Di Pistoia Capitale della Cultura 2017 si è parlato poco sui media. I motivi cercheremo di scoprirli più avanti. E ce ne offre l’occasione una singolare Mostra, apertasi nei Musei dell’antico Palazzo dei Vescovi, nella piazza del Duomo, dedicata ad uno degli artisti più duttili e stravaganti della seconda metà dell’800: Giovanni Boldini, conosciuto ai più come il “ritrattista della Bella Epoque”, che trascorse molti anni della sua vita a Parigi, dove ottenne la Legion d’Onore, e dove morì nel 1931 all’età di 89 anni. Ferrarese di nascita, visse anche un suo periodo artistico in Toscana, negli anni di gioventù, dividendosi tra Firenze, Castiglioncello e Pistoia, di cui però aveva dimenticato il nome. Una storia strana la sua che s’incrocia con altre strane vicende incapsulate l’una dentro l’altra come tante matrioske.
È senza dubbio opera meritoria e coraggiosa aver riportato alla luce la vicenda artistica e umana del Boldini e dell’ambiente in cui visse per un certo periodo della sua gioventù nonché dei personaggi stravaganti e trasgressivi che ebbe a frequentare, inserendola in un contesto così diverso, come il trecentesco Palazzo Vescovile, oggi prezioso museo di oggetti sacri e opere d’arte. Ciò fa compiere un salto in avanti alle manifestazioni di Pistoia Capitale che, fino ad ora, non sembrano aver ricevuto particolari attenzioni mediatiche e d’interesse turistico.
Ma prima di cercare di capire le ragioni di questo andamento apparentemente “normale” cioè senza particolari guizzi delle manifestazioni nell’anno di Pistoia Capitale della Cultura, sarà bene prestare attenzione a questa Mostra dal titolo ‘GIOVANNI BOLDINI La Stagione della Falconiera’ che, rispetto al trend abituale costituisce un elemento di particolare novità e attrattiva: sia per il valore delle opere esposte che per le storie che la vicenda dell’artista ha fatto emergere. Storie di uomini, ma soprattutto di donne della buona società inglese e francese, nella seconda metà dell’800, che avevano eletto a dimora una Toscana a cavallo tra il Granducato dei Lorena e i nuovi assetti istituzionali dopo l’annessione al Piemonte, permeata dagli ideali risorgimentali.
Un tuffo nel passato, in una Toscana segnata da un grande fervore, sociale artistico e scientifico che la città di Pistoia ricorda anche con altre iniziative, forse meno appariscenti ma di particolare interesse. La genesi di questa Mostra si a seguito della scomparsa dell’artista avvenuta a Parigi nel 1931, all’età di 89 anni. La giovane moglie, la giornalista Emilia Cardona ( i due si erano sposati nel ’29, lei 30 anni, lui 87) , quando stava lavorando ad una biografia del marito, aveva saputo da lui stesso che in età giovanile aveva trascorso un periodo di vita e di impegno artistico in una città toscana il cui nome iniziava con la “P”. Sulla base di questa scarna indicazione la donna vagò in Toscana, e si trovò in una villa di Pistoia, La Falconiera, poco fuori la città, di cui le avevano parlato.
E proprio quando stava per andarsene con la delusione nel cuore, ebbe l’idea di dare un ‘occhiata ad una rimessa di attrezzi agricoli. Fu là che dietro gli strumenti agricoli intravide ad una parete tracce di pittura. Intuì allora che quello era il luogo ove Boldini aveva lasciato un segno della sua presenza, artistica e umana. Correvano gli Anni Trenta del Novecento. Decise allora di acquistare la villa, l’operazione si concretizzò nel ’38. Qui vi trasferì da Parigi tutte le cose appartenute all’artista, dalle suppellettili ai dipinti. Solo col tempo e i lavori di restauro, iniziati nel ’74, dopo la scomparsa della vedova Boldini, si scoprì che quella stanza adibita a magazzino agricolo era la sala da pranzo di Isabella Falconer, la mecenate inglese trasferitasi con il marito, il reverendo William Falconer in quella villa che prese il loro nome.
