venerdì, 31 Marzo
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Spagna, la Tangentopoli che corrode il sistema

bankia spagna

Barcellona – Nelle scorse settimane avevamo parlato di due, tra le crisi che colpiscono in questi mesi la Spagna, il suo sistema politico, la sua società. Avevamo scritto della crisi economica, dei timidi ma incoraggianti segnali di ripresa economica, schiacciati per ora da un tasso di disoccupazione ancora troppo alto per essere sostenibile. E ci eravamo dilungati sulla crisi territoriale, sulle tensioni tra governo centrale e Catalogna, alla vigilia del voto del prossimo 9 novembre, che non è più un referendum ma neanche una manifestazione: e che, tra ricorsi e controricorsi, non si capisce ancora bene se e come si farà. Quella su cui non ci siamo mai soffermati è però la crisi morale ed etica che investe la politica e l’economia spagnola, e che rischia di fagocitare con sé l’intero sistema nato negli anni postfranchisti della Transizione, fondato sul bipartitismo, portatore prima di benessere – un benessere mai sperimentato nella storia iberica – e poi causa di una lunga serie di scandali, che ne stanno minando dalle fondamenta la non poca credibilità acquisita nel corso di vari decenni.

Le attuali inchieste sulla corruzione, che non sono poche e interessano specialmente i popolari al governo, ma non solo, affondano le loro radici negli anni belli del boom economico, quando in tanti si sono arricchiti (ma alcuni un po’ di più) e successivamente nei primissimi anni della crisi quando chi poteva non solo mise in sicurezza i propri averi ma addirittura li moltiplicò, in modo probabilmente – lo decideranno le inchieste ma alcuni fatti sono già stati accertati – non sempre legale.

Senza pretendere di fare un elenco esaustivo dei vari filoni di indagine, è bene però sottolineare alcuni casi, per le pratiche implicazioni che potrebbero avere non solo a livello giudiziario ma anche politico. Un ciclo elettorale complesso per la Spagna è alle porte (nella primavera 2015 ci saranno Comunali e Regionali, in autunno le Politiche), e i partiti principali, non solo quelli nazionali, se ci arrivassero oggi lo farebbero con il timore di una slavina di voti di protesta che rischierebbe di sommergerli. Vediamo perché.

Partiamo da Bankia, l’istituto di credito nato dalla fusione tra Caja Madrid e Bancaja, la principale cassa di risparmio valenciana. Nei “roaring nineties” queste due banche furono, sostanzialmente, la cassaforte elettorale del Partito Popolare. E non solo: lo furono anche, ad esempio, del Real Madrid (i galàcticos erano finanziati proprio da Caja Madrid) e del Valencia Club de Fùtbol (che dovette i suoi successi – due Ligas vinte, due finali di Champions consecutive, svariate altre Coppe – dei primi anni Duemila grazie alla generosa iniezione di denaro di Bancaja) e in generale di tutto il mondo vicino al potere della capitale e della terza città spagnola, che in quei tempi ospitò, tra le altre cose, una visita di Benedetto XVI (nel 2006) e l’America’s Cup di vela, nel 2007.

Con gli anni della crisi le due casse di risparmio – in realtà vere e proprie banche – stavano accumulando perdite su perdite: si decise così di fonderle in un’unica entità, chiamata Bankia, a capo della quale gli azionisti decisero di mettere Rodrigo Rato, già ministro con Aznar ed ex direttore del Fmi (Fondo Monetario Internazionale), uomo di provata fedeltà al Pp, di cui era uno dei leader nazionali. Ma due debolezze non fanno una forza: la crisi di Caja Madrid e Bancaja era ormai quasi irreversibile, e le loro perdite non fecero altro che riverberarsi su Bankia, che tra il 2011 e il 2012 stava così per fallire. Risultato: il governo Rajoy salvò l’istituto di credito con circa 23 miliardi di euro di fondi pubblici. Si trattava di una “nazionalizzazione” che da un lato scongiurava gli effetti nefasti di un fallimento che sarebbe stato un colpo quasi letale per l’economia spagnola, ma dall’altro sottraeva risorse importanti a settori strategici della stessa economia reale: proprio quell’anno, infatti, l’esecutivo fece una manovra di circa 65 miliardi di euro (la cifra che lo stesso governo chiese all’Unione Europea per mettere in sicurezza l’intero sistema creditizio)che alzava l’Iva per alcuni prodotti di 12 punti (sull’industria culturale, dal 9 al 21%), sottraeva fondi alle Regioni, tagliava istruzione e sanità, bloccava le tredicesime ai dipendenti pubblici.

Ebbene, ora si scopre che negli anni in cui Bankia rischiava il fallimento – che a scopo di così dolorosi sacrifici venne salvata dallo Stato – i suoi vertici, e non solo, spendevano e spandevano attraverso l’utilizzo di carte di credito che attingevano direttamente dal patrimonio della banca stessa. Si parla di qualcosa come almeno 15 milioni sottratti alle casse di Bankia, e quindi ai suoi azionisti e in definitiva ai cittadini tutti, dai suoi dirigenti: un’inchiesta partita nelle scorse settimane e che ha per ora portato all’imputazione di Miguel Blesa, ex Presidente di Caja Madrid, e Rodrigo Rato, i quali si sono difesi dicendo che pensavano che l’utilizzo delle carte di credito facesse parte dei loro regolari onorari. Ma nello scandalo sono stati coinvolti anche sindacalisti, il vicepresidente della Confindustria spagnola, e Rafael Spottorno, ex capo dello staff di Juan Carlos e dimessosi in seguito agli ultimi fatti da Consigliere di Felipe VI.

