domenica, 26 Marzo
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Russia vs Ucraina: si fa presto a dire sanzioni

Joe Biden ha riferito di aver avvertito Vladimir Putin, durante la videotelefonata di martedì 7 dicembre, che «ci saranno gravi conseguenze» se la Russia invaderà l’Ucraina, «conseguenze economiche come non si è mai visto». Insomma: sanzioni economiche e finanziarie. Quello che non è stato fatto nel 2014, quando la Russia invase la Crimea, oggi gli Stati Uniti sono pronti a farlo. E in questo fine settimana, i ministri degli Esteri del G7, riuniti a Liverpool, hanno avvertito la Russia di «enormi conseguenze e gravi costi in risposta» se invadesse l’Ucraina e l’hanno esortata a ridurre l’escalation militare al confine.
Il Presidente USA ha confermato così che la sua Amministrazione considera le sanzioni l’arma principale nella risposta di Washington all’aggressione russa, e che sta valutandosanzioni radicali, oltre a poderose forniture di armi. Il G7 ha fatto sua la posizione degli USA.
Sanzioni che potrebbero paralizzare l’accesso della Russia ai mercati obbligazionari, strozzare le principali banche commerciali e prendere di mira potenti oligarchi, un approccio che metterebbe Washington in acque inesplorate nel suo confronto con Mosca. Se è vero, infatti, che già molte sanzioni USA sono attive, e da tempo, nei confronti di Mosca, queste precedenti sanzioni, secondo gli esperti, sono state relativamente limitate, rispetto, per esempio, alle misure che hanno colpito l’Iran o il Venezuela, Paesi con economie più piccole e con meno legami con i mercati globali. E proprio questo è l’aspetto problematico di sanzioni ‘come non si è mai visto’: l’interconnessione globale della Russia. Dati i numerosi legami della Russia con l’economia globale, sanzioni dure avrebbero inevitabilmente effetti a catena sulle multinazionali, sui mercati azionari e sulle economie europee, in particolare,ma anche sugli Stati Uniti.

La selezione degli obiettivi è un processo delicato, reso più difficile, appunto, dalla profonda integrazione della Russia nell’economia mondiale. Così l’impegno degli esperti della Casa Bianca nella selezione degli obiettivi è intenso.
C’è molto spazio, dicono gli analisti, per aumentare la pressione economica contro Mosca, se l’Amministrazione Biden decidesse davvero di farlo. Le sanzioni già attive sono ‘leggere’.
Secondo informazioni trapelate dall’Amministrazione, si starebbe guardando al blocco dell’accesso della Russia ai mercati obbligazionari di New York; misure contro le principali banche commerciali russe, inclusa forse la potente banca VTB, che è per la maggioranza di proprietà del governo russo; misure volte a minare la capacità della Russia di convertire i rubli in dollari o altre valute estere;la definizione di nuove condizioni per il finanziamento del debito pubblico russo; colpire gli oligarchi legati a Putin e il Fondo di investimento diretto russo; fare pressioni sulla Germania per bloccare l’apertura del nuovo gasdotto tra Russia e Nord Europa, il Nord Stream 2; e poi la così detta ‘opzione nucleare’: tagliare l’accesso di Mosca al sistema di messaggistica bancaria internazionale SWIFT.
L’Unione europea, da parte sua, si prepara a imporre sanzioni contro l’appaltatore militare privato russo Wagner Group, che fornisce mercenari russi al Cremlino che sarebbero attivi, tra l’altro, in Ucraina, come in Siria piuttosto che in Libia. Tali sanzioni colpirebbero anche otto persone e tre entità collegate a Wagner.
Una pressione economica, insomma, che è una vera e propriaguerra‘, una guerra in cui, invece di usare attrezzi militari, si usano gli attrezzi finanziari.

