Ci si avvia all’atto finale di venti anni di gestione di potere assoluto su Roma, il Lazio e da ultimo sull’Italia.
È la fine politica di Zingaretti Nicola, fratello di Zingaretti Luca, alias ‘il commissario Montalbano’. I due per molto tempo si sono sorretti a vicenda illuminandosi l’un l’altro con la propria popolarità.
Ma dentro il Partito democratico è iniziato un regolamento di conti perché, giova sempre ricordarlo, il Pd è l’erede, in parte, del Partito Comunista e le regole della ‘ditta’, come le chiamava Pierluigi Bersani, sono sempre le stesse.
Chi sbaglia, paga.
Zingaretti ha pagato un errore esiziale: ha creduto nei ‘responsabili’ sponsorizzati da Goffredo Bettini che è stato un grande maître à penser della sinistra, l’inventore, per dire, dell’idea di Francesco Rutelli sindaco.
Ma questa volta il colpaccio non è riuscito e il gruppetto di senatori che doveva sorreggere il governo Conte è miseramente naufragato alla prima prova in aula.
In conseguenza di questo, il Pd ha perso il suo ruolo egemone nella compagine di governo e si è ritrovato annacquato con tutti gli altri partiti.
A questo motivo principale poi ce ne sono di secondari ad iniziare che le donne del suo partito non hanno avuto rappresentanza nell’esecutivo e non glielo hanno perdonato. Infatti la prima a parlare subito dopo l’annuncio delle dimissioni è stata proprio la portavoce e non è un fatto casuale.
A tutto questo si aggiunga la tensione con i renziani rimasti nel Partito democratico come ‘quinta colonna’ e confluiti in ‘base riformista’ insieme agli scaltri (ex) Giovani Turchi di Orlando e Orfini che, anche loro, hanno sparato al alzo zero sul segretario.
Zingaretti, inoltre, è considerato responsabile del mancato arrivo delle mascherine e di una inchiesta per danno erariale della Corte dei Conti. L’appoggio dato poi alla conduttrice Barbara D’Urso ha fatto il resto a livello mediatico.
Ora le ipotesi sono due: o Zingaretti si presenta in Assemblea nazionale dimissionario e poi vede respinte le sue dimissioni e così continua oppure punta ad altro, come ad esempio, a fare il sindaco di Roma o il ministro.
Se si candidasse a sindaco, sarebbe al fine politica di Virginia Raggi che da anni sta preparandosi la rielezione e questo sarebbe un problema in più dei Cinque Stelle.
Discorso a parte per il buon Goffredo, intellettuale di vecchio stampo, conoscitore raffinato dei meccanismi politici soprattutto romani, questa volta ha sbagliato completamente mira e ha tirato giù anche il suo ‘cavallo’ e cioè Zingaretti. Questa volta ha fatto male i conti, ma i ‘compagni’ non perdonano ed anche lui dovrà pagare.