La Gran Bretagna è sulla graticola: tra poche ore, due giorni dopo il 42esimo anniversario della prima elezione vinta da Margareth Thatcher (4 maggio 1979), avrà luogo il “Super Thursday”, super giovedì, un appuntamento elettorale (locale e regionale) storico in quanto mai prima d’ora (almeno dalla Seconda Guerra Mondiale), in un solo giorno, c’erano stati in palio oltre 5.000 posti di rappresentanza tutti insieme. Questo è dovuto alla pandemia che ha fatto slittare di un anno i voti previsti nel 2020, sommandoli a quelli già in calendario quest’anno.
In questa tornata elettorale sono in ballo oltre 5.000 seggi di cui 143 nei consigli inglesi (Liverpool, Manchester, Newcastle e Birmingham), 129 nel parlamento scozzese, 60 nell’Assemblea gallese, 25 nell’Assemblea di Londra senza dimenticare i 13 sindaci eletti direttamente (uno dei quali è quello di Londra, la capitale), 39 commissari di polizia e un’elezione suppletiva per il collegio elettorale di Hartlepool per Westminster. Si parla di quasi 50 milioni di persone chiamate alle urne.
Va poi considerato che, a differenza del passato, nessuno dei candidati sembra avere la vittoria in tasca. La pandemia del Covid-19 ha reso infattibili le campagne elettorali normali, quelle in cui il contatto con l’elettorato è continuo. Fino a tre settimane fa, del resto, il Paese era in lockdown e di certo gli assembramenti erano e sono rimasti, anche dopo le parziali riaperture, impossibili. Questo ha reso incerte anche le rilevazioni demoscopiche che, spesso, aiutano a capire l’orientamento degli elettori.
Trattasi dunque di un appuntamento cruciale anche in quanto si capirà molto di dove andrà il Paese, in vista elezioni generali che si terranno nel 2023. Per il partito conservatore e per la leadership e premiership di Boris Johnson quello di domani è un test importante per comprendere la valutazione dei cittadini sulla gestione della pandemia: se nella prima ondata il Premier inglese, Boris Johnson, sottovalutando la situazione, era arrivato tardi, nella seconda ondata la tendenza è stata invertita. Il Regno Unito è stato uno dei pochi Paesi ad imporre il lockdown totale e, nel frattempo, ad imbastire una campagna vaccinale serrata, potendo contare sul vaccino autoctono Astrazeneca, che è riuscita, ad oggi, a sfondare le 50 milioni di immunizzazioni (di cui 15 doppie dosi e 35 dosi singole) e ad abbattere drasticamente contagi e decessi.
Sul piatto dei meriti di Johnson, oltre ad aver fatto naufragare la Super League Europea, anche l’economia potrebbe essere un asso nella manica dei conservatori: secondo una nota di Goldman Sachs, il PIL del Regno Unito quest’anno è destinato a crescere di un ‘sorprendente’ +7,8% mentre, il FMI è più cauto prevedendo un +5,3%. Tuttavia rispetto a quelle previsioni ci sono stati segni di un’accelerazione nel ritmo della ripresa britannica, grazie alla rapidità con cui sono stati distribuiti i vaccini, che attualmente sono stati somministrati a più della metà della popolazione.
Va detto che, da quando è diventato Premier alle ultime elezioni generali anticipate, Boris Johnson non ha ancora affrontato un’elezione locale/regionale, causa COVID-19. Non ultimo, poi, l’inquilino di Downing Street è stato travolto da diversi ‘scandali’ che, a detta di molti osservatori, potrebbero pesare sulle votazioni. In particolare, la condizione economica di Boris Johnson ha monopolizzato il dibattito pubblico inglese degli ultimi giorni. Tutto è partito dalle spese dell’ultima moglie di Boris Johnson, Carrie Symonds, che si è guadagnata il soprannome di “Carrie Antoinette”, in chiaro riferimento a Maria Antonietta di Francia, quella che voleva offrire brioches al popolo affamato e che venne ghigliottinata dai rivoluzionari.