Ancora, è di questi giorni l’Operazione Punica, un’inchiesta che ha portato a 50 indagati, a piede libero e in custodia cautelare, che secondo l’accusa si sarebbero arricchiti per mezzo di tangenti ricevute da imprese amiche alle quali facevano vincere gli appalti a Madrid, Valencia, Murcia, Leon. Il nome più importante coinvolto in questo caso è quello di Francisco Granados, numero due di Esperanza Aguirre, per tanti anni Presidente della Regione di Madrid e leader della corrente più a destra del Partito Popolare. Sono emersi anche particolari sconcertanti, come quello di alcune imprese del murciano che avrebbero pagato commissioni illegali per vincere gare pubbliche legate alla razionalizzazione dei costi degli enti pubblici in seguito alla crisi. In poche parole, secondo l’accusa, i politici coinvolti si sarebbero arricchiti anche grazie alla tremenda situazione economica dei comuni da loro guidati.

Ma sono indagati poi, in altri filoni di inchiesta e sempre per tangenti, l’ex numero 2 di Aznar e Ministro dell’Intero Angel Acebes, numerosi politici socialisti e sindacalisti andalusi coinvolti nel caso degli Ere (la formazione professionale che secondo l’accusa serviva in realtà per ripartire favori e prebende tra gli organizzatori), l’ex tesoriere del Pp Luis Barcenas (reo confesso di aver tenuto per anni una contabilità occulta del partito grazie a fondi neri), il genero di Juan Carlos e cognato dell’attuale Re Felipe VI, quell’Inaki Urdangarìn che si sarebbe arricchito attraverso le sue fondazioni, istituite in teoria per scopi benefici e sociali ma che invece sarebbero servite da volano di arricchimento personale.

Chi pensa che la corruzione fosse appannaggio esclusivo di Madrid e dei partiti nazionali dimentica, forse, il caso di Barcellona, dove Jordi Pujol fu dominus incontrastato della politica locale per 23 anni (fu Presidente della Generalitat dal 1980 al 2003). Dopo aver ammesso a Luglio di possedere denaro ad Andorra (ufficialmente frutto di un’eredità), mai dichiarato al fisco spagnolo, ed essendo stato per questo indagato, il vecchio leader è ora sotto l’occhio del ciclone indirettamente, “grazie” a 5 dei suoi 7 figli, sotto inchiesta per affari relativi, anche qui, a corruzione. Al più giovane, Oleguer, è stata perquisita la casa in cerca di prove che potessero corroborare la tesi dell’accusa, secondo la quale avrebbe riciclato denaro proveniente da attività illecite (sulla cui origine si indaga) attraverso la formazione di imprese dalle quali successivamente traeva utili. Senza contare che è indagata anche la moglie di Jordi Pujol, Marta Ferrusola, considerata da alcuni la vera mente delle operazioni dubbie per le quali l’intera famiglia è ora sotto scacco.

Come noi italiani ben sappiamo, la cronaca giudiziaria rischia ora di sconfinare in quella politica. Lo sa bene anche Mariano Rajoy, così come il leader dell’opposizione Pedro Sànchez, i quali vedono con timore le prossime scadenze elettorali. Il primo ministro si è anche scusato in Senato all’inizio della scorsa settimana, sostenendo di comprendere la rabbia della gente e descrivendosi costernato per avere dato fiducia a chi non la meritava. La rabbia sociale potrebbe ora beneficiare Podemos, una sorta di Syriza spagnola, guidata dal 35enne economista Pablo Iglesias, che ebbe un importante exploit alle Europee dello scorso Maggio, quando presentandosi per la prima volta conquistò ben 5 seggi. Una forza paragonabile, con moltissime differenze e qualche indubbia analogia al Movimento 5 Stelle: una forza che ora tutti i sondaggi danno come prima o seconda forza del Paese.

Un anno è lungo, un’eternità in politica, ma ricordiamoci cosa è successo dopo quelle Europee, che tutti a parole considerano come elezioni “secondarie”: Juan Carlos ha abdicato in favore del figlio Felipe VI, è cambiato il leader del Psoe, da Rubalcaba a Sànchez, la questione catalana si è radicalizzata. Un eventuale successo di Podemos alle prossime Politiche cambierebbe senz’altro molto, e non solo in Spagna. Per questo, ora come ora, nessuno si sente di escludere anche a Madrid, dopo le elezioni di Novembre 2015, un possibile governo di unità nazionale tra socialisti e popolari, fatto mai sperimentato nella storia di questo Paese. Ma se lo stillicidio di scandali dovesse continuare, e i partiti di governo non dovessero riuscire a ritrovare la credibilità perduta agli occhi di larga parte dell’opinione pubblica, il tracollo di voti e di legittimità politica ed etica potrebbe rendere vana anche un’alleanza tra i due partiti principali.

Mariano Rajoy ha un anno di tempo: l’economia sta migliorando, ma non solo di dati macroeconomici si vive. Ciò che conta è, anche, la percezione: e molta Spagna attuale percepisce di avere vissuto, e di vivere ancora, un’epoca di ingiustizie, i cui effetti, se non avranno una risposta adeguata, potrebbero coinvolgere anche il resto del continente.

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