La sonda Cassini ha completato la fase finale della sua attività, dopo una vita durata 20 anni nelle ruvidezze dello spazio profondo, con salti termici asimmetrici, tuffi esplorativi inusuali e tante emozionanti operazioni scientifiche che hanno accresciuto le conoscenze del nostro sistema solare e quindi anche dell’origine della vita. La manovra finale era iniziata lo scorso 26 aprile con una serie di passaggi che hanno avvicinato l’apparecchio agli anelli di Saturno per poi avviarlo lentamente all’affondo conclusivo, avvenuto come da programma tre giorni fa, il 15 settembre per evitare di perdere il controllo della navicella con rischiosi impatti verso nuovi mondi.
Per i nostalgici, ma più di tutto per chi ha vissuto la sua storia, è la fine di un’epoca caratterizzata da grandi scoperte, quali l’individuazione dell’inimmaginabile massa fluida che ricopre Encelado, il sesto dei satelliti del gigante gassoso con una coltre di ghiaccio da cui emergono impetuosi flussi di vapore accompagnati da molecole organiche. Una nuova fenditura schiusa per gli abitanti del pianeta Terra che fino a una frazione di millennio fa si ostinava a ritenersi al centro di ogni moto gravitazionale! E poi la presenza di mari, fiumi e laghi di metano su Titano, violato nel 2015 dalla sonda Huygens concepita dall’Agenzia Spaziale Italiana e dall’Agenzia Spaziale Europea.
Cassini Huygens è stata una missione robotica interplanetaria, lanciata il 15 ottobre 1997 dal complesso di lancio 40 della Air Force Station di Cape Canaveral a mezzo di un vettore Titan IV-B/Centaur con il compito di studiare il sistema di Saturno, con l’orbiter della Nasa e il lander europeo. Dopo il programma lunare che Decimo Giunio Giovenale, il grande autore satirico romano del primo secolo d.C. avrebbe definito un tassello di panem et circenses, ovvero l’assicurazione del consenso popolare a fronte di robuste pressioni fiscali ma ripagato da maestosi spettacoli pubblici, è stata la volta di un progetto ciclopico che molti scienziati hanno considerato superiore. Ma Cassini è stato meno mediatico e quindi più opacizzato verso l’interesse popolare. E pur tuttavia, impostato per non disperdere sul mercato internazionale un gran numero di scienziati e tecnici di alto spessore che avevano lavorato su Apollo, il suo disegno fu subito attorcigliato dalle insostenibili polemiche del plutonium pandemonium e il lancio osteggiato da un manipolo di tutori dell’ambiente che contestava la presenza a bordo della sonda di 35 kg. di plutonio-238, un isotopo che decade producendo una grande quantità di calore sfruttato come energia in generatori termoelettrici necessari ad alimentare i propulsori durante i lunghi anni della missione; considerando che la distanza di Saturno dal Sole impedisce ai raggi di essere utilizzati come fonte di energia non ci sarebbero state altre possibilità energetiche. Il presidente Bill Clinton – tra un sexygate e l’altro – non si lasciò convincere dalle intemperanze dei dimostranti e non bloccò la missione anche quando i militanti contestarono la valutazione del rischio effettuata dall’ente spaziale americano, accusato di falsificazione di dati scientifici. E così i 3,4 miliardi di dollari spesi dalla Nasa furono salvi.
Il lavoro era stato lungo. Nel lontano 1982 la Fondazione Europea delle Scienze e l’omologa Accademia americana avevano identificato l’idea di un orbiter da inviare su Saturno dotato di una sonda da far depositare su Titano come possibile cooperazione tra America e Europa con valenze scientifiche, tecnologiche e industriali. Una necessità dettata da esigenze economiche, evidentemente perché l’imposizione per i soli Stati Uniti era troppo gravosa. Però questo accordo comportò uno straordinario travaso di informazioni e delle grandi opportunità industriali per il Vecchio continente sempre affamato di nuovi programmi di avanguardia.
C’è stata dunque della tecnologia italiana a bordo di Cassini, a iniziare dal sensore stellare ideato per mantenere il suo puntamento durante la traiettoria interplanetaria e nel corso della fase orbitale attorno al suo target, ma è stata progettata in Italia anche la telecamera nel visibile dello spettrometro per lo studio della composizione delle atmosfere sia del pianeta principale che dei suoi corpi orbitanti e per l’osservazione della superficie e la conseguente identificazione della composizione superficiale dei piccoli satelliti, degli anelli e degli asteroidi osservati durante la fase di viaggio della missione.
Un altro prodotto nazionale è stato il lander Huygens e il radar multimodo che ha aiutato a comprendere molte particolarità morfologiche del satellite pieno di idrocarburi e poi l’antenna che ha assicurato i collegamenti con la Terra.