L”attrezzo’ gasdotto Nord Stream 2 è quello forse più problematico e non è tra quelli solitamente elencati dall’Amministrazione Biden tra le sanzioni che si stanno studiando, ma che è stato tra le sanzioni al centro dell’attenzione dei ministri degli Esteri del G/. Il motivo è che se è vero che è tra le misure che colpirebbero di più l’economia russa-come cercare di frenare severamente le esportazioni di petrolio- è anche vero che si ritorcerebbe contro gli alleati europei. I lavori del gasdotto sono completati, si resta in attesa dell’approvazione da parte del regolatore energetico tedesco prima che possa entrare in funzione. «Le riserve di gas sono insolitamente basse in Europa in questo momento, e ci sono preoccupazioni per la carenza e l’impennata dei prezzi con l’avvicinarsi dell’inverno», afferma Patricia Cohen, corrispondente economia da Londra del ‘New York Times‘. «La Russia fornisce più di un terzo del gas europeo attraverso il gasdotto Nord Streamattivo ed è già stata accusata di limitare le fornitureper fare pressione sulla Germania affinché approvi il Nord Stream 2». Secondo alcune fonti, i membri della nuova coalizione di governo tedesca hanno espresso scetticismo sul progetto, per tanto è addirittura possibile che venga cancellato del tutto in caso di invasione russa dell’Ucraina.Domenica il nuovo Ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, a margine del G7, ha affermato che il gasdotto non sarà autorizzato a funzionare in caso di nuova escalation in Ucraina, in base ad un accordo tra Berlino e Washington. «In caso di ulteriore escalation questo gasdotto non potrebbe entrare in servizio», ha detto Baerbock.
Ugualmente, «Washington potrebbe imporre sanzioni molto più radicali a particolari società e banche in Russia che ridurrebbero più severamente gli investimenti e la produzione nel settore energetico.
Il rischio di sanzioni dure su un’azienda come Gazprom, che fornisce gas naturale, è che la Russia possa reagire tagliando le sue consegne all’Europa», prosegue Cohen.
Le sanzioni contro la più ampia industria energetica russa sembrano dunque improbabili, perché potrebbero essere un boomerang e innescare prezzi del gas ancora più alti in Europa e negli Stati Uniti.

Piuttosto, afferma sempre Cohen, «In termini di aumento della pressione, James Nixey, direttore del programma Russia-Eurasia presso il think tank di Chatham House, ha suggerito che schiacciare finanziariamente gli oligarchi che aiutano Putin a mantenere il potere potrebbe essere un modo per esercitare una pressione più mirata».
Brian O’Toole, un ex funzionario del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ed esperto di questioni economiche presso l’Atlantic Council, sentito da Amy Mackinnon, esperta di sicurezza nazionale e intelligence, per il ‘Foreign Policy‘, «ritiene che gli Stati Uniti e i suoi alleati europei prenderanno di mira le banche russe che servono l’élite del governo russo, inclusa la banca di sviluppo russa VEB, come primo passo prima di prendere di mira banche commerciali più grandi, come Sberbank of Russia. «Sberbank ha circa il 50 percento del mercato dei consumatori in Russia, quindi [le sanzioni] avrebbero un grande impatto sui comuni cittadini russi», ha detto O’Toole. «Mentre se insegui VEB, che è essenzialmente come un salvadanaio per il Cremlino … essenzialmente prendi di mira i ‘compari’, il centro di potere intorno a Putin». Nel mirino del gruppo che studia il pacchetto di sanzioni ci sarebbe anche Gazprombank.
Ad aprile, gli Stati Uniti hanno vietato alle istituzioni finanziarie statunitensi di acquistare nuove emissioni di titoli di Stato russi, con un effetto trascurabile. Washington, secondo fonti di ‘The Guardian‘, potrebbe andare molto oltre e sanzionare il mercato secondario dei bond russi.

