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Post – coronavirus: sistema economico-industriale, un problema di Sicurezza Nazionale

La Società Italiana di Intelligence, guidata dal Presidente Mario Caligiuri, ha pubblicato ‘Analisi di Intelligence e Proposte di Policy sul Post-Pandemia COVID-19 (aprile 2020 – aprile 2021)’ una ricerca, redatta dai ricercatori Roberto Macheda, Francesco Napoli, Luigi Barberio e Luigi Rucco, nella quale si cerca di unire i punti di quanto sta accadendo per definire possibili azioni nel breve periodo. Uno studio, per altro, che verrà costantemente aggiornato.

Il report si struttura in 5 aree: ricadute politiche, militari, economiche, industriali, scientifiche, con una riservata all’analisi e l’altra alle proposte.

L’Indro’ pubblica il report integrale in 4 parti. Ieri ci siamo concentrati sulle ricadute politiche e militari. Oggi sotto i riflettori il sistema economico-industriale

***

RICADUTA ECONOMICA

Analisi

Nel 2019 la crescita dell’economia mondiale ha subìto un significativo rallentamento, facendo registrare un incremento di appena il 3% rispetto al 2018.

Ciò è stato determinato principalmente dal contesto geo-economico caratterizzato dai seguenti fattori:

  • La ‘guerra dei dazi’, che ha rappresentato una sfida rilevante per tutte le principali economie del mondo, a partire da quella italiana. Infatti, la forte integrazione delle catene del valore globali accresce l’impatto di nuove barriere commerciali sull’intera filiera. Questo elementopotrebbe ragionevolmente attenuarsi per via della crisi generata dall’emergenza sanitaria.
  • Una dinamica di ‘contaminazione’ che, verosimilmente, ha contribuito a consolidare la tendenza di riportare sul territorio nazionale le attività produttive delocalizzate, determinando processi di de-globalizzazione che invertono il processo finora in atto.

Prima in Europa, l’Italia ha introdotto misure di contenimento che hanno determinato interruzioni lungo le catene del valore globali. Questi effetti sono valutabili come segue:

  • Secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI) l’economia sarà caratterizzata da una decrescita del PIL del 3% nel 2020, ovvero 6,3% in menorispetto alle stime di gennaio 2020. Il Fondo Monetario Internazionale definisce il ‘Great Lockdown’, la recessione peggiore dalla Grande Depressione dagli anni 1930 e decisamente peggio della crisi del 2008, che ha determinato una riduzione del PIL mondiale dello 0,1%.
  • Le perdite complessive del PIL mondiale ammonteranno a quasi 9.000 miliardi di dollari fra il 2020 e il 2021, più del valore complessivo delle economie del Giappone e della Germania.
  • Assumendo che la pandemia riduca consistentemente i suoi effetti nella seconda metà dell’anno, l’FMI prevede per il 2021 un PIL in crescita del 5,8%.

Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionalel’economia italiana sarà tra le più deboli al mondo. Al netto dei correttivi nel 2020, la decrescita del PIL italiano si attesterà intorno al – 9,1%(quint’ultimi su 149 Paesi). Peggio dell’Italia, su scala globale, si attesteranno solo la Grecia (-10%); il Libano (-12%); il Venezuela (-15%) e Macao (-29,6). Mentre la Gran Bretagna registrerà -6.5%, la Germania -7%, la Francia -7.2% e la Spagna -8%.

Nel citare le previsioni fortemente negative sull’Italia dell’FMI, è utile ricordare l’atteggiamento aggressivo -se non predatorio- talvolta emerso nell’operato di questa istituzione verso Paesi in difficoltà. Circostanza che rappresenta un ulteriore segnale di allarme per l’Italia, qualora non dovesse riuscire a far fronte all’emergenza con risorse proprie o messe a disposizione dall’Unione Europea.

Secondo i dati di Contabilità nazionale dell’ISTAT, riferiti al totale delle attività economiche comprese quelle sommerse, la limitazione delle attività produttive coinvolgerebbe il 34,0% della produzione pari al 27,1% del valore aggiunto. Seppure limitate nel tempo e ristrette a un parte di settori delle attività economiche, tali misure sono in grado di generare uno shock rilevante e diffuso sull’intero sistema produttivo. Infatti, oltre agli effetti diretti connessi alla sospensione dell’attività nei settori coinvolti nei provvedimenti, il sistema produttivo subirebbe anche gli effetti indiretti legati alle relazioni intersettoriali.