La coppia Johnson avrebbe, secondo quanto riportato dai media (sobillati dall’ex Rasputin di Boris Johnson, Dominic Cummings defenestrato lo scorso dicembre e ora alla ricerca di vendetta, secondo i più maliziosi), avrebbe affidato i lavori di ristrutturazione dell’appartamento dove abita al 10 di Downing Street alla designer Lulu Lytle per un valore totale di oltre 200mila sterline. Una cifra esorbitante per il Premier che guadagnerebbe solo 157mila sterline all’anno, anche considerando le spese quotidiane che, a parte l’affitto dell’alloggio che non deve essere pagato, devono sostenere in termini di bollette e vitto, anche questo molto discusso per il servizio di delivery su cui la coppia ha fatto conto per tutto il corso della pandemia, presso una costosa drogheria, rigorosamente bio. Se poi si ricorda che Boris Johnson ha anche una ex moglie, che vive ancora in una casa di sua proprietà, e 4 figli ormai tutti più che maggiorenni, e un’altra figlia avuta dalla storia con la gallerista Helen McIntyre, si possono ben capire i sospetti che nutrono i sudditi di Sua Maestà, che vanno al voto il 6 maggio dato che, secondo quanto emerso, a pagare il conto di 58 mila sterline (circa 70 mila euro) sarebbe stato il partito conservatore, il che sarebbe una palese violazione del codice ministeriale. Non a caso il partito laburista ha reclamato una inchiesta ufficiale.
Un altro ‘affaire’ è stato spifferato dal ‘Daily Mail’ il tabloid più letto del Regno Unito, le cui pagine hanno riportato che nell’autunno scorso Boris Johnson avrebbe detto in una riunione di governo che preferiva «vedere accatastarsi migliaia di corpi» a causa del COVID-19 piuttosto che imporre un nuovo lockdown. Il Premier ha definito le rivelazioni «spazzatura» e si è fatto difendere da tutti i ministri, nonostante la conferma della Bbc, della televisione Itv e del Times.
Al Premier inglese è stata anche rimproverata l’assoluta mancanza di circospezione nei contatti privati, quindi ufficiosi, con amici industriali e altri capi di Stato come il Principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammad bin Salman.
La newsletter settimanale britannica ‘rosa’ ‘Popbitch’ ha infine scoperto che il numero di telefono personale del Primo Ministro Boris Johnson è stato disponibile su internet per 15 anni, da quando, nel 2006 (a quel tempo era parlamentare britannico e due anni dopo sarebbe diventato sindaco di Londra), era stato pubblicato nel comunicato stampa di un think tank, rimasto ancora online e uguale fino a poche settimane fa. Di norma, ai ministri entrati in carica, viene attribuito un telefono “ufficiale” con un nuovo numero, ma possono mantenere anche quello personale.
Non si sa quanto questi ‘affair’ imbarazzanti – secondo molti creati ad arte dall’ex consigliere Cummings che lo ha aspramente criticato “per essere caduto ben al di sotto degli standard di competenza e integrità che il Paese si merita” – possano penalizzare i Tory, ma, nei sondaggi, sarebbero già scesi dal 45 al 40% (con i laburisti al 37)
Anche per i laburisti il Super Thursday costituisce un verdetto iniziale sul nuovo partito guidato da Keir Starmer, contribuendo a dare il termometro dell’apprezzamento della rivoluzione interna da parte degli elettori.
Dalle urne emergerà chiaramente anche in che modo gli elettori hanno metabolizzato la Brexit, avvenuta pochi mesi fa, e se, a partire da questa, il Regno Unito sarà ancora tale oppure se le istanze separatiste e indipendentiste cominciano a farsi strada nel Paese.
Ecco perché l’occhio di bue è puntato, anzitutto, sulla Scozia, in quanto dall’esito del voto e da come saranno distribuiti i 129 seggi del Parlamento di Holyrood dipenderà l’avvenire della battaglia indipendentista, non concorde con Londra sull’uscita dall’Unione Europea. Nello specifico, lo Scottish National Party (SNP) si battono affinché agli scozzesi venga chiesto se vogliono ritornare in seno all’Europa, mentre i liberaldemocratici e i conservatori laburisti si sono sempre detto contrari all’indipendenza.
