E’ il 1971. Sergio Amidei, Emilio Sanna, Rodolfo Sonego (soggetto e sceneggiatura), Nanni Loy (regista), e Alberto Sordi (interprete principale), con ‘Detenuto in attesa di giudizio’ scrivono un capitolo storico del cinema italiano.
Il film non si limita a raccontare il calvario del geometra romano Giuseppe Di Noi, che da stimato professionista nel giro di poche ore precipita a criminale assassino, e ingiustamente incarcerato. E’ anche il ‘viaggio’ penoso e in quegli anni pressoché sconosciuto nell’inferno carcerario, preda del gorgo kafkiano di una giustizia imperscrutabile, non così differente in quegli anni da quella di oggi. Per Sordi un intenso ruolo drammatico che gli vale l’Orso d’argento per il miglior attore al Festival di Berlino. L’ispirazione per il film viene allo stesso Sordi dopo aver letto il libro ‘Operazione Montecristo’, scritto da Lelio Luttazzi, vittima di un clamoroso (e per lui traumatico) errore/orrore giudiziario.Un film che suscita scalpore: per la prima volta un’opera cinematografica denuncia senza mezzi termini l’arretratezza e la drammatica inadeguatezza dei sistemi giudiziario e carcerario italiani.
Esattamente cinquant’anni dopo (coincidenze? Piuttosto incidenze), ecco altri due film che affrontano, sia pure in taglio e profilo differente, ma identico rigore e capacità di coinvolgimento, le stesse tematiche.
‘Ariaferma’ di Leonardo Di Costanzo, è tra i film più apprezzati al recente festival del cinema di Venezia. Il tema forte, ‘duro’ delle carceri è impreziosito dalle superbe interpretazioni di Silvio Orlando e Toni Servillo.
La scena: un vecchio carcere ottocentesco, una struttura cadente; per infernali meccanismi burocratici, i trasferimenti si bloccano; un gruppo di detenuti resta in attesa di nuove destinazioni, pochi gli agenti di guardia. Microcosmi imprevisti che si incontrano e cambiano i rapporti tra detenuti e agenti di custodia. Gaetano Gargiulo (Servillo) comanda gli agenti, ed è un “duro e puro”, all’apparenza. Carmine Lagioia (Orlando) è il leader dei detenuti. Trama apparentemente esile, che però, grazie a un eccellente lavoro di squadra, si dipana con sapienza e padronanza delle tecniche filmiche. Gargiulo e Lagioia sono simili, a conti fatti: uomini “di silenzio”. Film “civile” come nella miglior tradizione della cinematografia che segna gli anni Settanta e Ottanta, raccontando del carcere di Mortana (che non esiste) si parla comunque di una realtà ancora oggi colpevolmente ignorata. Racconta Di Costanzo: “Abbiamo visitato molte carceri. Quasi ovunque abbiamo trovato grande disponibilità‘ a parlare, a raccontarsi; è capitato che gli incontri coinvolgessero insieme agenti, direzione e qualche detenuto. Allora era facile che si creasse uno strano clima di convivialità, facevano quasi a gara nel raccontare storie. Si rideva anche. Poi, quando il convivio finiva tutti rientravano nei loro ruoli e gli uomini in divisa, chiavi in mano, riaccompagnavano nelle celle gli altri, i detenuti. Di fronte a questo drastico ritorno alla realtà, noi esterni avvertivamo spaesamento. E proprio questo senso di spaesamento ha guidato la realizzazione del film: ‘Ariaferma’ non è un film sulle condizioni delle carceri italiane. È forse un film sull’assurdità del carcere”.
La seconda pellicola è un docu-film del regista trentino Mauro Coser, ‘Una vita incorreggibile’. E’ dedicato a Alberto Maron, 50 anni trascorsi in carcere. Racconta Coser: “Volevo rendere la storia archetipica, distante dalla cronaca“. Cinquanta anni di carcere (tredici dei quali senza mai uscire di cella) Maron sconta la sua pena e deve confrontarsi con un mondo esterno che non conosce e che lo respinge. Storia se si vuole banale: simile a quelle di migliaia di detenuti classificati “socialmente pericolosi”, che tornano alla libertà dopo aver vissuto la maggior parte della loro vita in carcere.
Il docu-film pone un interrogativo cruciale: un detenuto può dirsi, come dice il titolo, “incorreggibile” tutta la vita? E ancora: le carceri italiane in che misura corrispondono al dettato costituzionale della rieducazione e riabilitazione del detenuto alla vita sociale nella legalità? “Ho scelto di non raccontare il motivo per cui Alberto è stato condannato”, spiega Coser. “L’obiettivo non è alimentare il meccanismo istintivo di curiosità, ma rendere la storia di Alberto un qualcosa di archetipico, distante dal dato di cronaca”.
Carcere: un universo spesso kafkiano, pieno di contraddizioni. Tutti possono finire in cella per un errore/orrore giudiziario; ma non tutti sono uguali, quando ne cadono vittime. Si prendano i risarcimenti: a seconda della Corte d’appello cambia la cifra dei risarcimenti, anche per i domiciliari.
In generale i risarcimenti pagati dallo Stato come “equa riparazione di errori giudiziari e detenzioni giuste” negli ultimi quattro anni ammonta a 180 milioni di euro. Oltre l’80 per centodei pagamenti effettuati è dovuto a risarcimenti per detenzione ingiusta (preventiva e non necessaria o seguita da assoluzione) sia domiciliare che carceraria. Il resto riguarda le somme versate per errori giudiziari, carcerazione dopo la sentenza. Nel 2019, il volume più elevato è stato deciso dalla Corte d’appello di Reggio Calabria (10,2 milioni) e ha risarcito soprattutto per i danni causati da ingiusta detenzione (9,8 milioni). Alla Corte di Roma il primato per l’errore giudiziario: 2,2 milioni di euro per dueordinanze.
Le Corti d’appello non usano lo stesso metodo nel fissare gli indennizzi: fanno riferimento a orientamenti della Corte di Cassazione non sempre univoci. Ecco perché si stabiliscono importi anche molto differenti, persino al loro interno.
La Corte dei conti dopo aver esaminato un campione di ordinanze emesse da alcune Corti d’appello, ne ricava che per la detenzione carceraria ingiusta si va dai 117,91 euro circa al giorno (liquidati dalla Corte d’appello dì Catania), ai 791,38 riconosciuti dalla Corte d’appello di Catanzaro. Sempre la Corte di Catanzaro in altre ordinanze fissa importi di 235 euro. A Perugia si va dai 235 euro al giorno ai 550; 159,58 euro al giorno quelli decisi all’Aquila.