giovedì, 23 Marzo
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Perché l’Australia teme la Brexit?

SydneyBrexit è un termine coniato di recente per indicare la British exit, ovvero una possibile uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, rispecchiando lo spauracchio della “Grexit”, a sua volta riferito alla Grecia. I cittadini inglesi saranno chiamati a votare uno specifico referendum il prossimo 23 Giugno, una data che nessun Paese al mondo può permettersi di attendere con leggerezza, per diversi motivi. Innanzitutto è sufficiente ricordare che la UE è la più grande economia al mondo, con valori aggregati superiori a quelli degli USA o della Cina. Non è necessario ribadire, poi, il ruolo dell’Europa nel creare e poi cementare quelli che oggi sono non soltanto i valori dell’intero Occidente, ma anche di gran parte del mondo sviluppato.

In secondo luogo, non vanno trascurati il ruolo e la storia del Regno Unito, superpotenza durante i secoli dell’Impero Britannico e ancora oggi grande potenza, dotata di armamenti nucleari e di seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma, al di là dei fattori prettamente numerici, dunque quantitativi, è opportuno tenere sempre a mente lo straordinario impatto sociale della cultura britannica, eredità del defunto impero. La cosiddetta Anglosfera infatti, ovvero l’insieme degli Stati legati dall’inglese come unica lingua ufficiale, comprende Regno Unito, Irlanda, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda, oltre a diversi Stati minori. Se si considerano quei Paesi che hanno l’inglese come una delle diverse lingue ufficiali, poi, l’Anglosfera si allarga ancora di più.

Ed è proprio per tentare di contrastare la continua perdita di peso specifico all’interno dello scacchiere internazionale – e per bilanciare il fenomeno della decolonizzazione post-bellica – che, nel 1949, veniva creato il Commonwealth delle Nazioni nella sua forma attuale, un’organizzazione sovranazionale ed intergovernativa di 53 Stati membri indipendenti, tutti, esclusi Mozambico e Ruanda, precedentemente parte dell’Impero Britannico. Oggi, il Commonwealth raggruppa 2,3 miliardi di persone e poco meno di un quinto del PIL dell’intero pianeta.

Questa breve introduzione storica è utile per capire quanto siano ancora radicati, in diversi Paesi del mondo, sentimenti di appartenenza al Regno Unito, non sempre corrispondenti ad uno stato effettivo delle cose, ma comunque importanti nelle relazioni diplomatiche, politiche, culturali e sociali dei Paesi interessati. E’ facile intuire, a questo punto, quanto la possibile Brexit possa interessare direttamente molte Nazioni. L’Australia, fra queste, sente maggiormente vicino a sé tale dibattito, non soltanto per le motivazioni socio-culturali appena elencate, ma anche per impellenti questioni politiche ed economiche.

E’ evidente che nei consessi internazionali – a cominciare dall’ONU, per scendere poi a livello regionale – Nazioni amiche si aiutino a vicenda, sostenendo mozioni del Paese alleato e facendo in modo che altri seguano tale esempio. Ne consegue che, qualora il Regno Unito dovesse uscire dalla più grande economia del mondo, il potere di leva dell’Australia all’interno dell’Unione Europea ne sarebbe fortemente danneggiato. Questo discorso vale, inoltre, in misura ancora maggiore per gli Stati Uniti, anch’essi fortemente contrari all’idea della Brexit.

L’Australia non ha mancato di far notare la propria preoccupazione per tale ipotesi, recentemente per bocca del Ministro degli Esteri Julie Bishop, la quale ha affermato, in seguito ad un incontro col Premier inglese David Cameron, che «Nonostante l’Australia riconosca che il referendum sulla Brexit sia un argomento di competenza del popolo inglese, noi crediamo fermamente che sia negli interessi australiani che il Regno Unito rimanga nell’Unione Europea. La UE è un partner economico estremamente significativo per noi, e un forte Regno Unito all’interno dell’Unione Europea è certamente negli interessi dell’Australia».

I timori per la possibilità Brexit sono condivisi da gran parte degli analisti di geopolitica e di quelli di economia, senza trascurare il mondo diplomatico, da sempre diffidente nei confronti di riforme fatte con strappi politici. In tale contesto vanno inquadrate le parole di Kim Beazley, ex Ambasciatore d’Australia negli USA, il quale ha affermato che «Il governo inglese retto da David Cameron si è dimostrato irresponsabile oltre ogni misura, dato che ha accettato di porre un referendum popolare sulla Brexit. Un’uscita inglese dall’Unione Europea avrebbe effetti devastanti, indebolendo la NATO, oltre che la UE, e rafforzando la Russia».

Non mancano, tuttavia, posizioni più isolate che sostengono l’idea di una separazione politica – e dunque anche economica – del Regno Unito dal resto d’Europa. In Australia, la voce più autorevole a tal riguardo è senz’altro quella dell’ex Primo Ministro John Howard, storico amico ed alleato di George W. Bush e di Tony Blair, il quale ha riferito che «Il progetto europeo è sbagliato da sempre. Credo che i suoi giorni migliori siano oramai alle spalle e che ci saranno tensioni sempre maggiori, soprattutto a causa delle continue ondate di rifugiati. La Gran Bretagna non può più controllare i propri confini – è ridicolo continuare a dire che può farlo – e se io fossi Inglese, cosa che non sono, voterei per andarmene dall’Unione Europea. Il Regno Unito ha perso la propria sovranità».

Un quadro politico estremamente complesso, dunque, che vede le principali previsioni sulle intenzioni di voto come negative per la Brexit, nonostante non sia ragionevolmente possibile escludere un risultato diverso. Ma, se lo scenario politico è complesso e fortemente contraddittorio, quali sono le implicazioni economiche per l’Australia?

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