Secondo le stime sviluppate da Svimez, un mese di lockdown comporta la riduzione di quasi 48 miliardi di euro del PIL italiano, pari al 3,1%. Ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive, secondo i parametri attuali, potrebbe costare una percentuale ulteriore di Prodotto Interno Lordo dell’ordine di almeno lo 0,75% (Centro studi Confapi). La suddivisione territoriale della perdita sarebbe: 37 miliardi al Centro Nord e circa 10 nel Sud. In termini assoluti, la contrazione economica media sarebbe di 788 euro pro-capite al mese, suddivisi in oltre 1000 euro al Centro-Nord e quasi 500 al Sud. Nelle stime di contrazione economica, non è quantificata la vasta area del sommerso che incide, secondo i dati dell’Eurispes, per circa 540 miliardi di euro annui sul PIL ufficiale nazionale.

Secondo l’ILO, la crisi sta causando una riduzione senza precedenti dell’orario di lavoro su scala globale. A partire dal 1 ° aprile 2020 si prevede una riduzione dell’orario di lavoro nel trimestre in corso (Q2) di circa il 6,7 per cento, pari a 195 milioni di lavoratori a tempo pieno (supponendo una settimana lavorativa di 48 ore).

La perdita di produttività implica che i lavoratori dovranno affrontare una diminuzione di reddito e una povertà più profonda con un inevitabile aumento delle disuguaglianze in tutti gli ambiti. Le misure poste finora in atto sono l’estensione della Cassa Integrazione e l’integrazione di 600 euro per autonomi e partite IVA.

Esiste, quindi, un elevatissimo rischio di tenuta socioeconomica per il sistema Paese che, inevitabilmente, potrebbe sfociare in un diffuso e differenziato disagio sociale:

  • Mezzogiorno
    L’emergenza economica si inserisce in un contesto di fragilità sociale pregressa. Nelle aree meridionali si è creata nel corso degli anni una stratificazione di più crisi, a partire da quella economica del 2008, cui poi è seguita la recessione finanziaria del biennio 2011-2012 che di fatto ha ridotto molti servizi, in termini non solo di quantità ma anche di qualità. Basti ricordare che, secondo Demoskopika, le regioni del Sud hanno gli indici di perfomancesanitaria più bassa in Italia. Tale situazione di degrado costituisce l’humus ideale per le mafie che potrebbero ulteriormente e certamente infiltrare con maggiore pervasività l’economia, le istituzioni e la società.
  • Nord
    Il Nord, e in particolare le tre regioni maggiormente colpite dall’epidemia, ovvero Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, potrebbe perdere circa il 40% del Prodotto Interno Lordo, con effetti devastanti sul tessuto economico e sociale di tutto il Paese. Il rischio di forte recessione economica è più che reale con evidenti implicazioni negative sull’occupazione. La fascia di persone con fragilità sociale rischia di ampliarsi a dismisura e senza adeguati interventi a sostegno del reddito delle famiglie potrebbero diventare travolgenti le spinte secessioniste e dell’autonomia differenziata. Tendenza analoga e parallela rispetto a quella che si manifesta relativamente all’uscita dell’Italia dall’Unione Europea.

Proposte di Policy

In questi giorni, molteplici sono le stime prodotte, così come le proposte di intervento. Non è scopo del presente documento ripercorrere una disamina esaustiva di quanto proposto dai vari attori istituzionali e privati. Tuttavia, sulla base delle nostre valutazioni, i seguenti punti meritano particolare attenzione, poiché si ricollegano al tema del disagio sociale analizzato nel contesto delle ricadute politiche ed economiche.

  • Interventi economici di sostegno a famiglie e imprese tempestivi. In questo contesto, la velocità d’intervento diviene il fattore critico di successo di qualsiasi politica economica, partendo dal presupposto che per garantire la tenuta democratica del Paese, è necessario conservare l’integrità di gran parte del tessuto sociale. A tal fine è imprescindibile l’obiettivo del mantenimento dei livelli occupazionali il più possibile vicini a quelli precrisi, peraltro già problematici.
  • Estendibilità delle misure. Si intende la possibilità di estendere le misure in relazione alla durata e dimensione del lockdown.

Senza queste caratteristiche, le misure saranno vane e prive di qualsiasi conseguenza sulla possibilità di ammortizzare i contraccolpi della ricaduta economica.

In tale contesto le attività di intelligence economica diventano una parte rilevante delle attività dell’intelligence istituzionale, da sviluppare in modo accentuato.

RICADUTA INDUSTRIALE

Analisi

Siamo in una recessione atipica che non nasce dall’interno del sistema economico italiano, né in quello internazionale. Non nasce dall’incepparsi di qualche meccanismo dei mercati finanziari o dalla necessità di ‘correggere’ qualche eccesso. Lo shockviene dall’esterno, colpisce l’economia come un meteorite, con un effetto congiunto su offerta e domanda. Al progressivo blocco, temporaneo ma prolungato, di molte attività economiche sul territorio nazionale si è associato un crollo della domanda di beni e servizi, sia dall’interno che dall’estero.

