Il nuovo asset strategico di Mosca, in odore di chiusura in Siria, sembra puntare dritto verso la Libia.
La fondamentale proiezione della Libia nel Mediterraneo permetterebbe alla Russia di aumentare gli hub strategici nella regione e insinuarsi nelle controverse questioni petrolifere.
Nonostante non disdegni l’uso della componente militare per ottenere influenza geopolitica, Mosca ha compreso, almeno per la Libia, l’importanza di una diplomazia alternativa rispetto a quella tradizionale.
Non potendo intervenire in maniera diretta nello scenario libico, per ragioni diverse che più avanti vedremo, il Presidente Putin ha bisogno di un’‘espediente‘ che gli permetta di collegarsi con il Paese senza essere riconducibile ad esso. L’unico modo per creare questo portale che permette agli interessi russi di giungere fino in Libia senza metterci fisicamente piede è puntare sugli interessi petroliferi e strategici che possono essere perseguiti anche con strumenti diversi da quelli tradizionali. Ma perché la Russia avrebbe bisogno di una diplomazia ‘alternativa‘ -economica- per entrare in Libia? Come premessa a questa domanda bisogna ricordare che la Russia è ancora membro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, organismo internazionale che attualmente supporta il Presidente Al Fayez al-Serraj riconosciuto come unico interlocutore per gli affari libici.
Il Presidente Serraj viene non solo sostenuto dall’Onu, ma aiutato e supportato nelle manovre militare in chiave anti IS dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, Italia compresa. Con il supporto americano è prevedibile che, in un clima di pacificazione, la Libia conceda maggiore influenza strategica ad essi piuttosto che alla Russia, aumentando la proiezione militare USA (e dunque NATO) nel Mediterraneo a danno del Cremlino. Non potendo permettere che il fragile equilibrio raggiunto con l’ingerenza in Siria venga messo a repentaglio da un allargamento in una zona così fondamentale come il Nord Africa, la Russia dovrà lavorare di cesello per evitare che Serraj continui ad appoggiare i suoi oppositori.
Con tali premesse, si intende sottolineare come sia del tutto normale che Vladimir Putin si sia interessato alla Libia e che lo stia facendo supportando, in modo non troppo velato, il Generale Khalifa Haftar, che riveste un ruolo chiave nel disegno del Cremlino Nel mese di ottobre 2016, un’esercitazione congiunta tra Mosca e il Cairo, pericolosamente vicino al confine libico, ha lanciato i primi dubbi sulla possibile ingerenza russa negli affari del Paese, dubbi poi suffragati nei mesi successivi da almeno due incontri tra Haftar ed i rappresentanti della politica di Mosca. Negli ultimi sette mesi, la Russia, ha intrapreso rapporti diplomatici non solo con i rappresentanti di Tobruk, con cui intrattiene rapporti più stretti, ma anche con Tripoli. I rapporti sono ufficialmente mirati alla distensione tra le due parti per ottenere un terreno d’incontro fertile dove sviluppare un Governo condiviso ed un dialogo bilaterale per riportare un controllo territoriale effettivo in Libia al fine di evitare un nuovo fiorire di galassie jihadiste nel Paese.
Nonostante la duplice via diplomatica intrapresa, Mosca ha inviato, al Generale Haftar, mezzi corazzati, munizioni, sistemi radar e di sorveglianza aggirando l’embargo in vigore da diversi anni, con la complicità dell’Algeria, di rimando Tobruk ha promesso di facilitare ai russi l’accesso nei porti e negli aeroporti della Libia. Queste ad oggi sono indiscrezioni emerse da fonti diplomatiche algerine su ‘Middle East Eye‘ ma che sembrano dar credito alla volontà russa di sostenere una sola delle due parti in causa a totale vantaggio della sua proiezione nel Mediterraneo. Come prima sottolineato, la Russia è membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che sostiene non Haftar ma Serraj, Mosca, dunque, non può giocare a carte scoperte sul suolo libico, il che rende necessario un diversivo per agganciare gli interessi russi a quelli libici a favore di un sostegno di Tobruk ed è qui che subentra il fattore petrolifero.
