Una cosa è sicura: il 15 dicembre Alitalia deve restituire i soldi ottenuti in prestito per poter sopravvivere. E sono tanti: almeno 900 milioni di euro, con ben 100 milioni di interessi. Al momento sembra che in cassa ci siano solo 600 milioni, quindi i conti non tornano, a meno di non avere un cilindro magico da cui cavar mazzette di banconote.
Del resto, la compagnia non ha un bilancio positivo dal 2009. Un susseguirsi di manager e stregoni che l’hanno affossata sempre più, poi con il Governo Gentiloni c’è stato il commissariamento moltiplicato per tre: Luigi Gubitosi, ex direttore generale della Rai, Enrico Laghi (Eni, Ilva, Unicredit) e Stefano Paleari, docente universitario.
Che dire? Come si muove la nuova governance nazionale? Per comprendere l’entità della cifra in ballo prendiamo a prestito le nuove dottrine statali. Con lo slogan ‘Ora si cambia’, grazie ad un miliardo di euro si potrebbero avere «investimenti in opere e servizi degli amministratori locali per i loro cittadini». Così recita un blog filogovernativo che naviga lungo i bordi della rete, creando, a suoi dire, fondi da impiegare nei territori. E ce ne sarebbe bisogno, visto che l’Italia si sta sbriciolando sotto il peso delle precedenti amministrazioni, certo e anche pressata dall’inutilità di quelle attuali, visto che non riescono in nessun modo ad uscire dal guado di ignoranza, maldicenza e pressapochismo che del nostro Paese da troppo tempo sono stati padroni. Ma questo miliardo deve andare da un’altra parte, perché per ora c’è da risolvere un punto assai dolente, che è quello dei viaggiatori aviotrasportati. E sì, perché le complicazioni alla fine arrivano tutte alle impietose dentature del pettine finanziario. E il trasporto aereo italiano, già in mano da anni a sediziosi e pluritesserati piduisti, poi a patrioti in cerca di gloria e a un management che certo non ha dato il meglio di sé, ora piange le sue lacrime di disperazione e chiede aiuto a tutti pur di essere salvato.
E se onestamente, visto il cambiamento di opinione ora per ora, è difficile fare una cronaca dello scempio che si sta compiendo attorno a uno degli assi del patrimonio italiano, sfogliando le cronache di questi giorni proviamo a comprendere su quali assi si stanno muovendo le leve di comando per mettere in sicurezza Alitalia e i suoi lavoratori.
In una cena svoltasi qualche sera fa a Palazzo Chigi, uno dei Ministri che contano ha fatto sapere di «aver trovato la quadra» e dare il via all’intervento per salvare Alitalia, grazie al fatto di avere «contatti importantissimi». Meno male! Perché sentiamo tutto il bisogno di comprendere come non veder ancora più aggravata la nostra cartella esattoriale per riempire i serbatoi dei velivoli con il tricolore disegnato sul pennone dato che, secondo il blog appena citato: «Il dissesto finanziario determina l’automatico aumento delle imposte locali, scarica i costi della cattiva gestione passata su famiglie ed imprese». Quali sono le vicinanze decantate dai membri del Governo è trapelato già da un pezzo, per cui soffermiamoci qualche istante su un paio di questioni per comprendere quale male oscuro stia divorato le sue parti interne e come nessun medico è stato capace di formulare una diagnosi e applicare la terapia.
È scontato che un grande morbo che affligge Alitalia è quello dell’inefficienza: tre commissari strapagati non sono stati sufficienti, conti alla mano, a ripulire un modo di lavorare spendaccione e inefficace che regna all’interno della compagnia. Nel corso di un convegno ormai lontano quasi un anno, Gaetano Intrieri, docente a Tor Vergata, mostrò documenti assai preoccupanti relativi alla compravendita di pezzi di aereo necessari per la manutenzione, perché la compagnia avrebbe fatto del mercimonio dei ricambi del proprio magazzino cedendoli per poi riacquistarli per le proprie esigenze a tre mesi di distanza a prezzi più alti. «Quanti ricambi hanno avuto quello stesso destino e quanto ha inciso questo tipo di spesa nella storia del fallimento dell’Alitalia?», si è chiesto il docente. Non sappiamo la risposta e non possiamo che pensare dei commissari e alla loro gestione, domandandoci con quale criterio l’allora Ministro Carlo Calenda li nominò, senza un curriculum che li vedesse impegnati a governare un’aviolinea.
Altra inefficienza, segnalano fonti ben informate, è la gestione della flotta con un uso smodato di‘ferry flight’,ovvero Alitalia sposta i suoi aeromobili senza vendere i posti ai passeggeri, ma solo per ubicarli negli aeroporti di partenza. Incapacità? Inesperienza? Secondo noi c’è tutto e soprattutto la presunzione di far fare delle cose a chi non le ha mai fatte. Nessun favoritismo politico, come si vede. Qui c’è gente incapace che preleva soldi dalle nostre tasche e li butta dalla finestra. Allora come ora.Non se ne avranno i chiamati in causa se ricordiamo loro che la distrazione in un solo anno per questa operazione è costata appena la paga di un centinaio di dipendenti. Né chiediamo spiegazioni sul modo di svendere al socio dell’ultim’ora le bande orarie di Heatrow (gli slot), che rappresentano una delle strategie più importanti della compagnia. Speriamo che il compito tocchi a qualche magistrato contabile, perché la transazione pesa una cifra con due zeri e la ricerca ci sembra necessaria. Né continuiamo con tecnicismi complessi che lascerebbero a tutti l’amaro in bocca.