Stando ai sondaggi, lo Scottish National Party (SNP), rimane ancora in pole position, contrastato dal Partito conservatore di Douglas Ross e il Partito laburista di Anas Sarwar. In rapida ascesa, affermano alcune stime, i Verdi scozzesi e i Liberal Democratici Scozzesi. Ma correranno anche partiti minori (ben 25) come Alba, il partito indipendentista dell’ex Primo ministro ed ex leader dell’SNP, Alex Salmond, dato all’11% ed entrare di diritto in maggioranza.
La vera incognita è lo scarto rispetto alle altre forze politiche. Un dettaglio non da poco visto che sono le prime elezioni a Brexit conclusa, ma sempre avversata in quella regione tanto che al referendum del 2016 il 62% degli scozzesi votò per il “Remain” e, anche in seguito, non è mai sopita la rivendicazione dell’uscita della Scozia dal Regno Unito e un ritorno nell’Unione Europea.
La scorsa settimana, 170 figure del mondo artistico e intellettuale – tra cui Roberto Saviano ed Elena Ferrante – hanno partecipato a redigere una lettera indirizzata ai leader europei nella quale si auspica che se la Scozia intende tornare in Europa, verrà accolta nel migliore dei modi: “Il processo consueto è che la Ue risponda a una richiesta di adesione solo qualora questa arrivi da un paese indipendente. La Scozia merita un iter diverso. Finché è legalmente parte del Regno Unito, il governo scozzese non può negoziare con l’Ue. Ma l’Ue può dichiarare che – poiché la Scozia è già stata a lungo parte dell’Unione – se diventasse legalmente e democraticamente indipendente non dovrebbe fare domanda come un “nuovo” Paese candidato. L’Ue e gli stati membri dovrebbero fare un’offerta di adesione aperta e unilaterale, una proposta eccezionale per andare incontro alle circostanze eccezionali della Scozia”, si legge nella missiva che precisa “Gli europei devono sempre battersi per democrazia e solidarietà. Vi chiediamo dunque di esprimere la nostra comune solidarietà con i cittadini della Scozia e di supportare la scelta democratica della Scozia sul suo futuro”.
Micheal Russell, Presidente del partito, ha affermato che sarebbe “auspicabile” che venga indetto un referendum sul rientro della Scozia in Europa, se quest’ultima deciderà di essere indipendente dal Regno Unito. Parole che hanno attirato opposizioni feroci a Russell, accusato di creare incertezza e confusione a pochi giorni dal voto. A difenderlo, la leader dell’SNP Nicola Sturgeon ribadendo la non necessità del referendum in quanto “Questa non è la mia politica. La maggior parte degli scozzesi vuole far parte dell’Ue”.
Un referendum bis sulla secessione della Scozia sarebbe “scriteriato e irresponsabile” ora che la Gran Bretagna della Brexit ha bisogno di unità per vincere la sfida del post Covid. Lo ha detto Boris Johnson, replicando oggi all’ultimo appello della leader indipendentista dell’Snp Nicola Sturgeon in vista del voto per il rinnovo del Parlamento scozzese: il più importante nella tornata amministrativa di domani nel Regno Unito. Il rilancio dell’economia e dell’occupazione sono “le vere priorità” della gente, ha tuonato il premier Tory. Non senza ricordare il no all’indipendenza suggellato “solo pochi anni fa” nel referendum del 2014.
È lecito immaginare che l’SNP prenderà qualsiasi tipo di maggioranza come mandato per un nuovo referendum sull’indipendenza, ma il numero dei voti sarà fondamentale. Certamente se conseguirà la maggioranza assoluta, la lotta indipendentista riprenderà vigore, la pressione su Boris Johnson per concedere un secondo referendum si intensificherà, ma il Premier inglese rifiuterà perché è troppo rischioso e tenterà di trattare mettendo sul piatto più poteri. In caso caso contrario, dovrà formare un governo di coalizione con i Verdi o qualche altro partito, l’istanza indipendentista potrebbe ottenere un forte ridimensionamento, come dimostrano gli scontri tra i leader dei due partiti. A fare da ago della bilancia, l’affluenza, normalmente intorno al 50%.
