martedì, 21 Marzo
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Puntiamo sulla cultura per difendere i diritti umani

Tra i Paesi europei, l’Italia è certamente tra i meno sicuri in materia di diritti umani. Se uno qualunque di noi dovesse finire nelle mani dello Stato, impersonificato dalle diverse forze dell’ordine presenti nel nostro Paese, la sicurezza di essere trattato come recita l’Habeas Corpus Act di anglosassone memoria non è appunto tale. Solo per raccontare quello che è successo dal G8 di Genova in poi lo Stato si è reso responsabile di gravissime violazioni dei diritti umani che in più di un caso hanno provocato la morte di diverse persone. L’elenco è lungo e non stiamo qui a ripeterlo. Basti per tutti le novità che stanno venendo a galla sul caso Cucchi per capire che in Italia siamo più vicini ad uno standard latino-americano o turco tanto per restare legati all’attualità, che appunto europeo. Tanto da risultare, almeno per il momento, impossibile approvare una norma chiara che qualifichi la tortura come reato. Di questi problemi, drammatici certamente, abbiamo parlato con il Professor Antonio Papisca, docente, presso l’Università di Padova, di Tutela Internazionale dei diritti umani e Organizzazione internazionale dei diritti umani.

Professore, il primo tema che affronterei con lei riguarda proprio la tutela del cittadino quando finisce nelle mani dello Stato. A questo aggiungiamo appunto l’estrema difficoltà per le nostre istituzioni di approvare senza ambiguità una proposta di legge che criminalizzi la tortura. Proprio pochi giorni fa c’era su ‘il manifesto’ un interessante ma anche molto triste articolo del Presidente di Antigone Patrizio Gonnella sulla scomparsa dai lavori parlamentari della proposta di legge che criminalizza la tortura. Uno scenario non proprio confortante. Che cosa ne pensa?

Intanto voglio prendere un po’ alla larga l’argomento. Lei ha accennato ad Antigone e quindi al dottor Gonnella.

Sì, certo….

Voglio ricordare che lui è stato nostro allievo alla scuola di specializzazione in ‘Diritti, istituzioni e tecniche di tutela dei diritti umani’. E siamo piuttosto orgogliosi di questo risultato. Quindi voglio partire da un dato positivo ricordando che le università in Italia si stanno interessando dei diritti umani in modo infrastrutturale. Nel senso che stanno creando corsi specifici sui diritti umani nei vari ambiti disciplinari. Noi diamo dei dati nell’Annuario italiano dei diritti umani e abbiamo contato cento insegnamenti specifici in trentasette università. Quindi significa che perlomeno a livello di accademia, cioè di ‘higher education’, c’è un’attenzione crescente. Che insomma fa sperare positivamente sulla diffusione di un certo tipo di cultura. Poi aggiungiamo che nelle scuole di ogni ordine e grado, nonostante non ci sia un insegnamento specifico che noi vorremmo si chiamasse ‘Diritti umani e cittadinanza democratica’ come disciplina autonoma, ci sono tante iniziative di bravi insegnanti che si danno da fare. Insomma a livello della cosiddetta ‘società civile’ c’è fermento, c’è interesse.

Che però sembra ignorato da chi decide….

Non traspare intanto nella grande comunicazione, nei mass media insomma. Anche se c’è una realtà in Italia, piuttosto ampia, veramente sensibile che si mobilita e che porta avanti anche progetti di natura strutturale. Detto questo ci sono delle criticità che sono croniche.

Ovvero?

Sono presenti nel sistema Italia, a livello di istituzioni e di legislazione. E il tema tortura è uno di questi. Sono anni e anni che dalle istanze internazionali, a partire dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, dal Consiglio d’Europa, dall’Unesco vengono all’Italia forti raccomandazioni, inviti e sollecitazioni affinché il reato di tortura, specifico, letteralmente definito, entri nel codice penale. Ma non ci si riesce. Questo è uno degli elementi di ottusità che incontriamo a livello di istituzioni. Sono stati fatti vari tentativi ma si cerca sempre di annacquare quello che è il concetto reale di tortura. Troviamo nella Convenzione internazionale l’interdizione della tortura. In Italia si tratterebbe dunque di riprodurre letteralmente la definizione di tortura che troviamo nell’apposita convenzione. E quindi ci sarebbe poca fatica da fare. Io ho fatto parte per anni del Comitato interministeriale per i diritti umani, e ogni volta che si sollevava questo tema c’era qualcuno, soprattutto dal Ministero di Grazia e Giustizia, che diceva, utilizzando il marchingegno del combinato disposto, ‘ma nel nostro codice penale dobbiamo trovare la definizione di tortura’. Abbiamo invitato dunque a specificare questo reato e questo crimine particolarmente odioso registrando invece come risposta questa cronicità veramente perversa. Che sa di ottusità. Ci sono poi altri problemi che si ripresentano, come il sovraffollamento delle carceri, il fatto che non esista ancora una commissione nazionale dei diritti umani come organo indipendente. Anche qui ci sono raccomandazioni e pressioni che vengono dalle istituzioni internazionali e dalla nostra società civile ma non si riesce malgrado tutto a mettere in piedi un organismo basato sui cosiddetti principi di Parigi.

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