Se il 21 febbraio 2022 è stato il giorno del riconoscimento, da parte della Russia, dell’indipendenza delle due autoproclamate repubbliche separatiste del Donbas, la Repubblica Popolare di Doneck (DNR) e la Repubblica Popolare di Lugansk (LNR), e dell’ordine d’invio dell’esercito russo nell’area per una ‘missione di peacekeeping’, il 22 ottobre è stato il giorno della punizione della Russia, ovvero delle sanzioni che Stati Uniti, UE e loro alleati, hanno inflitto alla Russia per quanto deciso il giorno prima.
Il Presidente USA, Joe Biden, il 21 febbraio, subito dopo l’annuncio del riconoscimento delle repubbliche separatiste da parte della Russia, aveva firmato un ordine esecutivo che vieta nuovi investimenti, scambi e finanziamenti statunitensi nelle regioni sostenute dai separatisti. Azione simbolica. Le sanzioni vere e proprie sono arrivate ieri. Prendono di mira le istituzioni russe chiave, oltre a cinque membri della cerchia ristretta di Putin, che secondo Biden «partecipano ai giochi corrotti delle politiche del Cremlino».
Nello specifico l’Amministrazione Biden ha imposto ‘sanzioni di blocco totale‘ alle banche VEB, di proprietà statale, e alla Promsvyazbank(PSB), insieme a 42 delle loro filiali, nonché sanzioni globali sul debito sovrano russo. L’intervento sul debito sovrano è stato progttato per isolare la Russia dal finanziamento da parte dell’Occidente. Probabilmente è la misura più severa. Le misure contro VEB e PSB impediscono loro di fare affari negli Stati Uniti e bloccano il loro accesso al sistema finanziario statunitense. I beni negli Stati Uniti vengono immediatamente congelati, secondo il Dipartimento del Tesoro.
Gli oligarchi legati al Cremlino sanzionati dall’Amministrazione Biden sono: Aleksandr Bortnikov e suo figlio Denis Bortnikov, Sergei Kiriyenko e suo figlio Vladimir Kiriyenko, e Petr Fradkov. Questi interventi sono probabilmente quelli che più fanno innervosire il Presidente Putin, lo colpiscono nel vivo del suo potere con l’obiettivo che la misura possa essere una pressione sul Cremlino.
Fradkov è il Presidente e Amministratore delegato di PSB, che si concentra principalmente sul finanziamento delle iniziative di difesa russe. Aleksandr Bortnikov è il capo dell’FSB russo, il servizio di sicurezza del Paese e successore del KGB sovietico. È anche membro del consiglio di sicurezza nazionale di Putin. Suo figlio, Denis, è il vicepresidente di un istituto finanziario statale.
Sergei Kiriyenko è il primo vice capo di stato maggiore di Putin e il ‘curatore della politica interna’ del leader russo, secondo quanto sostenuto dalle fonti USA. Suo figlio Vladimir è l’Amministratore delegato della società madre che possiede la più grande piattaforma di social media della Russia.
In linea con l’intervento statunitense, i Ministri degli Esteri dell’Unione europea hanno concordato ieri un primo pacchetto di sanzioni che prendono di mira individui e banche, nonché la capacità dello Stato e del governo russi di accedere al capitale e alla finanza dei mercati UE. Le sanzioni hanno colpito in particolare 27 persone ed entità russe che coprono i settori politico, militare, economico e dei media, nonché 351 membri del Parlamento russo che hanno votato per riconoscere le regioni di Luhansk e Donetsk come indipendenti.
Il colpo più duro per Putin è arrivato dalla Germania, con la decisione, inattesa da molti osservatori europei e americani, di sospendere l’approvazione del gasdotto Nord Stream 2 il gasdotto che collega la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico. Potenzialmente l’impatto è importante, più ancora che econmico (il gasdotto non è ancora in funzione), politico, ma potrebbe finire per danneggiare la Germania e il resto dell’Europa, più di quanto non possa danneggiare la Russia, affermano gli analisti.
Il Primo Ministro del Regno Unito, Boris Johnson, ha annunciato che le sanzioni economiche che il Paese ha confezionato colpiscono cinque banche russe e tre oligarchi russi. Le banche colpite dalle sanzioni del Regno Unito includono Rossiya, Black Sea Bank, Genbank, IS Bank e Promsvyazbank. I tre oligarchi sanzionati dal Regno Unito sono Igor Rotenberg, suo zio Boris Rotenberg e Gennady Timchenko. I tre avranno i loro beni nel Regno Unito congelati e sarà loro vietato viaggiare nel Paese.