Il blocco coglie impreparate sia le molte imprese, specialmente al Meridione, che non hanno ancora completato il percorso di rientro dalle difficoltà degli eventi del 2008, sia quelle più efficienti, che non solo hanno resistito, ma hanno consolidato importanti percorsi di crescita.

A differenza di quanto accaduto nell’ultima crisi, oggi il processo selettivo subisce gli effetti di dinamiche molto più rapide già allo stadio iniziale di una fase congiunturale molto profonda. Un’urgenza che si è tradotta nel decreto-legge sulla liquidità approvato nel Consiglio dei Ministri del 7 aprile. Il meccanismo scelto appare, però, poco funzionale alla dimensione del problema. Inoltre, il decreto-legge fornisce esclusivamente garanzie statali a fronte dei finanziamenti erogati alle aziende. Pertanto, è compito delle banche il reperimento della liquidità, in un mercato caratterizzato dalle regole di Basilea che impone limiti alle quantità di patrimonio di cui debbono necessariamente dotarsi, determinando possibili rallentamenti nell’erogazione dei prestiti alle imprese.

Considerazioni sulla Piccola e Media Impresa

Vista la particolare struttura produttiva del Paese, nella nostra analisi approfondiamo il ruolo delle piccole e medie imprese. Infatti, nessuno conosce, ad oggi, la dimensione complessiva degli interventi necessari, che saranno comunque massivi e condizionati dagli sviluppi sanitari ed economici. Ma a tutti è chiaro che solo mettendo in sicurezza i cittadini e le imprese, la recessione attuale potrà non tramutarsi in una depressione economica prolungata.

Posto che la fase acuta dell’emergenza sanitaria si vada esaurendo alla metà del secondo trimestre dell’anno, il Centro Studi di Confapi ipotizza che nel settore manifatturiero saranno attive queste percentuali di imprese nei prossimi mesi:

  • Aprile: 40% all’inizio; 60% alla fine del mese;
  • Maggio: 70% all’inizio; 90% alla fine del mese;
  • Giugno: 90% all’inizio; 100% alla fine del mese.

La ripartenza nel secondo semestre 2020 sarà verosimilmente frenata dalla debolezza della domanda di beni e di servizi. Nel caso in cui la situazione sanitaria non evolvesse positivamente, ovviamente queste previsioni economiche andrebbero riviste al ribasso.

Il calo della domanda sembra trainato da tre fattori:

  • modifiche dei comportamenti individuali;
  • nuove modalità di erogazione delle prestazioni lavorative;
  • chiusura di attività produttive di beni e servizi.

Il cambiamento dei comportamenti avviene sia nello stile di vita quotidiana, con l’obbligo di evitare spostamenti e assembramenti, sia nelle modalità di erogazione della prestazione lavorativa, con l’adozione dello smart working laddove possibile, specie nel settore dei servizi. Questa situazione sta mutando la composizione della spesa delle famiglie, adesso sbilanciata su tre capitoli essenziali di consumo:

  • alimentari,
  • abitazione,
  • salute

Questo andamento porta a una parzialerallentamento della domanda delle spese (circa il 60% del totale), etichettabili comenon essenziali:

  • trasporti
  • attività ricreative e culturali
  • ristoranti e alberghi
  • abbigliamento

Proposte di Policy

A livello industriale, si aprono una serie di minacce per la Sicurezza Nazionale. Il primo è l’inevitabile indebolimento competitivo di tutte le attività economiche. Potrebbero risentirne, in particolare, quelle legate a energia, trasporti, acqua, salute, comunicazioni, media, ma anche i comparti in cui sono presenti le nostre multinazionali ‘tascabili’, dove operano aziende sconosciute ai più ma che ancora difendono la bandiera dell’imprenditoria italiana nel settore dell’intelligenza artificiale, della robotica, del packaging e delle macchine utensili, della difesa, delle biotecnologie. Queste ultime diventano potenziali prede di interessi economici stranieri,da parte di potenze che possono approfittare di questa inevitabile debolezza. Come peraltro più volte evidenziato dal COPASIR, ribandendo lafunzione essenziale dell’intelligence, sotto l’aspetto economico e finanziario.

Forse, in tal senso, un blocco delle operazioni straordinarie sui settori strategici deve essere previsto, innovando il golden power che prevede informative preventive da cui possono scaturiti precisi divieti. In questa fase, però, sarebbe più opportuno vietare in ogni caso la vendita di quote degli asset strategici, individuandoli con precisione.

