martedì, 21 Marzo
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Russia, i tanti giochi di Sochi

Sochi 2014

Russia forte, Russia debole. Vladimir Putin, presidente al massimo del prestigio e leader politico vassallo del proprio progetto. Olimpiadi invernali di Sochi, sogno e incubo dei cittadini federali.Queste le condizioni di Mosca dopo il doppio attentato di Volgograd. E non solo perché mano criminali hanno spezzato la vita di trentaquattro persone innocenti. Il fondamentalismo religioso colpendo a circa due settimane dell’apertura dei Giochi invernali 2014,  ha riportato i riflettori su su tutto quello che la festa dello sport voleva mettere in secondo piano.Terrorismo sicuramente ma anche corruzione. Mali endemici che non affliggono solo la Russia, ma che toccano le élite di Mosca in modo particolare.

Nel 2007, presentando la candidatura della città sul Mar Nero a ospitare Olimpia 2014 il presidente russo aveva parlato delle ambizioni non solo della popolazione di Sochi ma di un Paese intero. Finora però più che un sogno i giochi invernali nella città caucasica si stanno rivelando un tesoro. Le previsioni di spesa fatte originariamente da Putin, dodici miliardi di dollari, si sono presto rivelate carta straccia. Nel  febbraio 2013 rifacendo i conti, il governo federale ha quadruplicato questa cifra. Sochi 2014 costerà infatti cinquanta miliardi di dollari. Quelle che inizieranno tra circa un mese saranno cosi le Olimpiadi più dispendiose della storia. Più care anche della loro variante estiva. I motivi dell’impennata del budget? Cattiva amministrazione e corruzione. Secondo Boris Nemzov, rappresentante dell’opposizione liberale è originario proprio di Sochi, il pegno sarebbe stato pagato anche dalle Olimpiadi.

Trenta i miliardi di dollari finiti nel pozzo di san Patrizio del malcostume pubblico del grande Paese slavo e ortodosso. Sequenze di un film già visto. Più importanti e prestigiosi sono gli impegni statali, più grande è il budget previsto per la loro realizzazione, tanto più è indispensabile per il Cremlino che i progetti abbiano completo successo. In questo caso è certo che i mezzi finanziari previsti per riuscita del piano crescano a dismisura. Un fenomeno spiegabile col fatto che ogni livello imprenditoriale coinvolto ha praticamente un potere di veto su ogni fase del progetto. Bilancio, materiali, forza lavoro. Tutto va discusso con tutti. E ognuno cerca di trarne il massimo vantaggio.

Il paradosso interno russo è proprio questo. La massima presenza dello Stato è al tempo stesso testimonianza della sua massima impotenza.  In questo senso quello che avviene a Sochi è paradigmatico. Accanto alla mano pubblica gli investimenti, spesso garantiti da banche statali, provengono da aziende e magnati poco a nulla interessati al bene comune. Chi dispone dei soldi ha potenti agganci con alta burocrazia e politica. Dove alla fine deve ritornare una parte del budget previsto per la realizzazione del piano. Nulla di nuovo sotto il sole.

Ammettere questi aspetti della realtà federale, non vuol dire togliere al progetto Sochi carica innovativa e i pregi ammessi dallo stesso CIO. Quelle di febbraio saranno infatti le Olimpiadi più compatte della storia. Grazie a strade a scorrimento veloce, collegamenti ferroviari e tutta una serie di infrastrutture nuove fiammanti, anche se care da morire,il viaggio tra Krasnaja Poljana, la valle dove si svolgeranno le competizioni, e la costa dovrebbe durare meno di quaranta minuti. Oltre a nuove vie di comunicazione, i 340mila abitanti di Sochi hanno visto sorgere un nuovo aeroporto e una nuova stazione. Il tutto ad Adler, il quartiere “olimpionico” della città. Nuove pipeline e centrali elettriche assicureranno rifornimenti elettrici senza interruzione. Migliaia di strutture alberghiere sono state rimodernate. Splendente, la nuova logistica attende solo la prova dei fatti.