E poi c’è l”opzione nucleare‘, l’ultima risorsa, la misura estrema di isolare la Russia dal sistema di pagamenti internazionali noto come SWIFT, che sposta denaro in tutto il mondo, così definita, nel 2019, dall’allora Primo Ministro russo, Dmitri A. Medvedev, che ha etichettato l’opzione come ‘una dichiarazione di guerra’.
SWIFT sta per Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, è stata fondata nel 1973, ha sede in Belgio e gestisce i pagamenti inte
rnazionali tra migliaia (più di 11mila) di banche in più di 200 Paesi.
La Russia è fortemente dipendente da SWIFT a causa delle sue esportazioni multimiliardarie di idrocarburi transate in dollari USA. Il taglio porrebbe fine alle transazioni internazionali,innescherebbe la volatilità delle valute,causerebbe massicci deflussi di capitali, ha affermato Maria Shagina in un rapporto per il Carnegie Moscow Center. «La mossa causerebbe un caos significativo a breve termine, sia all’interno della Russia che per le società internazionali che operano lì», afferma Amy Mackinnon. «Tagliare la Russia fuori da SWIFT potrebbe non essere di per sé un’opzione nucleare, ma i mercati spaventati potrebbero trasformarla in tale opzione. “Non sarà questo tecnicismo a minare l’economia russa, ma sarà il modo in cui il mercato reagirà in modo eccessivo”, ha detto Shagina. “Il rublo russo crollerà e molti investitori si ritireranno dall’economia russa”».
La ‘minaccia SWIFT’ per la Russia non è nuova, le prime richieste di scollegare le banche russe dalla rete di trasferimento di denaro sono emerse nel 2014, in risposta all’annessione della Crimea da parte di Mosca e al suo ruolo nel conflitto in Ucraina. Allora si stimò che una tale misura sarebbe costata alla Russia il 5% del PIL.
Così,
fin dal 2014, la Russia ha provato attrezzarsi per contrastare la minaccia, lo ha fatto sviluppando un proprio sistema per elaborare le transazioni nazionali. L’alternativa elaborata da Mosca è una rete di messaggistica finanziaria sviluppata a livello nazionale chiamata SPFS. Il sistema funziona secondo gli stessi standard di SWIFT ed è già utilizzato in Russia. SPFS dialoga però solo con il sistema di pagamento interbancario transfrontaliero cinese, con quello iraniano (SEPAM), e con quello indiano.
L’altra faccia della medaglia dell’opzione nucleare, sono le conseguenze dannose per le imprese, soprattutto europee.
Scollegare la Russia dallo SWIFT avrebbe un costo non indifferente per l’Europa, i cui Paesi hanno una fitta rete di affari con la Russia. Per questo la probabilità che questa opzione venga attuata fino ad ora è rimasta bassa. L’alto livello di interconnessione della Russia con l’Occidente ha dunque funzionato da scudo. 
Secondo alcuni analisti, gli Stati Uniti e la Germania perderebbero di più se la Russia fosse disconnessa, perché le banche statunitensi e tedesche sono gli utenti SWIFT più frequenti nelle comunicazioni con le banche russe.

In tutto ciò, sorge un dubbio: le sanzioni funzionano? Queste sanzioni nello specifico funzioneranno?

Il tema si sta dibattendo molto in queste ore negli Stati Uniti, e i dubbiosi sono la maggioranza.
Storicamente, le sanzioni economiche hanno un
track record misto, con più fallimenti che successi. Jeffrey Schott, analista del Peterson Institute for International Economics che ha trascorso decenni a studiare il tema, afferma che le sanzioni sono «una cassetta degli attrezzi limitata». Per quanto riguarda le sanzioni che già da tempo colpiscono la Russia relative all’Ucraina «finora, l’impatto è stato trascurabile», ha affermato James Nixey. Con le sanzioni, i russi hanno imparato a convivere, in parte perché l’attuazione è stata lenta o scarsa, e in parte perchè gli effetti sull’economia russa sono gestibili. Secondo Nixey, le misure del 2014, comunque, molto probabilmente hanno dissuaso il Cremlino da ulteriori interventi militari in Ucraina. E un rapporto dell’Atlantic Council pubblicato in primavera è arrivato alla stessa conclusione.