Molti settori dovranno adattare il proprio modello di business, che dovrà essere ripensato in molte delle sue fasi. Pensiamo al settore sanitario del nostro Paese, dove l’assenza di piattaforme mediche digitali non ha consentito la prestazione di servizi di diagnosi gratuita online per i cittadini, determinando sicuramente un incremento dei contagi. Invece, un servizio di telemedicina aiuta a distinguere i pazienti sospetti COVID-19 da quelli affetti da comune raffreddore, nonché di alleviare la carenza di risorse mediche fisiche, ridurre i rischi di infezioni incrociate causate dal contatto umano e consentire ad un maggior numero di cittadini di apprezzare le cure mediche online. Una rivoluzione tecnologicamente possibile e non più rimandabile.

Nel settore turistico e nell’industria degli eventi la ridefinizione degli spazi richiederà ingenti investimenti (dai ristoratori ai cinema, dalle palestre ai musei, dai teatri agli eventi culturali: tutti questi luoghi di concentrazione di persone devono procedere ad una totale rivisitazione degli spazi) che impatteranno negativamente sulla produttività. Sono tutti costi aggiuntivi per il sistema imprenditoriale, che in questo stato di crisi difficilmente potranno essere sostenuti senza adeguati sussidi. Nell’uso delle risorse, si dovrà necessariamente prestare attenzione ai settori più colpiti, come il turismo, l’industria degli eventi, il commercio di prossimità non alimentare e soprattutto l’export.

Occorre predisporre le condizioni legislative e fiscali per incentivare il rientro delle sedi legali delle aziende e contrastare il potere di attrazione dei “paradisi fiscali”, a iniziare da quelli europei.
Allo stesso modo bisogna agevolare il reshoring(rientro delle attività industriali nazionali che sono state delocalizzate all’estero per diverse ragioni), prevedendo una contribuzione fino al 50% dei costi di reimpianto in patria di produzioni appartenenti a qualsiasi settore. In tale quadro l’intelligence fiscale può svolgere un ruolo determinante, da sviluppare da adesso per i prossimi anni.
L’impatto del reshoring può essere rilevante sia per le aziende che lo intraprendono direttamente, sia per il sistema di subfornitura, che viene spesso riportato in madrepatria insieme alle produzioni aziendali. In questo modo si può fornire una concreta compensazione alla perdita di occupazione, derivante dall’impatto del COVID-19. La contribuzione del 50% potrebbe essere più elevata nel caso di produzioni strategiche o direttamente collegate alla crisi sanitaria: mascherine, disinfettanti, respiratori ed altro.

Occorrerà, inoltre, cominciare a sgonfiare l’ipertrofia fiscale e normativa come impegno prioritario, semplificando i labirinti procedurali di cui è disseminato il cammino delle imprese.

Un altro fronte di intervento potrebbe riguardare il Capitale Umano delle imprese, puntando su formazione e potenziamento delle competenze. In questo ambito si potrebbe ipotizzare una collaborazione tra Governo, sindacati e datori di lavoro nella costruzione di un ecosistema di apprendimento permanente ed efficace, utilizzando i fondi che sono già disposizione previsti nelle intese tra imprese e sindacati.

Una ulteriore linea di intervento potrebbe riguardare la territorializzazione della contrattazione, dando spazio a cogestione e welfare aziendale, con una forte attenzione al sistema territoriale basato su capitale sociale e coscienza dei territori. Infatti, stiamo assistendo ad un graduale sfarinamento dei territori, con conseguenze negative per il futuro del nostro Paese. È ragionevole sostenere che occorra ripartire dal rating locale, quello che l’OCSE chiama capitale territoriale, dove storia, memoria e saperi costituiscono il valore aggiunto del Made in Italy.

Per limitare la riduzione dei posti di lavoro è cruciale il più ampio ricorso a forme di diminuzione degli orari, senza eccessivi oneri aggiuntivi per le imprese, quali smaltimento delle ferie o utilizzo di congedi parentali per la cura dei minori.

È inoltre essenziale l’attivazione massiccia e repentina di strumenti di integrazione al reddito da lavoro, a cominciare dalla Cassa Integrazione Guadagni, anche in deroga alle regole.

Sono necessari, poi, altri fattori, quali il sostegno alla liquidità delle imprese per garantire che queste riescano a far fronte al flusso della remunerazione del lavoro, eventualmente al netto di taluni oneri contributivi temporaneamente sospesi.

Solo con soluzioni di salvaguardia dell’occupazione si potrà contenere la distruzione di posti di lavoro e il conseguente feedback negativo su consumi e livelli di attività.

In pratica, le soluzioni in campo saranno frutto di accordi (individuali o negoziati) tra imprese e lavoratori (secondo il modello tedesco di cogestione dell’impresa), ma è opportuno che queste siano incentivate da misure eccezionali di politica economica a sostegno del reddito dei lavoratori.

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