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Sochi: terrorismo, business, corruzione

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Dici Sochi e pensiterrorismo’. A poche ore dall’inaugurazione dei Giochi Olimpici Invernali di Sochi 2014, il rischio che il sinonimo diventi realtà è evidentemente fondato, e, chiaramente sotto gli occhi di tutti dopo l’attentato del 29 dicembre 2013 a Volgograd  -poche ore fa, i servizi di sicurezza russi hanno reso noto di aver ucciso il presunto organizzatore dell’attentato, le forze di sicurezza hanno circondato un gruppo di militanti nella città daghestana di Izberbash e, durante lo scontro a fuoco, è rimasto ucciso Dzhamaldin Mirzayev, sospettato di aver addestrato e inviato a Volgograd gli attentatori. Rischio già evidente negli anni scorsi, per altro -la comunità olimpica era già stata scossa profondamente nell’estate del 2008, quando scoppiò la guerra fra Georgia e Russia in Ossezia del Sud, in concomitanza con i discussi Giochi Olimpici estivi di Pechino-, la collocazione geografica della città di Sochi rivela di per sé uno scenario che si prospetta delicato sul fronte geopolitico della sicurezza.

Ma Sochi è solo una parentesi. Il problema sottostante alla momentanea emergenza olimpica è quello ormai plurisecolare del confronto tra lo Stato russo e la componente islamica della sua popolazione. Nella Russia odierna gli islamici sono la parte preponderante di minoranze etniche complessivamente ammontanti, oggi, ad un quinto dell’intera popolazione. Una quota, peraltro, in continua crescita grazie ad una natalità ben superiore rispetto ai russi.
Principale protagonista e simbolo della resistenza islamica alla dominazione russa è stata, nell’arco di due secoli, la minuscola ma indomabile Cecenia, oppostasi a lungo con le armi alla conquista zarista e poi nuovamente, nei giorni nostri, agli attacchi della Russia post-comunista per troncare la sua corsa all’indipendenza.

Nella prima metà dell’800 gran parte del Caucaso settentrionale assistette e appoggiò le imprese di un leggendario condottiero come l’imam Sciamil, nativo del Dagestan  -da dove provengono gli attentatori di Volgograd- e capace di creare nella regione un emirato, ossia un vero e proprio Stato islamico, dopo avere ripetutamente sconfitto in battaglia le truppe russe. Sopraffatto e catturato solo nel 1859, è rimasto sempre vivo nella memoria dei popoli caucasici, per cui suona del tutto naturale che il presunto capofila dell’attuale movimento islamista, il ceceno Doku Umarov, si atteggi a emulo di Sciamil attribuendosi la guida di un nuovo emirato caucasico.
Nella scorsa estate Umarov dichiarò guerra, in nome di Allah, alle Olimpiadi di Soci.
Sotto l’influsso anche di circostanze e sviluppi esterni (Afghanistan, Siria e mondo arabo in generale), proprio il Dagestan ha rafforzato il proprio ruolo di nuovo epicentro della più o meno esplosiva agitazione nord-caucasica sempre svolto dalla Cecenia prima della sua normalizzazione’.

I Giochi Olimpici Invernali di Sochi pongono la regione caucasica sotto i riflettori. Guardando oltre il pericolo terrorismo, quella che è stata definita la «zona geopoliticamente più frammentata originata dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica», oggi si rivela un’area di interesse strategico ed economico per una moltitudine di attori della scena internazionale.


Sochi rimanda al rischio terrorismo, sicuramente, ma anche al business che i Giochi hanno attivato e alla connessa corruzione  -male endemico della Russia. Sochi 2014 costerà cinquanta miliardi di dollari, sono le Olimpiadi più dispendiose della storia. I motivi dell’impennata del budget? Cattiva amministrazione e corruzione.

 

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