David Cortright, Direttore degli studi politici del Kroc Institute for International Peace Studies dell’Università di Notre Dame, che in materia di sanzioni ha realizzato uno studio specifico conl’esperto di sanzioni economiche George Lopez, sostiene che possono essere efficaci in alcune situazioni, ma in questo caso ci sono non pochi problemi. Perchè le sanzioni contro il sistema finanziario russo, comprese le sue più grandi banche e la capacità di convertire i rubli in dollari, siano efficaci, «gli Stati Uniti hanno bisogno di alleati».
Le sanzioni unilaterali, senza il sostegno o la partecipazione di altri grandi Stati o delle Nazioni Unite, raramente funzionano. «In un’economia mondiale sempre più globalizzata, le sanzioni unilaterali affrontano enormi ostacoli, anche se imposte dalla più grande economia mondiale. Uno studio fondamentale pubblicato nel 1997 dal Peterson Institute for International Economics ha rilevato che le sanzioni unilaterali statunitensi hanno raggiunto i loro obiettivi di politica estera solo nel 13% dei casi. Ricerche quantitative più recenti mostrano che le sanzioni multilaterali che coinvolgono diversi Paesi sono più efficaci delle misure unilaterali». Quando un Paese preso di mira deve affrontare sanzioni unilaterali, cerca legami commerciali altrove, rafforza quelli già esistenti con altri Paesi.
Per la Russia lascappatoiapotrebbero essere Cina e UE. «Negli ultimi anni, la Russia ha aumentato le sue relazioni commerciali e la cooperazione energetica con la Cina, il che la renderà meno suscettibile alla pressione economica degli Stati Uniti». La Russia, poi, è il quinto partner commerciale dell’Unione europea, mentre l’UE è il più grande della Russia, e fornisce all’Europa gran parte del suo gas naturale. Gli ampi legami commerciali di Mosca con gli Stati dell’UE consentirebbero, dunque, a Mosca di mitigare gli impatti delle sanzioni che non hanno il pieno sostegno e la cooperazione europea.
Gli alleati europei, però, è evidente che sono stati convinti delle valutazioni dell’intelligence statunitense. «L’aggressione deve avere un prezzo, motivo per cui comunicheremo questi punti in anticipo alla Russia», ha detto il 10 dicembre la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in una conferenza stampa congiunta con il nuovo cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Von der Leyen ha aggiunto che la UE non dichiarerà pubblicamente quali «sanzioni e altre misure in tutti i settori economici e finanziari» potrebbero essere adottate se la Russia dovesse invadere l’Ucraina.
Se tutti i membri dell’UE accetteranno di assecondare gli USA, allora il quadro non è più quello di sanzioni unilaterali e la prospettiva cambia, sostiene David Cortright. Se, infatti, ci fosse il sostegno agli USA, per Mosca la ‘scappatoia’ UE svanirebbe.
In questa prospettiva, però, a subire le conseguenze di gran parte delle sanzioni americane (SWIFT e gas in primis) sarebbero le economie europee. Inoltre, negli ultimi anni, «l’Unione Europea ha privilegiato strategie diplomatiche piuttosto che sanzioni economicheper decidere il futuro dell’Ucraina». Dunque, perchè l’UE dovrebbe sostenere sanzioni USA che potrebbero ritorcersi contro i Paesi dell’Unione, quando, tra l’altro, il suo strumento di pressione preferito nell’ultimo periodo è la pressione diplomatica in luogo di quella economica?
Per l’altro verso, la questione solleva un secondo fattore «che influenza l’efficacia delle sanzioni:
l’importanza di combinare le sanzioni con la contrattazione diplomatica», afferma Cortright. Le «sanzioni funzionano meglio quando misure più coercitive sono associate a una sorta di carota per incentivare la conformità». «L’offerta di revocare le sanzioni può essere un’efficace merce di scambio per persuadere il regime preso di mira a modificare le sue politiche», unitamente alla promessa di apertura o riapertura delle relazioni diplomatiche e commerciali .
In sintesi, conclude David Cortright, «È
improbabile che la minaccia di Biden di nuove sanzioni alla Russia abbia un grande impatto sul comportamento di Putin, a meno che gli Stati europei non sostengano e partecipino alla decisione. Un approccio alternativo potrebbe essere quello di sostenere i tentativi europei di negoziare una soluzione, utilizzando l’offerta per allentare le sanzioni attuali come incentivo a ridurre la pressione su Kiev».

