Il 12 e il 13 ottobre si svolge il Salone della CSR e dell’innovazione sociale, l’appuntamento che esprime dal 2013 un vasto ambito di operatori che credono nella sostenibilità. Il Salone in questi anni ha contribuito alla diffusione della cultura della responsabilità sociale, offerto occasioni di aggiornamento, facilitato il networking tra i diversi attori sociali. Il tema scelto per l’edizione del 2021 è ‘Rinascere sostenibili’ con l’apertura il 12 mattina di Enrico Giovannini, ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili; Gianmario Verona, rettore dell’Università Bocconi e di Rossella Sobrero (presidente di Koinetica e di Pubblicità Progresso)(https://www.csreinnovazionesociale.it/salone/cos-e/). Stefano Rolando, docente di Comunicazione pubblica all’Università IULM di Milano, è parte della discussione al Salone attorno agli aspetti comunicativi del tema. Questo il suo contributo.
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Ciclicamente alcune parole rischiano di subire un processo di inflazione. Esse si espandono, superando spesso la soglia del perimetro della loro piena comprensione. Disegnano un grande lago in cui la comprensibilità può rimanere a volte come una piccola isola lontana dai nuovi argini.
Mi riferisco a quelle parole di uso corrente da tempo, anzi così ‘corrente’ che a volte giungono a una sorta di evaporazione dei significati più sottesi.
E’ ben vero che questa parola è ora più che di moda, in prima pagina sui media, scandita in ogni dibattito, ogni progetto economico-industriale, ogni campagna elettorale. Ma proprio per questa esposta alle insidie del logoramento, ovvero della trasformazione in significati astratti, se non trova nel dibattito pubblico le fondamenta di una spiegazione veramente metabolizzabile da parte dei cittadini, non solo degli addetti ai lavori.
Vorrei al tempo stesso dire – soprattutto ai professionisti qualificati che seguono l’evento ‘Rinascere sostenibili’ nel Salone della responsabilità sociale – che in questo momento non getterei alle ortiche un brand che tira. Ma aprirei almeno – e con una certaforza (per la quale l’impegno del Ministro Giovannini insieme al sistema scolastico e universitario può essere prezioso) – una battaglia comunicativa per ridisegnare appunto un perimetro che rischia di diventare vago.
Ferma restando l’indispensabilità della fase di denuncia e di pressione (Greta inclusa), necessariamente semplificata, che è in atto da decenni e che per questo deve ora essere cognitivamente integrata.
Voglio precisare due cose preliminarmente.
Il mio primo convincimento è che, se l’intento iniziale fu quello di produrre un lessico accettabile per una larga parte sociale che magari era refrattaria alla politicizzazione dell’ambientalismo, ora è venuto il momento di allargare il racconto dei paradigmi che tengono in piedi l’espressione.
Se stiamo almeno al campo ambientale, i paradigmi sono divenuti più drammatici ma proprio per questo devono trovare narrative ben corredate dalla cultura della spiegazione e da una seria analisi delle resistenze.
Tra poco tempo, pochi decenni, le maggiori città africane e asiatiche scoppieranno demograficamente, il Bangladesh causa crisi climatica sprofonderà totalmente nel mare liberando 150 mila nuovi migranti (e così altri paesi). I virus figli e nipoti figli di Coronavirus renderanno permanenti le pandemie che avranno connotati reattivi rispetto alle ferite che abbiamo inferto ai processi naturali.
Non mi invento questo sistema di paradigmi, stanno sulle pagine delle riviste scientifiche più accreditate. Considerandomi un ‘conservatore’ (della vita, della terra, degli equilibri interpersonali e inter-vitali) penso che sarebbe importante che istituzioni, scuola e media trattassero la parola ‘sostenibilità’ non per attenuare le paure o tantomeno per aumentarle irrazionalmente, ma per metterle in ebollizione intellettuale e cognitiva.
Il secondo convincimento riguarda la necessità di contenere – nel dibattito pubblico, nella comunicazione pubblica e nel corrente bagaglio divulgativo della comunicazione scientifica – il pari valore delle quattro maggiori (e diverse) forme di sostenibilità, che credo possano diventare cultura popolare del nostro tempo solo tenendosi strette per mano.
E’ proprio la capacità di mantenere nel dibattito pubblico il senso dei nessi tra questi diversi ambiti (ecosistema, società, cultura, economia, lavoro, persona) a formare i caratteri della sostenibilità, tra cui l’attuabilità, ove cioè non prevalga né la moda né il tecnicismo né un nuovo radicalismo ideologico.
Basterebbe, oggi, che gli operatori dell’informazione e della comunicazione dedicassero un tempo della propria professionalità ai nessi di queste potenziali rigenerazioni, per dare lo spazio che non appare sufficiente alla chiarificazione di una parola – la parola sostenibilità – che certamente ora è in grande mobilità sui media ma che lasciata nell’olimpo degli slogan rischia di viaggiare a fari spenti.