Igor Rotenberg, figlio maggiore del miliardario russo Arkady Rotenberg, è il comproprietario di Rt-Invest Transport Systems, l’operatore del sistema di pedaggio autostradale britannico per i mezzi pesanti. Arkady Rotenberg, molto vicino al Presidente Putin, nel 2015 aveva girato al figlio parte delle sue partecipazioni in alcuni colossi energetici russi dopo essere stato colpito da sanzioni Usa.
Nel 2018 anche Igor fu però inserito nella ‘lista nera’ di Washington.
Boris Rotenberg, fratello minore di Arkady, è comproprietario della banca russa Smp, fondata nel 2001. I Rotenberg sono accusati di aver finanziato le milizie separatiste filorusse nel Donbass.
Gennady Timchenko, considerato da ‘Forbes‘ il sesto uomo più ricco di Russia, è il proprietario di Volga Group, una holding con vasti interessi nei settori di energia, trasporti e infrastrutture. Timchenko fu sanzionato dagli Usa dopo l’annessione russa della Crimea perchè ritenuto parte della ‘cerchia ristretta’ di Putin, con il quale vanta rapporti d’amicizia.
Il Giappone, che solo nelle prossime ore dettaglierà le sanzioni adottate, ha annunciato che le sue sanzioni includono il divieto di emissione di obbligazioni russe in Giappone e il congelamento dei beni di alcuni individui russi, nonché la loro limitazione dei viaggi nel Paese. Il governo ha detto di essere pronto a condividere le sazioni decise dagli altri Paesi del G7.
L’Australia, attraverso il Primo Ministro, Scott Morrison, ha annunciato sanzioni contro cinque banche russe, tra cui la banca statale per lo sviluppo VEB, la banca militare Promsvyazbank, e contro i membri del consiglio di sicurezza della federazione «per garantire che i finanziatori del comportamento criminale e prepotente del regime non abbiano nessun posto dove nascondersi», ha detto Morrison. Divieti di viaggio e sanzioni finanziarie saranno applicati a otto membri del consiglio di sicurezza della Federazione Russa. Genericamente il Primo Ministro ha fatto riferimento a entità russe collegate a trasporti, energia, telecomunicazioni, petrolio, gas e minerali.
L’Australia estenderà anche le sanzioni attualmente imposte alla Crimea per includere Donetsk e Luhansk.
Il Canada, con il Primo Ministro, Justin Trudeau, ha annunciato che il governo vieterà ai canadesi di intrattenere qualsiasi rapporto finanziariio con i «cosiddetti Stati indipendenti» di Donetsk e Luhansk, oltre a vietare ai canadesi di impegnarsi in acquisti di debito sovrano russo, e sanzionirà i membri del Parlamento russo che hanno votato a favore della dichiarazione di indipendenza di Donetsk e Luhansk.
In conclusione: sanzioni fotocopie dall’originale USA.
A questo punto, le domande di fondo sono due. Quanto serviranno queste sanzioni? E quale sarà il costo economico e politico che queste sanzioni avranno per i sanzionatori?
Alcuni dati possono servire a impostare una prima risposta alla loro capacità di colpire la Russia.
Un rapporto di Daniel Lacalle, PhD, economista e gestore di fondi, docente di economia globale alla IE Business School di Madrid, fa il quadro in riferimento alle sanzioni inflitte alla Russia nel 2014. Dopo l’annessione della Crimea, l’Occidente ha imposto massicce sanzioni, comprese restrizioni finanziarie e commerciali e il divieto di assistenza alle compagnie petrolifere e del gas russe.
«Il Fondo monetario internazionale (FMI) ha stimato nel 2015 che “le sanzioni occidentali e le controsanzioni russe hanno ridotto il prodotto interno lordo (PIL) reale russo inizialmente dell’1-1,5% e che sanzioni prolungate porterebbero a una perdita cumulativa ancora maggiore della produzione. Nel 2019, il FMI ha stimato che le sanzioni hanno ridotto il tasso di crescita della Russia di 0,2 punti percentuali ogni anno nel 2014-2018”.