Alexander Vindman, tenente colonnello dell’Esercito americano in pensione e già direttore per gli affari europei e russi presso l’United States National Security Council (NSC), dal 2018 al 2020, dalle colonne del ‘New York Timesavvisa che le misure economiche punitive degli Stati Uniti potrebbero «non essere sufficienti a scoraggiare Putin. La Russia ha accumulato un fondo di guerra da 620 miliardi di dollari per resistere alla più paralizzante delle sanzioni, e Putin comprende che è improbabile che tali sanzioni vengano davvero applicate, dal momento che anche gli alleati americani in Europa ne sarebbero danneggiati». E in questa prospettiva, Vindman, in qualche modo, ribalta la questione: invece di concentrarsi sulle sanzioni alla Russia,concentrarsi sul sostegno dell’Ucraina, invece di sanzioni, ricompense, investimenti.
Posto che
in gioco, dalla prospettiva americana e europea, secondo Vindman, c’è «il ruolo vitale che una Ucraina libera e sovrana gioca nel promuovere gli interessi degli Stati Uniti», ma anche dell’Europa, «contro quelli di Russia e Cina», che è vantaggiosa «l’esistenza di una Ucraina forte, democratica e indipendente come potenza al crocevia tra Russia, Asia centrale, Medio Oriente ed Europa meridionale», e posto che la Russia di Putin punta a «riconquistare una sfera di influenza sui suoi più importanti possedimenti imperiali, Ucraina e Bielorussia», ci si deve comportare di conseguenza. Serve entrare nell’ottica di un «investimento generazionale sull’Ucraina».
«
Gli Stati Uniti devono sostenere l’Ucraina fornendo assistenza militare più ampia, un impegno diplomatico profondo e sostenuto e, soprattutto, una cooperazione economica». In collaborazione con l’Europa, i «negoziati con la Russia dovrebbero essere affrontati a livello di sicurezza europea», si deve «coinvolgere l’Ucraina in iniziative bilaterali a più lungo termine sulla sicurezza, le riforme e la cooperazione economica», serve «sostegno agli investimenti commerciali americani attraverso la Development Finance Corporation, e in tutto ciò Washington deve mantenere e stabilizzare un «rapporto di alto livello più sostenuto con l’Ucraina che non è definito dal fatto che Kiev sia in crisi o meno».
Queste azioni non solo metterebbero al sicuro l’Ucraina, ma una prospera Ucraina sostenuta dagli USA in un quadro di cooperazione con l’Europa, «rende una Russia autoritaria impraticabile a lungo termineIl successo dell’Ucraina capovolgerebbe le aspirazioni irredentiste della Russia all’impero ed evidenzierebbe i fallimenti del Cremlino» «I contorni del netto contrasto tra una prospera Ucraina democratica e una Russia repressiva ed economicamente stagnante sono già evidenti. Questo è, in gran parte, il motivo per cui Putin ha bisogno che l’Ucraina sia uno Stato fallito». Un sostegno così costruito capovolgerebbe la situazione; Putin, invece di un ‘vicino’ fallito, si troverebbe un ‘vicino’ performante. E «il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina potrebbe anche aiutare a creare un cuneo tra Cina e Russia». 

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