distinzione tra ‘siti militari’ e ‘non militari’, la regolamentazione circa gli elementi che servono alla realizzazione di un programma nucleare dovrebbe subire delle modifiche?
Sulla questione delle verifiche e dei controlli non si è voluto premere troppo. E’ vero che l’ arricchimento dell’ uranio a scopi civili rispetto a quelli militari è molto diverso in termini di infrastrutture e di procedure. Però, la questione è ‘pretendiamo di più quindi spingiamo di più con il rischio che l’ altra parte tiri indietro la mano’ oppure ci ‘ accontentiamo di quel che abbiamo raggiunto?’. Con questo accordo, si era passati da 0 a 1. Sicuramente hanno influito altre dinamiche come la ricerca di un successo da parte dell’ Amministrazione Obama, ma la motivazione principale era creare una base su cui poi poter lavorare.
La differenza, per quanto riguarda l’ uranio, è nella percentuale di arricchimento. A scopi civili equivale al 3%, a scopi militari è il 98%. La complicazione riguarda il passaggio dallo 0 al 3% mentre più facile è passare dal 3 al 98%. Ad esser difficile è il primo passo. I passi successivi sono più semplici. Per questo c’ era stata molta attenzione: l’ idea era quella di bloccare il programma nucleare all’ inizio perché una volta superata la prima collina, la strada è in discesa. Non sappiamo a che punto sia l’ Iran, ma è chiaro che il tempo per raggiungere una testata funzionante si riduce. Il prossimo passo sarebbe avere dei vettori per trasportare queste testate.
Verso metà agosto, in un brusco botta e risposta tra Trump e Rohani, quest’ ultimo aveva avvertito che «Se vogliono tornare a quella esperienza, in poco tempo – non mesi o settimane, ma entro giorni o ore – torneremo alla precedente situazione», riferendosi ad una possibile riattivazione del programma nucleare. E’ una minaccia reale?
Non conosco i dettagli, ma poche ore non credo. Il senso era che in un tempo relativamente breve potrebbe riarmarsi. E’ più che altro una questione organizzativa o amministrativa perché si tratta di rimettere in moto una macchina che è comunque complessa. Non credo che gli iraniani fossero vicini al raggiungimento di questa cima.
Non allo stesso livello del regime nordcoreano?
No assolutamente, sono anni indietro rispetto alla Corea del Nord. Tra l’ altro, la leadership coreana ha più volte citato il caso dell’ Iraq di Saddam Hussein che la Libia, due Paesi che non sono riusciti a portare a termine il programma di sviluppo delle armi nucleari, intendendo dire ‘guardate come sono andati a finire’.
Il venir meno all’ accordo sul nucleare iraniano potrebbe indebolire gli Stati Uniti nelle trattative con la Corea del Nord?
Certamente. Il timore che ha la Corea del Nord è che gli Stati Uniti vogliano arrivare ad un confronto militare.