Per quanto concerne l’Inghilterra, nelle elezioni del consiglio urbano, la maggior parte dei seggi fu contestata l’ultima volta nel 2016, quando lo scarto tra laburisti e conservatori era solo dell’1%. Un terzo dei consiglieri, come noto viene eletto, per un periodo di quattro anni. Ora i conservatori godono di un vantaggio nei sondaggi di circa otto punti, il che potrebbe significare importanti vantaggi in termini di seggi, ma lo ‘scandalo della carta da parati’ che ha travolto Boris Johnson potrebbe minare i successi dei Tory.
I conservatori detengono 2.052 seggi, i laburisti 1.621. Il fatto che i conservatori si aspettino di aumentare il loro consenso è una spia allarmante della posizione di debolezza del Labour. Questo però non vale per la carica di sindaco di Londra, che sarà scelto da 6 milioni di cittadini e alla cui elezione ci si poteva presentare facilmente: bastava raccogliere almeno 66 firme, due per ogni quartiere, e versare una cauzione di 10mila sterline, restituita solo al superamento della soglia del 5%.
il sindaco in carica, il laburista Sadiq Khan – avvocato 51enne, esperto in diritti umani, musulmano e di origini pakistane – ha quasi il 20% di vantaggio nei sondaggi, con il 41%, sul conservatore Shaun Bailey – di origini giamaicane e consigliere speciale dell’ex Premier David Cameron, ma poco sostenuto da Johnson (con il 28%) – e dovrebbe tornare a vincere alle elezioni, battendo oltre 20 concorrenti tra i quali figurano: la candidata dei liberal-democratici Luisa Porritt, e quella dei Verdi, Sian Berry; e poi Piers Corbyn, fratello del Jeremy ex segretario Labour, alla testa del movimento contro il lockdown “Let London Live”; il “Count Binface”, un candidato che va in giro mascherato e si definisce un guerriero intergalattico spaziale, e addirittura due youtuber Max Fosh e Niko Omilana.
Se Sadiq vincesse, sarebbe per merito suo più che del suo partito. Se Bailey ha incardinato la campagna elettorale sul ‘law and order’, Khan ha promesso l’impiego coscienzioso dei quasi 20 miliardi di budget di cui dispone il primo cittadino, avendo molta attenzione per le 300mila persone che hanno perso il lavoro nell’ultimo anno soprattutto mediante la creazione di 170 mila posti «per creare una città più giusta, più verde e più prospera». Ambiente, trasporti, abitazioni, peraltro, sono le principali competenze del sindaco londinese, oltre che i temi scottanti soprattutto in un momento di crisi come quello odierno. La questione più importante, però, non è tanto se i laburisti vinceranno, il che è dato ormai per certo, quanto piuttosto se potranno ottenere la maggioranza assoluta nell’Assemblea di Londra da 25 seggi.
Un aspetto non secondario. Del resto, uno studio della London School of Economics ha mostrato l’andamento del voto in città rispetto ai risultati nazionali delle elezioni politiche: se nel 1955 la variazione era pressoché minima, in quanto il voto britannico rispecchiava quello londinese, alle elezioni del 2019, ben 64 anni dopo, i laburisti hanno preso a Londra il 15% in più del risultato nazionale mentre i Conservatori il 12% in meno. Quello che viene fuori dalla ricerca è la progressiva divaricazione tra il voto nella capitale e quello britannico, esemplificando due opposte visioni della Nazione tra la città aperta alla globalizzazione e i territori intorno più a questa più contrari.