La compagnia non funziona, non ha funzionato ai tempi dei capitani coraggiosi, non funziona con le alee di patriottismo sconsiderato, non funzionerà se non si mette sul mercato con tecnici in grado di dirigerla. Quanto doverosamente ci preoccupa –e dovrebbe preoccupare tutti quelli che pagano le tasse– è che non esiste un vero piano industriale nel vettore commissariato dal 2 maggio 2017, che continua a perdere oltre un milione e mezzo di euro al giorno. Ed è una cifra con cui si potrebbero fare tante cose. Tanto è che né Lufthansa, né Air France o Klm sarebbero disposti a proporsi per ripianare i debiti e soprattutto, nessuna di queste compagnie avrebbe intenzione di aver a che fare con le autorità italiane. Un ottimo esempio di isolamento a cui ci sta portando questa politica inconcludente.
Alitalia ha circa 12.000 dipendenti. Si tratta di un numero assai elevato in termini di produttività, alimentato in passato da molto clientelismo e da una scarsa capacità gestionale.
E adesso? Mercoledì 31 ottobre, mentre per le strade i bambini italiani bussavano alle case di sconosciuti con il verso di ‘dolcetto o scherzetto’, senza nemmeno sapere di cosa parlassero, è scaduto il termine per l’individuazione della cessione. Secondo una nota della compagnia i tre commissari hanno ricevuto due offerte vincolanti e una manifestazione di interesse e nei prossimi giorni –speriamo con una maggior cura di come stanno lavorando sulla compagnia– provvederanno a esaminare in dettaglio la documentazione ricevuta e successivamente a trasmettere le proprie determinazioni al Ministero dello Sviluppo Economico. Il valore del portafoglio dovrebbe rientrare nei due miliardi, a conti fatti.
Anche noi quindi abbiamo appreso da ‘Ansa’ chi è il probabile investitore. Ferrovie dello Stato ha presentato un’offerta per l’acquisto dei rami d’azienda. Da parte nostra ci fa piacere che i treni italiani abbiano tanta disponibilità finanziaria. Se avessero investito qualche spicciolo per la missione per cui li paghiamo anche al Sud e per il trasporto dei pendolari, un po’ di Italia sarebbe stata molto grata e la magnanimità di Piazza della Croce Rossa avrebbe dato dignità ai suoi viaggiatori.
L’ipotesi più attendibile è la costituzione di una società con la compartecipazione di un vettore aereo, forse Delta Airlines, anche se la compagnia americana, assistita dall’istituto Goldman Sachs, sembra disposta all’affare ma con una serie di condizioni piuttosto severe.
EasyJet ci starebbe ma con una compagnia mondata da debiti. Non abbiamo capito a chi toccherebbe, però, l’onere di pagarli! La notizia confortante è che la nuova cassa integrazione è prorogata fino al 23 marzo 2019.
Proviamo a concludere con qualche considerazione, perchè qualche ben informato si è domandato prima di noi: «Siamo a conoscenza di compagnie aeree in cui ci sia una partecipazione azionaria di una società ferroviaria?». A noi sembra di no. E ancora: una compagnia ferroviaria –tutta ammantata dall’insufficienza statale– può strutturare un traffico passeggeri su una distanza planetaria, con le valutazioni di opportunità e vantaggi per l’intera Nazione? Certo, se è vero –voce di Ministro- che: «Ci sono tanti soggetti privati interessati ad Alitalia», come mai il salvataggio viene fatto da una società interamente statale come le Ferrovie dello Stato?
Temiamo di non comprendere. Anche perché è di questi giorni che la stessa azienda ferroviaria viene penalizzata da movimenti oscurantisti e molto vicini alla compagine governativa che contestano la tratta di alta velocità tra Torino e Lione.
Ma onestamente, che fiducia merita un’amministrazione che ha fatto soldi solo con una linea trascurando tutta la rete nazionale?
‘L’Indro’ forse non è il primo a chiederselo e probabilmente non sarà nemmeno l’ultimo e poco importa immaginare che la partnership tecnica potrebbe essere appena un punto di partenza. In questo Paese siamo abituati alle impalcature di emergenza secolari!
Una riflessione però ce la concediamo, con tutto il rispetto e la competenza che meritano le Ferrovie italiane, che più di molti politici, ha avuto il compito di unire l’Italia, così come adesso, ancor meglio dei politici nostrani, la sta dividendo: già sotto il Governo di Matteo Renzi, il vertice di FS ha provato a dirigere la principale industria manifatturiera italiana con i risultati che lasciano poco spazio a commenti. Ci riproviamo?