Forse per sdebitarsi o per riconoscenza del sostegno avuto dalla vedova Falconer, che aveva finanziato il suo primo viaggio a Parigi, e lo aveva poi ospitato in Costa Azzurra nell’inverno a cavallo tra il 1867-68, dove le precarie condizioni di salute l’avevano spinta a soggiornare, il Boldini affrescò a tempera le quattro pareti della stanza. “Un ciclo di pitture murali di cui per diverse vicissitudini dopo l’esecuzione nel 1868 si perse subito la memoria e che rappresenta”, afferma Francesca Dini curatrice della Mostra e del ricco dettagliato catalogo edito da da Sillabe, “un unicum in Europa, non solo per quanto riguarda la produzione artistica del grande pittore ferrarese, ma in generale della corrente macchiaiola, alla quale il Boldini aderì, in modo personalissimo, prima del suo trasferimento a Parigi (1871), dove era destinato a diventare il più importante ritrattista internazionale e icona stessa della Belle Époque”.
Si tratta di affreschi dedicati al lavoro nei campi, come buona parte della produzione dei macchiaioli. Artisti che il giovane Boldini, nato a Ferrara ma inviato dal padre a Firenze all’Accademia di Belle Arti, frequentava in quegli anni, subendo l’influenza del loro modo di fare e intendere la pittura. Amico inseparabile di Michele Gordigiani e Cristiano Banti; con loro frequentò il Caffè Michelangelo, dove conobbe artisti quali Giovanni Fattori, il padre della corrente dei “macchiaioli” Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Odoardo Borrani ed il critico Diego Martelli, che darà vita nella sua villa alla “scuola di Castiglioncello”. Fu proprio il Signorini a presentarlo ad Isabella Falconer, la quale pur in là con gli anni e ammalata era divenuta sua allieva. Del giovane Boldini la donna intravide il talento e subì il fascino: inquieto, ambizioso amante delle donne e della bella vita.
Durante il suo primo viaggio nella Ville Lumiere scrisse all’amico Cristiano Banti, delle straordinarie cose viste, l’Esposizione Universale, le opere di Ingres Courbet e Manet, gli impressionisti, i grandi spagnoli, Velazquez e Goya, concludendo: “Firenze mi fa l’effetto di un sobborgo di villaggio, è a Parigi che voglio andare a stabilirmi”. Parigi era il suo sogno. E là, dopo un periodo a Londra, passò l’intera sua esistenza, frequentando i salotti artistici e letterati fino a diventare uno dei più famosi ritrattisti della Bella Epoque. Il Boldini si mise alle spalle l’esperienza dei macchiaioli e la Toscana dei suoi anni giovanili. Ora, però, quegli anni sono prepotentemente riemersi, grazie all’opera tenace di ricerca della moglie Emilia ed all’azione di recupero operata dalla Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia, promotrice del progetto espositivo. “Quando vidi gli affreschi appena staccati e arrotolati”, spiega il presidente dell’Istituto Bancario Alessio Colomeiciuc, “decisi che la loro sede permanente sarebbe stato il Palazzo dei Vescovi, allora in restauro”.
E aggiunge: “La mostra su Boldini consegue due obiettivi essenziali: arricchisce il ventaglio delle iniziative di valorizzazione del patrimonio artistico pistoiese proponendo il nome di un pittore di sicuro successo, e celebra un episodio unico nella storia dell’arte dell’Ottocento italiano, rappresentato dalle suggestive Tempere murarie eseguite da Boldini all’interno della villa Falconiera”. C’è poi un altro intrigante aspetto che la vicenda porta alla luce. E lo ricorda nel catalogo la Dini: riguarda la vita avventurosa e trasgressiva di Isabella Falconer, prima del matrimonio col reverendo William Falconer. Una storia romanzesca su cui ha indagato a fondo Betty Bennett docente dell’American University di Wasghington in un suo libro su Mary Shelley, figlia di una scrittrice femminista e moglie del poeta Percy Shelley, autrice del fortunato romanzo gotico ‘Frankenstein’ (pubblicato nel 1818) e amica di Isabella.