L’impatto sui cittadini russi è ampio anche quando queste sanzioni sono rivolte a individui e banche statali. L’impatto più evidente è la perdita di potere d’acquisto della valuta locale, che è crollata nei confronti del dollaro USA, riducendo salari e risparmi in termini reali».
William Jackson della società di consulenza Capital Economics osserva che l’economia iraniana si è ridotta del 7% quando sono state imposte misure simili a Teheran, afferma ‘The Guardian‘. «Mentre la posizione finanziaria della Russia è più forte di quella dell’Iran, Jackson afferma che l’impatto di severe sanzioni potrebbe essere quello di ridurre del 4%-5% il prodotto interno lordo russo,spingere l’inflazione sopra il 10% e costringere la banca centrale a portare i tassi di interesse al 14%».
E però si osserva che la situazione della Russia è notevolmente diversa da quella del 2014, quando la Russia è entrata in Crimea. La Russia nel 2022 non è quella del 2014-15. «La Russia era allora economicamente molto più debole, attraversando una fase recessiva in seguito alla crisi finanziaria del 2014. Il Paese ha subito una massiccia svalutazione della valuta e la Banca centrale russa ha bruciato molte riserve di forex durante quel periodo cercando di mantenere a galla il rublo», afferma Anil Sasi, National Business Editor per ‘Indian Express‘. «Negli ultimi sette anni, Mosca è stata in grado di stabilizzare il sistema finanziario e all’inizio di febbraio aveva quasi 635 miliardi di dollari in riserve di oro e valute. Mentre le possibili sanzioni occidentali contro le banche russe potrebbero portare a un aumento della volatilità del mercato, è probabile che la Russia sia in grado di resistere alle restrizioni in considerazione delle sue abbondanti riserve, ha affermato la scorsa settimana il Ministro delle finanze russo Anton Siluanov. Siluanov ha affermato che le sanzioni contro le banche russe sarebbero ‘spiacevoli’, ma lo Stato si assicurerà che tutti i depositi presso le banche, tutte le transazioni, comprese le valute estere, siano garantite. “Grazie a Dio abbiamo abbastanza liquidità forex e riserve forex sufficienti”, ha detto Siluanov».
«La Russia resisterà alle nuove sanzioni nello stesso modo in cui ha fatto dal 2014», ha affermato Anastasiya Shapochkina, docente di geopolitica a Sciences Po, in un’intervista a ‘France 24‘ . «Le sanzioni imposte alla Russia nel corso degli anni hanno dimostrato di avere scarsi effetti». Semmai, sostiene Shapochkina, «la Russia è stata incoraggiata, perché parla il linguaggio delle mitragliatrici, non quello delle sanzioni economiche».
Circa i costi che dovranno sopportare i sanzionatori, secondo alcuni esperti, l’interdipendenza tra l’economia russa e quella dell’UE rende difficile per il blocco infliggere danni economici alla Russia senza danneggiarsi.
«L’UE si spara ai piedi imponendo sanzioni alla Russia», perché le aziende europee hanno investito pesantemente in Russia per decenni e soffrirebbero se le relazioni venissero interrotte, ha affermato Shapochkina.
Infatti, per l’Occidente le sanzioni contro la Russia hanno un costo, e tale costo aumenta man mano che il regime viene inasprito.
Daniel Lacalle, sempre prendendo a riferimento quanto accaduto con le sanzioni della crisi del 2014, fa un quadro che ipotizza i danni, della tornata di sanzioni 2022, per i sanzionatori. «Gli Stati Uniti non subiscono un impatto rilevante dalle sanzioni alla Russia. Hanno importato circa 30 miliardi di dollari dalla Russia nei primi undici mesi del 2021 ed hanno esportato 13,2 miliardi di dollari, secondo ‘Bloomberg‘. Tuttavia, subisce implicazioni indirette poiché i prezzi al consumo salgono a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari. La Russia è un attore globale rilevante nell’esportazione di metalli, prodotti agricoli ed energia e le sanzioni incidono sui prezzi marginali nei mercati globali.