Altrove in Inghilterra, i laburisti potrebbero riaggiudicarsi tutte e cinque le singole posizioni di sindaco che detengono. Anche a Liverpool, dove i recenti scandali potrebbero rendere la partita più avvincente, ma non persa. I conservatori difendono quattro posizioni di governatore regionale. Come nel 2017, le West Midlands sembrano interessanti. Il conservatore Andy Street sta assumendo il parlamento laburista Liam Byrne ma sembra destinato a mantenere la posizione che ha vinto con il 50,4% dei voti l’ultima volta.
In Galles, gli elettori saranno chiamati ad eleggere i rappresentanti al parlamento locale (comunemente indicato come Senedd) e per la prima volta in assoluto, anche i ragazzi di 16 e 17 anni voteranno. Ci sono 60 seggi in parlamento, 40 dei quali per membri del collegio elettorale, eletti dal sistema del primo passato. I restanti 20 seggi sono per i membri regionali, che sono eletti per rappresentare cinque aree del Galles tramite un sistema di liste di partito. I laburisti hanno attualmente 29 seggi mentre Plaid Cymru ei conservatori ne hanno dieci ciascuno.
Il Primo Ministro laburista, Mark Drakeford, ha superato discretamente ma prova della gestione della pandemia. Non era scontato: dall’introduzione della devolution nel 1999, il Welsh Labour è sempre stato il più grande partito. Prima della pandemia, si speculava che il suo regno politico potesse finire con queste elezioni, ma il COVID-19 ha cambiato le prospettive elettorali del partito, che, nei sondaggi, è dato al primo posto rispetto ai conservatori. Il Plaid Cymru, guidato da Adam Price, potrebbe ancora negare ai laburisti una maggioranza assoluta attraverso seggi regionali superiori, ma i punteggi dei sondaggi del partito sono modesti, nonostante un maggiore sostegno all’indipendenza. Da questo punto di vista, le rilevazioni più recenti suggeriscono che non si tratta di stabilire se i laburisti gallesi ottengano di nuovo la maggioranza nel prossimo Senedd, ma piuttosto con quale margine. E qui l’affluenza, penalizzata anche dalla pandemia, sarà centrale.
Il partito nazionalista gallese Plaid Cymru e i conservatori gallesi sperano che queste elezioni confermino il loro ruolo chiave nella politica gallese, denigrando governo laburista gallese che è al potere, da solo o come parte di una coalizione, dal 1999. Ma se il Plaid Cymru ha condotto apertamente una campagna per l’indipendenza gallese, incoraggiato dal successo del gruppo di campagna Yes Cymru, è anche vero che l’indipendenza gallese sembra, almeno fino a che non finirà la pandemia, un argomento meno cruciale in queste elezioni, e questo potrebbe penalizzare Plaid Cymru.
Più critici rispetto all’indipendenza sono apparsi i conservatori che sono molto vicini alla posizione del governo di Londra. Una potenziale crescita dei consensi dei conservatori gallesi, sebbene sia da escludersi possa avere risvolti nella formazione del governo, confermerebbe un cambiamento nell’opinione degli elettori.
Cosa ne sarà dell’UKIP? Se nel 2016 aveva addirittura vinto sette seggi sulla scia della sua posizione pro-Brexit, ora che la Brexit è stata raggiunta, potrebbe vedere non confermati i suoi consensi, anche perché partiti come Reform UK e Abolish the Assembly potrebbero erodergli diversi voti.
Nel 2016 i liberali democratici gallesi videro crollare i propri consensi (mantenendo solo un seggio) e quest’anno? La domanda è aperta così come è aperta la corsa per il partito dei Verdi che potrebbe anche essere in grado di ottenere una rappresentanza per la prima volta in Galles attraverso il sistema di elenchi regionali.
Oltre a tutte le votazioni programmate e posticipate, sono previste anche le elezioni suppletive nel collegio elettorale di Hartlepool a seguito delle dimissioni del deputato laburista Mike Hill per accuse di molestie. Il partito di Starmer ha sempre detenuto questo seggio, tanto che Hartlepool si trova nel cosiddetto “muro rosso”, un gruppo di seggi parlamentari sparsi principalmente nel centro, nel nord dell’Inghilterra, nelle West Midlands, nella Tees Valley e nel West Yorkshire, storicamente detenuto dai laburisti, ma che ha fortemente sostenuto la Brexit nel 2016.