Ma questa storia richiede una trattazione a parte. Qui ci corre l’obbligo di sottolineare la novità di questa Mostra dedicata a Giovanni Boldini, comprendente altri sedici capolavori del periodo macchiaiolo, realizzati durante gli anni toscani (1864-1871), provenienti da collezioni private e da pubblici musei, tra i quali il superbo ritratto del ‘Generale Spagnolo’, eseguito durante l’inverno trascorso in Costa Azzurra con la signora Falconer, tra novembre 1867 e marzo 1868 e considerato il capolavoro che ha proiettato il giovane Boldini nell’emisfero dei più grandi ritrattisti di tutti i tempi.
La Mostra, che resterà aperta fino al 6 gennaio 2018, si è avvalsa del contributo di idee di Vincenzo Farinella e di Andrea Baldinotti, oltre che della preziosa collaborazione della direttrice del Museo Cristina Tuci. Ma, tornando alla questione iniziale (‘perché Pistoia Capitale della Cultura non ha esercitato quel richiamo mediatico e anche turistico che era lecito attendersi?’) qualche risposta l’abbiamo ottenuta. Secondo il Sindaco Alessandro Tommasi, in carica solo dal 25 giugno scorso (giunta di centro destra) “il problema principale è dato dalla inadeguata promozione. Pistoia ha una grande storia antica e contemporanea alle spalle, eccellenze artistiche e culturali del passato e contemporanee, si pensi ai nostri illustri concittadini, come Cino da Pistoia, agli artisti che qui vennero ad operare come Luca della Robbia, Giovanni Pisano…o ai grandi contemporanei come lo scultore Marino Marini, il grande architetto Giovanni Michelucci e un ospite innamorato di Pistoia come Anselmo Kieper…beh, la valorizzazione di queste eccellenze e di altre ancora forse richiedeva un’opera promozionale più massiccia e incalzante…Ora attendiamo l’esito delle analisi sugli ultimi flussi turistici e poi decideremo il da farsi…l’anno si proietta ai primi del 2018…”.
Che Pistoia stia cercando di valorizzare alcune eccellenze è fuori dubbio: lo dimostrano il rafforzato cartellone del Teatro Manzoni o Pistoia Blues, o le giornate dedicate ad alcuni importanti personaggi della propria storia intellettuale e scientifica come il mecenate Niccolò Puccini o l’illustre medico dell’800 Filippo Pacini, colui che per primo impiegò il microscopio in chirurgia e medicina (già al tempo di Leopoldo II di Lorena) e scoprì molti anni prima di Koch il vibrione del colera. “Ma”, sono le parole di un operatore culturale, “il fatto è che Pistoia è offuscata sia da Firenze che da Lucca e talvolta anche da Prato ( si pensi agli investimenti fatti sul Centro Pecci per l’Arte contemporanea). E allora per avere maggiore risonanza mediatica e quindi un maggior flusso turistico, occorrerebbe una iniziativa col “botto”, un evento eccezionale di forte richiamo, nel solco di alcune manifestazioni già consolidate. Dico una cosa a mo’ d’esempio: se Bob Dylan o i Rolling Stone fossero venuti a Pistoia, i fari sulla città e sulle sue bellezze, si sarebbero senz’altro accesi. E la gente avrebbe potuto apprezzare le bellezze nascoste della città, Fortezza Medicea compresa, e la sua dimensione umana. Ma forse Pistoia ha ancora margini per giocare le sue ultime carte”.
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