L’Unione Europea ha molto più da perdere da un conflitto con la Russia rispetto agli Stati Uniti. Secondo Eurostat, la Russia è il quinto partner commerciale dell’Unione Europea, con importazioni di 177,9 miliardi di dollari ed esportazioni di 104,1 miliardi di dollari. Inoltre, la dipendenza dal gas naturale russo è molto alta, in particolare in Paesi come la Germania e la Repubblica Ceca. Undici Paesi dell’UE importano oltre il 50% del loro gas naturale dalla Russia. Per molti sarebbe impossibile compensare il flusso di gas russo con il gas naturale liquefatto portato dai camion anche se fossero disposti ad accettare prezzi proibitivi».
«L’impatto sull’Ucraina è enorme. In ‘The Economic Effect of Hybrid Wars‘, uno studio delle professoresse Julia Bluszcz e Marica Valente, mostrano che “gli effetti causali sono stimati calcolando la differenza annua del PIL pro capite tra l’Ucraina e la sua controparte dopo lo scoppio della guerra. I risultati indicano che il precedente PIL pro capite dell’Ucraina a causa della guerra del Donbass ammonta in media al 15,1% negli anni 2013-2017».
E poi c’è un impatto indiretto sull’economia globale. «Le crescenti tensioni in Ucraina stanno mostrando le crescenti differenze tra i Paesi occidentali e le Nazioni influenzate dalla Russia e dalla Cina. Non si tratta solo dell’Ucraina o dei flussi di gas naturale. L’Occidente sta perdendo influenza in Africa e in America Latina a favore della Cina e, in misura minore, della Russia.L’America Latina si sta lentamente spostando verso Cina e Russia, come dimostrano i messaggi del Presidente dell’Argentina e del neo nominato Primo Ministro cileno», sottolinea Lacalle.
«L’impatto del rischio geopolitico ha fatto salire i prezzi dell’energia e dei generi alimentari in tutto il mondo. L’aumento dei prezzi dei beni essenziali arriva dopo un anno terribile per i salari reali globali, erosi dall’inflazione alimentata dalle banche centrali. La crisi ucraina arriva nel mezzo di un evidente rallentamento delle maggiori economie dopo l’effetto placebo di massicci piani di stimolo. Questi rischi si aggiungono a uno scenario in cui molte economie si stanno avvicinando ancora di più alla stagflazione e le ramificazioni dureranno probabilmente più a lungo del conflitto stesso».
Lacalle rimanda, così, all’altro danno, che sarà pure collaterale, ma che a lungo andare sarà drammatico per l’Europa e l’Occidente in genere. Vladimir Fédorovski, ex diplomatico russo di origine ucraina, lo spiegava così, nei mesi scorsi, mentre la tensione tra Mosca e l’Occidente aumentava. I «russi hanno un’enorme capacità di resilienza. Accettano il fatto di essere resilienti con un atteggiamento bellicoso, mentre è meno probabile che l’Occidente accetti una guerra». «È probabile che la mancanza di crescita economica in Russia, unita all’isolamento dall’Occidente,abbia due conseguenze: una rinnovata era di tensioni tra Russia e Occidente, che potrebbe manifestarsi in una dimostrazione di forza sul campo, e la Russia che precipita in un’alleanza con la Cina. Tra il popolo russo prevale lasensazione che i Paesi circostanti dell’ex Unione Sovietica appartengano ancora alla Russia. C’è sconvolgimento in molti Paesi alla periferia russa: Bielorussia, Ucraina, Georgia, Kirghizistan, Moldova, Azerbaigian e Armenia. Un comune aforisma sovietico è ‘Tutti i Paesi ex sovietici sono infelici a modo loro’, e la Russia non fa eccezione alla regola».
Forse è indicativa la risposta alle sanzioni espressa dall‘ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, rilasciata in post sulla pagina Facebook dell’Ambasciata russa. «Le sanzioni non risolveranno nulla per quanto riguarda la Russia. È difficile immaginare che qualcuno a Washington conti sulla Russia per rivedere il suo corso di politica estera sotto la minaccia di restrizioni. Non ricordo un solo giorno in cui il nostro Paese sia vissuto senza alcuna restrizione dal mondo occidentale. Abbiamo imparato a lavorare in tali condizioni. E non solo sopravvivere, ma anche sviluppare il nostro Stato.Non c’è dubbio che le sanzioni imposte contro di noi danneggeranno i mercati finanziari ed energetici globali. Gli Stati Uniti non saranno esclusi, dove i cittadini comuni subiranno tutte le conseguenze dell’aumento dei prezzi».