Ahi, che bel tipo sei, che romanzante meraviglia, cara Elena. Ahi, che bel tipo sei, amata mia, amata mia. Tutta la vita seguo la tua scia. Qualcuno ti ama, e sa parlartene. Qualcuno ti ama, e sa descriversi. Qualcuno ti ama e sa convincerti, labbra da russa, forse un po’ da polacca, labbra da baraonda. Amata mia, amata mia, qualunque cifra anche una follia. Occhi da russa, fan fare ogni follia, e parte poi la sarabanda.
Cominciò così quella straordinaria cavalcata, tra baci, sorrisi, fiordalisi, aria di festa, aria di sarabanda. Con Paolo che raccontava e cantava, cantava e raccontava, facendo piangere e ridere allo stesso tempo, e l’anima che passeggiava bevendo piña colada al cointreau. Vizi e virtù si incontrarono e scontrarono, virtù contro a furor prese l’arme, e fu il combatter corto. Un delirio organizzato percorreva gli astanti, mentre Elena governava quel viaggio paralisergico, allucinato ed allucinante, che chissà a quali sostanze aveva dovuto fare ricorso per farlo partire e cercare di portarlo a compimento. Poi qualcuno fece fare silenzio, si issò su una poltrona al centro della sala, e disse.
“Sono un uomo molto simpatico e molto conviviale, ma però ci ho la gobba. Il mio sguardo è altero, il portamento eroico, i movimenti decisi, ma però ci ho la gobba. Sono un uomo raffinato ed elegante con un titolo nobiliare ed una certa agiatezza, ma però ci ho la gobba. Posseggo delle tenute e un antico maniero nella campagna marchigiana ed ho la gentil passione dei fiori, ma però ci ho la gobba. Il medico mi ha detto che il mio organismo è perfettamente sano e che posso fare di tutto. Sono un uomo ricco, buongustaio, ho ancora tutti i capelli, ma ci ho la gobba. E quando uno ha la gobba, o è Leopardi, o dove cazzo va?”.
Gli astanti assentirono, compresi da quel ridicolo dramma, ma già l’anno solare di Santarcangelo declinava, quando partì una battaglia in cui il romano ed il torinese vennero entrambi sconfitti dal pugliese, o forse da un extracomunitario di Lugano su cui però, stranamente, nessuno aveva nulla da recriminare. Il peyote serviva a dare un tocco personale agli spaghetti aglio ed olio che vennero serviti a mezzanotte. Una nota ninfomane milanese decise di prendere i voti, e divenne prima clarissa e poi parlamentare. Il cielo si riempì di nubi e smatafloni, sarchiaponi e coguare viaggiavano assisi sulle reticelle dei treni ed intanto pioveva a Pisa, dove Ezra Pound si indignava per l’uso indebito del proprio cognome, ma comunque ne aveva già fatte di ogni tipo per conto suo.