A Sochi però non sono solo in ballo economia e il prestigio politico interno di Vladimir Putin. Anche la politica estera e’ parte di Olimpia 2014. La decisione di liberare Mikhail Khodorkovsky presa a meta’ dicembre dal presidente russo non e’ avvenuta a caso. L’ex leader della Yukos da tempo non è più un pericolo per il Cremlino. Il via libera del miliardario verso la Germania va invece letto come l’ennesima mossa nella partita a scacchi interna al gruppo dirigente russo. Dal momento in cui, nel 2000, e’ diventato presidente Putin si è posto il compito di fare da punto di equilibrio tra le diverse fazioni in lotta. Ogni volta che un clan punta alla preminenza, esiste il rischio  della fine di questo ruolo arbitrale. Cosi stava avvenendo nel 2012. La rielezione di Putin ha visto infatti il ritorno in grande stile di servizi segreti, forze di sicurezza e giustizia. Queste le strutture cui il presidente ha dovuto allentare le briglia per reprimere opposizione e società civile. Falchi cui ora bisogna tagliare le unghie. Da qui non solo la liberazione invernale di Khodorkovsky, ma anche le aperture autunnali verso Alexej Navalnyj. Il blogger cui e’ stato permesso di prendere parte alle elezioni di Mosca.

Il successo dei Giochi sullo sfondo del “liberalismo” presidenziale, oltre al prestigio per Olimpiadi svolte alla perfezione e in sicurezza, avrebbe fatto rientrare nei ranghi l’ala dura del putinismo. Fino alla prossima mossa. Che pero’ purtroppo e’ arrivata puntuale col doppio attentato del 29 e 30 dicembre. Il rischio e’ che ora la giostra torni al punto di partenza, ridando spazio alle strutture federali delle forza.

Anche se qui le responsabilità non vanno tutte addossate agli attuali ceti governativi. Dal 1991 un terzo degli scontri territoriali e nazionali di quanto restava dell’Urss riguardava il Caucaso. Da allora però è iniziato un processo di trasformazione ideologica di questi conflitti. Nel Caucaso russo, le parole d’ordine della clandestinità armata e indipendenza nazionale sono state sostituite da quelle della resistenza islamica che vede nella jihad il proprio concetto fondamentale. La jihadizzazione in atto in Russia ha perso qualsiasi fondamento etnico, tribale o locale. Spazzati via i riferimenti storici tutto si concentra, per assurdo ciò possa sembrare, sulla nascita di un Emirato islamico del Caucaso al cui centro vi sarebbe proprio la città sul Mar Nero.

Allucinazioni ma anche pericoli che la Russia non può e non deve affrontare da sola. Non tanto per la vicinanza del Caucaso all’Europa, ma per il dovere di tutti di combattere l’espansione sul continente euroasiatico di estremismo e terrorismo religioso. Per tale ragione dopo la duplice strage di Volgograd i leader occidentali che hanno annunciato di non voler essere presenti a Sochi, dovrebbero ripensare la propria decisione. Senza mettere la sordina alle proprie critiche su stato della democrazia e diritti civili in Russia, Camerun, Gauck, Hollande e Obama dovrebbero far capire di essere solidali con Mosca in un momento tanto delicato. In Germania l’annuncio del presidente tedesco di non andare a Sochi ha visto la nascita di un dibattito simile. Non andare o andare parlando chiaro? Depurata dalle componenti di opportunismo economico questa seconda posizione e’ giusta a maggior ragione dopo gli scoppi di Volgograd. Solo chi non conosce la psicologia di un popolo come quello russo può dirsi indifferente alla battaglia che Mosca conduce contro il terrorismo religioso. In questo senso la diplomazia italiana potrebbe svolgere un ruolo moderatore. Il nostro ministero degli Esteri dovrebbe fare il poco che e’ in suo potere per convincere i leader mondiali ad essere presenti a Sochi il sette febbraio. Non sarebbe solo una festa di sport a trarne vantaggi. 

 

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