giovedì, 23 Marzo
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Rai, riforma al vaglio di Palazzo Madama

Il presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi è ancora impegnato a battere il territorio israeliano in cerca di buoni affari, accompagnato dal lobbista con la kippah Marco Carrai. Previsto per oggi anche lo sconfinamento in territorio palestinese, ma solo per dare un contentino al presidente Abu Mazen. Di solito, quando il gatto non c’è i topi ballano, ma nella politica italiana non si muove foglia che Matteo non voglia. A confermare la regola ci pensa la ladylike del Pd Alessandra Moretti che, trombata sonoramente alle scorse elezioni in Veneto, dopo un lungo silenzio, decide di smentire se stessa incolpando prima il Pd della sua sconfitta per poi, poche ore dopo (ordini dall’alto?), prendersi tutte le responsabilità della figuraccia elettorale. Rosario Crocetta rifiuta la exit strategy alla sicula paventata dal governo, mentre anche le procure di Caltanissetta e di Messina negano l’esistenza della intercettazione su Lucia Borsellino. Il mistero sempre più fitto sul rapimento dei quattro italiani in Libia si arricchisce delle ambigue dichiarazioni del ministro Alfano che apre all’ipotesi di un sequestro compiuto per scambiare i prigionieri con alcuni scafisti detenuti in Italia. E a complicare l’emergenza sicurezza ci si mette pure l’arresto a Brescia di due islamici simpatizzanti dell’Isis pronti, forse, a compiere attentati sul territorio italiano. Il Tribunale civile di Napoli accoglie il ricorso di Vincenzo De Luca che chiedeva la sospensione degli effetti della legge Severino: la poltrona di Governatore della Campania è salva. Per la presidente della Camera Laura Boldrini il «tempo è scaduto» per riconoscere i diritti delle coppie omosessuali ma, nonostante la bacchettata di ieri della Cedu all’Italia e le promesse di Renzi, il governo prende tempo perché ‘ricattato’ dai cattolici centristi. Il ddl Cirinnà atteso in Senato la prima settimana di agosto, ma Alfano minaccia Renzi: «Niente diktat». Copertina dedicata alla Riforma Rai in discussione a Palazzo Madama: per il berlusconiano Francesco Aracri è in atto un tentativo di «renzizzazione della tv di Stato». Voto finale fissato al 31 luglio.

La cosiddetta Riforma della Rai, da ieri all’esame dell’aula di Palazzo Madama, secondo la tabella di marcia fissata dall’Esecutivo dovrebbe diventare legge (se pur solo in prima lettura) entro la fine del mese. Montagna di emendamenti permettendo, il voto finale è stato fissato questo pomeriggio per venerdì 31 luglio. Ma non solo, perché il ministro dei Rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi ha fatto sapere che il governo presenterà il solito maxiemendamento. Una sorta di voto di fiducia mascherato, sospettano le opposizioni. Oggi è in corso la discussione generale. Tra un intervento e l’altro di tutti i gruppi parlamentari, il colpo di scena è arrivato dal sottosegretario Antonello Giacomelli che ha reso nota la disponibilità del governo a «discutere e accogliere» alcuni emendamenti presentati da M5S e Lega. Una mossa considerata da molti un bluff, visto l’ultimatum fissato da ‘Madonna Elena’.

E, infatti, l’inaspettata apertura non ha smosso di un millimetro dalle sue granitiche convinzioni Francesco Aracri, senatore di Forza Italia, partito che di controriforme del Servizio Pubblico se ne intende, visto che ha dato alla luce la Legge Gasparri. «Nei desiderata di Renzi emerge unicamente la voglia di occupare le poltrone di comando della Rai», accusa Aracri che poi denuncia «il tentativo di ‘renzizzazione’ della Rai che è, peraltro, in linea con il comportamento arrogante del premier, che intende l’amministrazione dello Stato solo come occasione per occupare poltrone, vedi le nomine negli enti o piuttosto alla Cassa depositi e prestiti nonché la scelta dei presidenti delle commissioni parlamentari». Predica sacrosanta proveniente, però, dal pulpito sbagliato. Ultimativi sono anche i toni usati dal grillino Roberto Fico. «La riforma della Rai non ci piace affatto», taglia corto il presidente della Vigilanza Rai, «e proveremo a cambiarla in tutti i modi. In nessun altro Paese in Europa l’amministratore delegato della televisione pubblica è nominato dal governo. Una scelta per la Rai, quella fatta dal primo ministro e dal Pd, che minerebbe il principio di indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo spingendo l’Italia nel novero dei Paesi con le peggiori normative in materia».

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