Hartlepool, in realtà, è laburista dal 1964 ed è stata, per molti anni, la sede del grande del partito Peter Mandelson. La lotta del Labour per mantenere il seggio è ben lontana dalla frana di Tony Blair del 1997, quando Peter Mandelson ha ottenuto il triplo dei voti per i laburisti rispetto al suo rivale Tory.
I conservatori potrebbero vincere poiché potrebbero ricevere gran parte della quota di quei voti del 26% del partito pro-Brexit dato qui alle elezioni generali del 2019. Una migrazione su larga scala di elettori socialmente conservatori da queste città operaie hanno consegnato 47 di questi seggi ai conservatori nelle elezioni del 2019, formando il nucleo della sana maggioranza parlamentare di Boris Johnson. Molti elettori, in quella occasione, si erano allontanati dai laburisti e la quota di consensi del partito è scesa al di sotto del 40% nel 2019, ma ha resistito di poco più di 3.500 voti e ha impedito ai conservatori di vincere. Con il raggiungimento della Brexit, l’ esito di queste elezioni suppletive potrebbe dipendere da dove si sposteranno questi oltre 10.000 elettori del Brexit Party nel 2021.
Il nuovo leader laburista Keir Starmer è stato personalmente criticato per non aver adottato un approccio sufficientemente solido ai fallimenti del governo durante la pandemia, che invece sembra aver premiato il Tory. Su questa base, l’immagine di Keir Starmer come avvocato metropolitano del sud e ardente remainer potrebbe non fare appello a tali elettori inclini alla Brexit considerando dove dirigere il loro voto. Per questo motivo Starmer ha reso una priorità riconquistare i tradizionali elettori laburisti e pro-Brexit in tali seggi ed ecco spiegato il perché il candidato laburista Paul Williams abbia fatto un uso massiccio delle immagini della bandiera di San Giorgio nel materiale della sua campagna, senza dubbio una risposta alla percezione che l’ex leader Jeremy Corbyn fosse privo di patriottismo. Potrebbe funzionare se è vero che un sondaggio del Sunday Times attribuisce al partito di sinistra un piccolo vantaggio col 45% rispetto al 44% dei conservatori.
Ne va della leadership di Starmer come ne andava di quella di Corbyn nel 2017 a Copeland: se i laburisti, che hanno vinto Hartlepool sia nel 2017 che nel 2019 sotto la guida di Corbyn, dovessero perdere nel 2021 una ‘roccaforte’, la responsabilità sarebbe attribuita al leader, che verrebbe, di fatto, delegittimato e per questo le dimissioni non sarebbero più impossibili. Quel che è certo è che la traversata nel deserto, a quel punto, sarebbe la diretta conseguenza. Di converso, una vittoria qui dei Tory avrebbe valenza doppia. Ecco perché sarà indispensabile osservare anche dove i partiti vincono oltre al quanto vincono.
Non mancheranno le elezioni per la polizia e il commissario per la criminalità (PCC): le prime, quelle del 2012, vennero ignorate dall’85% delle persone che non ha votato. L’affluenza è migliorata quattro anni dopo al 24%. I PCC sono potenti e possono assumere o licenziare i capi della polizia locale. In ogni occasione, il Labour ha ottenuto più voti PCC rispetto ai conservatori, ma si è ritrovato con cinque PCC in meno, 15 l’ultima volta contro i conservatori 20. E non è detto che il risultato non possa essere molto simile anche questa volta.
I seggi si apriranno alle 7 del mattino di giovedì 6 maggio e si chiuderanno alle 22 dello stesso giorno. Il ricorso al voto postale allungherà i tempi di spoglio e quindi gli esiti saranno disponibili, nella maggior parte, nel weekend. Fino ad allora, Tories e Labours possono (non) stare tranquilli.