Lima – Non è necessario consultare nessun oracolo per sapere che l’economia mondiale, quella italiana come quella dell’America Latina e via dicendo, è ancora impantanata nell’incertezza, nell’instabilità e nella volatilità. Dopo 48 anni (1967, Rio de Janeiro) torna in America Latina la Riunione Annuale della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Come sede dei lavori è stata scelta Lima, nel moderno e nuovo Centro Congressi nel distretto di San Borja. Il summit è iniziato lunedì 5 ottobre e si concluderà il prossimo 12 ottobre.
Un famoso economista peruviano, Jorge Gonzalez Izquierdo, sostiene che la riunione beneficerà il Perù «per prima cosa sulla questione della desaccelerazione dell’economia mondiale [..] dato che saranno promosse soluzioni per i paesi che stanno soffrendo questo problema nell’attualità, come il Perù [..] secondo è sulla poverta, la povertà estrema e la disuguaglianza [..] dove pochi guadagnano molto e molti guadagnano poco [..] terzo punto sul problema del cambio climatico e giusto adesso che ci cade sulla testa il Fenomeno del Niño [..] e come quarto punto c’è il decentramento delle economie, problema che esiste tanto a livello internazionale che a livello regionale, come per il nostro Paese».
Non sono mancate le proteste contro l’oracolo FMI/Banca Mondiale da parte di gruppi di protesta per le strade della metropoli peruviana. Il gruppo “Hip Hop”, rappresentato da Wilder Rojas, ha protestato contro il summit internazionale con striscioni, musica, grida, canti e con un post in Facebook per richiamare alla lotta i cittadini: «Dopo le elezioni..tocca lottare..protestiamo contro quelli che negoziano la tua patria, la tua terra, le tue miniere, la tua acqua, la tua vita..siamo il blocco Hip Hop e non abbiamo paura di niente (da Gato Viejo Editorial, domenica 4 ottobre 2015)».
E se i gruppi di protesta, non poi così rumorosi, cercano spazio nelle reti sociali più che in strada, la realtà di questa riunione internazionale si tinge di grigio. L’evento cercherà di trovare le linee guida – sembrerebbe che ogni anno queste mega riunioni internazionali risolvano i problemi del mondo! – per affrontare la dura e amara prospettiva di un futuro economico incerto, cercando di prendere come esempio, almeno per l’America Latina, i modelli economici regionali di successo, come quello peruviano. A sostenere la forza del modello peruviano, è intervenuta perfino il Presidente dell’Argentina, Cristina Kirchner, che ha sottolineato la forte crescita degli ultimi anni del Paese andino «Nel 2014 il Perù è cresciuto del 2,4%, mentre noi abbiamo vissuto la contrazione del PIL e la mancanza dei dollari [..] dal 2007 l’inflazione argentina superò di molto il 20% mentre quella peruviana si stabilizzò intorno al 1,5% [..] Nel 2014 gli investimenti stranieri nel nostro paese sono stati di 6.600 milioni di dollari, mentre in Perù hanno toccato i 7.600 milioni di dollari».
E questo, proprio ora che il gigante asiatico per eccellenza, la Repubblica Popolare Cinese, ha già cambiato modello economico, mettendo in secondo piano le anteriori e mostruose esigenze di materie prime provenienti dai paesi latinoamericani e non solo. Fatto che sta condizionando notevolmente economie come quella peruviana, boliviana, cilena, brasiliana, venezuelana ecc.. che si sono basate fino a oggi sull’esportazione di minerali, metalli preziosi, gas e petrolio. Infatti, l’FMI prevede nel 2016 un tasso di crescita per il Perù che si attesterà sul 3,3% con 1,7% in meno rispetto ai pronostici di 6 mesi fa, segnale certamente positivo per il paese, se paragonato al disastroso risultato del Venezuela (- 10%), alla caduta del Brasile (-3%) e all’affaticata Argentina. Il Perù è riuscito a ridurre la povertà estrema del 40% in 10 anni e ha controllato il proprio debito pubblico.
Dati incoraggianti, certo. Ma alla fine, se il valore totale delle esportazioni di materie prime peruviane tocca l’80% è possibile che non ci si domandi, quanto potrà durare l’epoca di bonaccia prima di ricadere verso il baratro? È possibile che il piano economico del governo non contempli lo sviluppo della manifattura e gli investimenti sulla tecnología applicata alla produzione, come obiettivo primario per il paese? O dobbiamo fare un sacrificio all’oracolo di Delfi per sapere se ciò mai avverrà?