Il 23 gennaio scorso, il watchdog americano ‘Freedom House‘ ha pubblico il suo rapporto annuale sull’andamento dei diritti politici e sulle libertà civili nel mondo, ‘Freedom in the World 2014’. Fra i Paesi che hanno fatto un significativo retrofront nel 2013, balzano agli occhi la Russia di Vladimir Putin e alcune ex Repubbliche sovietiche come Ucraina, Azerbaijan e Kazakistan. Un dato negativo che porta a riflettere su quell’area geopolitica così vicino all’Unione Europea, forse a tratti trascurata sotto alcuni aspetti. Giunto alla sua 41esima edizione, il Rapporto ‘Freedom in the World‘ racconta, Paese per Paese, il quadro globale della situazione sui diritti civili e politici. E mentre si elaborano i progressi registrati in alcuni Paesi arabi come l’Egitto, nella Top 10 dei peggiori figurano due Paesi di grande rilevanza per i mercati energetici occidentali: il Turkmenistan e l’Uzbekistan.
Quello che emerge, è un andamento negativo complessivo dell’area eurasiatica. Molti Paesi hanno manifestato atteggiamenti repressivi e sempre più intolleranti vis-à-vis dei dissensi interni, in Russia si sarebbero intensificate le azioni persecutorie nel confronti dell’opposizione politica, da un lato, e delle minoranze più vulnerabili, dall’altro. Il giudizio dell’osservatorio è molto severo: nessun Paese dell’area euro-asiatica ha registrato dei miglioramenti. Il declino è tale da far annoverare l’Eurasia fra le aree peggiori dell’anno appena trascorso.
L’analisi compiuta dall’Osservatorio si basa principalmente sul rating di alcuni fattori ritenuti rilevanti, definendo dei trends che verranno messi a confronto. Partendo da una serie di standard estrapolati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948, questi vengono applicati Paese per Paese a prescindere dal territorio, dalla composizione etnico-religiosa o dallo sviluppo dell’economia. Significa, dunque, che si pone l’accento sui diritti e sulle libertà di cui godono i singoli individui in quanto tali, qualunque sia il Paese di appartenenza e il suo background politico e sociale.
Il punto, è che a determinare la libertà del cittadino, in primo luogo vi sono le autorità statali, insieme ad altri attori non convenzionali. Il rapporto guarda al cittadino, giudicando chi, e come, influisce sui suoi diritti. Una legge, una proposta parlamentare, una road map, hanno un valore rilevante solo se sono riscontrabili i suoi effetti sul singolo individuo. Diversamente, significano molto poco. L’enfasi, in quasi tutti i Paesi aspiranti al partenariato euroatlantico, si è posta sul concetto di ‘implementazione’: implementazione democratica nelle istutizioni, implementazione delle linee guida dell’Unione Europea e di altri organismi internazionali, implementazione delle policy sui diritti civili. Implementare, però, può non equivalere al fare e all’ottenere. E questa è la situazione che è stata fotografata nella Russia di Putin e in alcune delle ex Repubbliche sovietiche più interessanti dal punto di vista politico.
La Russia, che sta tanto facendo parlare di sé in occasione dei Giochi di Sochi (considerati i più cari nella storia delle Olimpiadi Invernali), rientra a pieno titolo nella lista nera di Freedom House. Nel corso del 2013, l’atteggiamento di Mosca nei confronti dei Paesi satelliti coinvolti nel processo di avvicinamento all’Unione Europea viene definito una ‘tattica di bullismo‘. Il tentativo di scoraggiare alcuni piccoli Paesi all’integrazione europea avviene attraverso l’uso di strumenti, spesso subdoli, come restrizioni commerciali punitive di dubbia natura. L’uso indiscriminato della minaccia, del ricatto sul tavolo diplomatico o di promesse non mantenute. Un esempio, la pressione esercitata sull’Armenia per impedirle di definire i suoi piani di integrazione europea, allo scopo di portarla all’interno dell’unione commerciale guidata da Mosca.
Una Mosca che, contestualmente all’interesse mediatico globale legato ai Giochi di Sochi 2014, ha avviato una serrata campagna di persecuzione degli oppositori politici, dei dissidenti e delle frange più vulnerabili della popolazione. I più colpiti, gli appartenenti alla comunità LGBT (lesbians, gays, bisexuals, transexuals). A giugno, sottolinea Freedom House nel suo rapporto, è stata adottata in senso al Parlamento una misura che favorisce la propaganda contro le relazioni sessuali di tipo non tradizionale. La discriminazione è evidente nei luoghi di lavoro, che hanno registrato un considerevole numero di licenziamenti di dipendenti LGBT, per fare un solo esempio.
Il rapporto condanna il Cremlino, anche per le sue ‘azioni diversivo’ dell’attenzione pubblica. Manovre opportunistiche come fornire asilo politico Edward Snowden, o il rilascio delle Pussy Riots e di alcuni importanti esponenti dell’opposizione politica, come Michail Chodorkovskij. Tutte tattiche ‘cosmetiche’, secondo il rapporto, con l’obiettivo preciso di rabbonire l’opinione pubblica ma che non trovano corrispondenza in riforme formali.
Nei confronti dell’Ucraina in piena crisi, il leader autoritario Viktor Yanukovyc si è fatto persuadere (senza eccessive difficoltà) ad abbandonare le velleità europeiste di chi l’ha preceduto, grazie a vantaggiosi accordi sul prezzo del materiale energetico. L’allontanarsi di una prospettiva europea per l’Ucraina, ha contribuito notevolmente all’inasprirsi delle manifestazioni di dissenso che stanno tutt’ora infiammando le piazze di Kiev e delle principali città del paese.
Gli altri Paesi della regione eurasiatica indicati come ‘Not free’ sono, nell’ordine dal peggiore al ‘migliore’, Kazakistan, Tajikistan, Azerbaijan, Belarus, Turkmenistan e Uzbekistan. La Georgia, invece, si salva. È forse l’unico Paese della regione giudicato in modo positivo all’interno del rapporto. Il processo di avvicinamento all’Unione Europea, il raggiungimento di alcuni dei target imposti come condizione necessaria all’ingresso, la campagna di salvaguarda dell’ambiente, sono tutti fattori che hanno contribuito ad innalzare il suo standard rispetto al 2012. Si parla di progressi che vanno considerati in termini relativi, però. Sono riscontrabili dei miglioramenti rispetto all’anno precedente, ma il Governo di Mikheil Saakashvili certo non brilla per trasparenza, a causa della corruzione galoppante all’interno delle istituzioni. Dunque, sebbene in fase di miglioramento, nemmeno la Georgia brilla in un’Eurasia a tinte fosche, in materia di libertà civili e diritti politici.