“C’è un qualcosa che la sanità pubblica non è più in grado di garantire: la dignità del malato”. G.P. giovane professionista di Napoli è uno dei tanti italiani che alla sanità pubblica ha preferito quella privata. Reduce da una cistoscopia presso una delle cliniche private più prestigiose di Torino questo giovane ragazzo poco più che trentenne, spiega il perché della propria scelta “Non sono un classista, se ho fatto oltre 800 km e pagato 850 euro per un esame diagnostico che avrei potuto fare in qualsiasi ospedale pagando un ticket modesto è solo perché non credo più nella sanità pubblica”.
Una sfiducia quella di G.P. condivisa con una larga fetta di connazionali. Secondo l’ultimo rapporto Censis infatti il 38,5% degli italiani (erano il 28,5% nel 2011) ritiene che la sanità della propria regione sia peggiorata negli ultimi due anni. Per il 56% è rimasta uguale e solo il 5,5% la ritiene migliorata.
Il perché è presto detto. “Varcare le soglie di un ospedale pubblico” dice G.P. “significa rinunciare per sempre ad essere una persona e diventare un numero in balìa degli umori di burocrati e medici dalla dubbia competenza”. L’esperienza del Nostro non è stata certamente delle migliori, “Sono stato operato due volte per la stessa patologia, il medico a cui mi ero rivolto in ospedale intervenne la prima volta soffermandosi solo sulle conseguenze della malattia senza badare alle cause. Il risultato fu che dopo un paio di mesi mi ritrovai nuovamente punto e da capo”. Di qui quindi il ricorso a uno specialista privato, una nuova operazione e la risoluzione completa del problema, non senza l’esborso di cifre considerevoli. “Considerato che il professore che mi ha operato privatamente intascava 300 euro a visita lascio a lei immaginare quanto abbia pagato per le cure”.
Una spesa sanitaria privata che stando sempre alla ricerca del Censis nel 2013 è aumentata del 3% rispetto al 2007 raggiungendo i 26,9 miliardi di euro. Crolla il ricorso al dentista a pagamento (oltre un milione di visite in meno tra il 2005 e il 2012), ma nello stesso periodo aumentano gli italiani che pagano per intero gli esami del sangue (+74%) e gli accertamenti diagnostici (+19%). Ormai il 41,3% dei cittadini paga di tasca propria per intero le visite specialistiche. Cresce anche la spesa per i ticket, sfiorando i 3 miliardi di euro nel 2013: +10% in termini reali nel periodo 2011-2013.
“Naturalmente se non avessi avuto la possibilità di pagare i circa 1000 euro, considerati anche i costi del viaggio, per un accertamento che in ospedale sarebbe costato non più di poche centinaia di euro non starei qui a raccontarlo ma avendo la possibilità, con non pochi sacrifici, non c’è paragone tra ciò che ti offre il pubblico e quello che ti dà il privato”.
Differenze quelle appena descritte che si ripercuotono necessariamente anche sui costi. Per effettuare una prima visita oculistica in una struttura pubblica il ticket costa 30 euro e c’è da aspettare mediamente 74 giorni (due mesi e mezzo), mentre nel privato, pagando in media 98 euro, si aspettano solo 7 giorni. Per una prima visita cardiologica si pagano 40 euro di ticket e la lista d’attesa è di 51 giorni, nel privato con 107 euro si aspettano 7 giorni. Non va meglio con l’ortopedia, nel sistema pubblico costa 31 euro di ticket con 34 giorni di attesa, nel privato 104 euro e occorrono 5 giorni per avere l’appuntamento. Stesso discorso con la ginecologia. In questo caso una visita richiede 29 euro di ticket e 27 giorni di attesa, nel privato 100 euro con 5 giorni di attesa.
Tirate le somme se si vogliono accorciare i tempi di accesso allo specialista bisogna pagare mediamente con 70 euro in più rispetto a quanto costerebbe il ticket nel sistema pubblico si risparmiano 66 giorni di attesa per l’oculista, 45 giorni per il cardiologo, 28 per l’ortopedico, 22 per il ginecologo.
“Il problema non è tanto trovarsi in una struttura accogliente ed essere assistito da persone disponibili e competenti, ma essere considerato una persona bisognosa di cure. La condizione di chi è malato” argomenta G.P. “è quella di un individuo estremamente fragile. Se a ciò vi si aggiunge anche il peso degli ostacoli da dover superare di volta in volta per ottenere delle cure che rappresentano poi semplicemente un proprio diritto, il peso della propria condizione può divenire insostenibile”.
Per rendersi conto di quanto appena detto basta fare capolino in una delle tante Usl sparse sul territorio specie al sud. A.L. una donna che ha scelto di effettuare una mammografia in una struttura pubblica “Se sono qui è perchè non mi va di spendere oltre 100 euro per una visita privata”. Il gruppo di persone in attesa di effettuare l’esame è composto principalmente da immigrate. Tutto intorno il degrado di una struttura che appare in completo disfacimento.
“Non è la prima volta che vengo qui” dice con grande dignità questa donna dallo sguardo fiero e dal passato ben più agiato del presente “ci sono abituata, ma quello che proprio non sopporto è l’atteggiamento del personale quando chiamano i pazienti”. Lo scandire dei cognomi infatti è una litania irosa che appare quasi più come un rimprovero che un invito ad oltrepassare la porta per effettuare l’esame. Per non parlare dell’organizzazione. “Spesso si litiga su chi deve essere il primo a entrare. Ormai è una guerra tra poveri anche questa”.
Quasi spontanea sorge allora la domanda sul perché sottoporsi a tutto questo. “Principalmente per principio e poi anche per una questione economica. Pago le tasse come tutti i cittadini ed esigo dallo Stato ciò che mi spetta”. Una voce baritonale chiama il suo numero accompagnato dal cognome, è il suo turno e deve andar via. “Lo scriva pure mi raccomando, non è la sanità pubblica a fare schifo è solo chi calpesta il proprio lavoro rubando lo stipendio che la degrada”. Una donna di colore accompagnata dal figlio adolescente osserva con sguardo interrogativo, cerca capire ma non parla l’italiano. Il figlio, che le fa da interprete, sembra invitarla a pensare ad altro.