Il colosso petrolifero russo, Rosneft, di cui quasi il 20% è posseduto dall’angloamericana BP, fa capo per il 50% al Govenro russo, ha espanso la sfera d’influenza della Russia nel Nord Africa con un’operazione che potremmo sicuramente definire come la più importante degli ultimi tempi in Libia.
Nel mese di febbraio, è stato siglato, un accordo di cooperazione con la National Oil Corporation (Noc) ovvero l’ente petrolifero della Libia, che getta le basi per importanti e futuri investimenti nel settore petrolifero, il quale auspica ritornare competitivo sul mercato in tempi brevi.
L’intesa è stata firmata dal Presidente della Noc, Mustafa Sanalla, e da Igor Sechin, Amministratore Delegato di Rosneft, nonché stretto consigliere del Presidente Vladimir Putin, a margine della Ip Conference a Londra.
In molti si sono stupiti che il Presidente Putin abbia preferito la Rosneft alla più conosciuta Gazprom, il motivo di tale scelta sarebbero da imputarsi ad un legame più solido con l’Amministratore Delegato di Rosneft a cui il Presidente russo ha espresso a più riprese la sua stima e la piena fiducia.
L’accordo siglato prevede la creazione di un comitato congiunto di lavoro tra i due partner per valutare le opportunità in una serie di settori, inclusi quelli dell’esplorazione e della produzione di greggio.
Lavorando con la Noc, Rosneft e Mosca possono svolgere in Libia un ruolo importante e costruttivo, lo stesso che ha l’Italia con Eni, per riportare gli investimenti internazionali nel Paese e garantire la ripresa di una nuova economia legata al petrolio ed alle attività estrattive del gas. L’obiettivo principale per il Noc rimane la produzione e la stabilizzazione dell’economia legata alle attività energetiche di cui la Libia è sempre stata leader regionale.
La Russia, che prima della caduta di Gheddafi aveva ampi interessi nel Paese, sta cercando di recuperare la leadership di cui godeva prima della caduta del Rais. Non è da sottovalutare il fatto che la Libia sia uno dei tre Paesi membri dell’Opec esclusi dal tetto alla produzione di greggio deciso dal cartello per sostenere la domanda.
Le autorità libiche hanno, dunque, dichiarato che il piano per il 2017 è quello di aumentare la produzione di 1,7 volte fino ai 1,75 milioni di barili al giorno.
La Compagnia energetica libica (Noc) è forse l’unica istituzione del Paese che riesce a svolgere, in questo momento storico, un ruolo unificatore nell’instabilità generale. Il suo Presidente Sanalla, dopo mesi di negoziati con milizie, tribù e clan locali, è riuscito a far ripartire l’attività nei giacimenti dell’Ovest – Sharara, il più vasto del Paese, ed el-Fil -, e a collaborare con Haftar – che controlla le installazioni dell’Est – anche se questo, in un primo momento, aveva tentato di vendere indipendentemente il greggio all’estero.
Attraverso la sua presenza in loco, con una partecipata al 50%, Mosca, grazie agli interessi petroliferi, giustificherebbe in primis una maggior spinta a voler sistemare il caos libico che la porterebbe ad avere rapporti sia con l’una che con l’altra parte in modo del tutto normale.
Il tentativo di ingerenza russo negli affari libici rischia di diventare un terreno di battaglia meno brutale ma pur sempre simile a quello siriano, dove con le accuse mosse alla NATO ed agli Stati Uniti -di non saper risolvere le problematiche internazionale- la Russia fa incetta di risorse ed influenza geopolitica.
Un ruolo rilevante potrebbe averlo l’Italia, che in tutto questo continua la sua partita privilegiata con al-Serraj, debole ma attualmente l’uomo più forte che la Libia ha.