Viatico migliore non ci poteva essere: chi meglio di Papa Francesco, con la sua carica carismatica e il suo ‘fare’ che tanta presa ha sulla gente comune, credente o non credente che sia? Papa Francesco, dopo aver cancellato con un semplice tratto di penna il reato d’ergastolo, mai applicato ma comunque previsto nei codici del ‘diritto’ vaticano, in più di un’occasione si è occupato di carcere e della situazione del detenuti. «Nel contesto ampio della socialità umana, guardando al delitto e alla pena, viene anche da pensare alle condizioni inumane di tante carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua dignità di uomo, soffocato anche in ogni volontà ed espressione di riscatto». Concetti molto semplici e inequivocabili, quelli di Papa Francesco nel messaggio per la 47° Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il 1° gennaio 2014 sul tema: ‘Fraternità, fondamento e via per la pace’. «La Chiesa fa molto in tutti questi ambiti, il più delle volte nel silenzio. Esorto ed incoraggio a fare sempre di più, nella speranza che tali azioni messe in campo da tanti uomini e donne coraggiosi possano essere sempre più sostenute lealmente e onestamente anche dai poteri civili», sottolinea il Papa.
Non sorprende, dunque, che tra i primi a riconoscere la ‘diversità’ di questo pontificato, e dichiararsi esplicitamente fiducioso del cambiamento e della “riforma” che incarna, vi sia un laico a trecentomila carati come Marco Pannella. Al punto che, per la marcia per l’amnistia, il diritto e la libertà indetta per la mattinata del 25 dicembre, la partenza questa volta è fissata a San Pietro, e si concluderà dopo aver effettuato tappe significative dinanzi al carcere di Regina Coeli e alcuni ‘palazzi’ istituzionali, si concluderà davanti a palazzo Chigi.
Sono molte le personalità del mondo cattolico che hanno aderito e sostengono l’iniziativa del leader radicale. Come nel 2005, anno in cui per la prima volta si decise questa iniziativa per portare all’attenzione della società e della politica le urgenze tuttora e più che mai impellenti rappresentate dallo stato della giustizia e delle carceri italiane.
Non si tratta solo della condizione delle carceri, nelle quali 65.000 detenuti sono ammassati in celle che potrebbero ospitarne al massimo 37.000, ma della vita di milioni di cittadini italiani e delle loro famiglie, che sono o direttamente parti in causa, o comunque coinvolti negli attuali oltre 10 milioni di procedimenti penali e civili pendenti nei nostri tribunali, molti dei quali destinati a risolversi dopo troppi anni, altri cancellati dalla prescrizioni; in media sono infatti 500 ogni giorno le prescrizioni di reati che maturano nel silenzio: un’amnistia nascosta di cui nessuno si assume la responsabilità politica.
Anche oggi, come ieri, i promotori ritengono che per far fronte a questa grave situazione, possa proporsi solo uno strumento tecnico, previsto dalla Costituzione, quale un provvedimento di amnistia: la più ampia possibile, che possa da subito ridurre drasticamente il carico processuale dell’Amministrazione della Giustizia, perché essa, sollevata dal peso immane di un arretrato impossibile da smaltire, possa così tornare al più presto a operare con efficienza. Amnistia che sia premessa e traino di quella Riforma della Giustizia da anni invocata e mai realizzata. Assieme a questa, un indulto, per ripristinare la legalità nelle nostre carceri ponendo fine alla tortura dei trattamenti inumani e degradanti.
La Marcia, come nel 2005, sarà aperta da Don Antonio Mazzi della comunità Exodus, insieme a numerosi altri religiosi come Don Luigi Ciotti, fondatore e animatore del Gruppo Abele, e decine di cappellani delle carceri che sfileranno insieme alle realtà più importanti dell’associazionismo. E ancora: la comunità di Sant’Egidio e Luigi Amicone, direttore di ‘Tempi‘, rivista ufficiosa di Comunione e Liberazione. Tutti uniti nel ritenere che il Governo sia ora l’interlocutore «E’ per aiutarlo», dicono, «a svolgere un ruolo di impulso, attivo, nei confronti di un Parlamento, che sembra aver lasciato cadere nel vuoto il messaggio di Napolitano. D’altra parte, a giugno, era stata proprio la guardasigilli Cancellieri a dire“L’amnistia è imperativo categorico morale. Dobbiamo rispettare la Costituzione».
«C’è una specie di resa delle forze politiche: il Parlamento non ha la forza e i numeri per proporre un’amnistia. Così l’appello di Napolitano, almeno per ora, è caduto nel vuoto». Così dice Don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane. «Le Camere si stanno occupando di altro, e questo tema è sparito dall’agenda politica. Guardando i pronunciamenti dei partiti, sia a destra sia a sinistra, non ci sono i numeri sufficienti e il coraggio per rendere proponibile questa soluzione. E intanto l’Europa sollecita interventi».
Il Presidente della Repubblica, fa notare, «ha fatto tutto ciò che era possibile, ma il suo appello è rimasto per ora inascoltato». Nel frattempo, rimarca Don Balducchi , «in carcere l’attesa dei detenuti resta viva. Ma dietro le sbarre comincia a serpeggiare anche una sorta di rassegnazione. Si spera si realizzino almeno altre misure alternative che portino a deflazionare le presenze, come la semilibertà, la detenzione domiciliare e la minor custodia cautelare». «I detenuti – conclude il capo dei cappellani delle carceri – avvertono l’esigenza di sentire che si stia facendo qualcosa di concreto. Non so a cosa potrebbe portare la loro delusione, ma i cappellani vedono tanti volti tristi. In prigione ci sono migliaia di persone che soffrono, aspettano un segno che non arriva».
L’Italia, insomma, è uno dei Paesi peggiori per quanto riguarda le sue prigioni. Una condizione, che non può evitare di essere correlata all’alto numero di suicidi che, negli ultimi anni si sono moltiplicate nelle celle dei nostri penitenziari, da nord a sud. I numeri resi noti presentano un quadro disarmante. «La frequenza dei suicidi tra i detenuti è venti volte superiore rispetto alla norma». A togliersi la vita sono spesso i ristretti, anche tra gli agenti di polizia penitenziaria vi sono molti casi di decessi volontari: anche in questo caso il numero è tre volte superiore alla media. Seppur o qualcuno di questi casi può e deve essere legato a problematiche personali, circa i due terzi sono da addebitarsi ai fattori ambientali.
Morti in carcere, i numeri – Scendendo nel dettaglio dei numeri, resi noti da ‘Ristretti Orizzonti‘, nel 2013 (dati aggiornati fino al 10 dicembre) i morti in carcere sono stati 145, di cui 47 suicidi. Un tasso elevato seppur in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente: nel 2012, infatti, la popolazione carceraria che si è tolta la vita è stata di 60 unità (totale morti in carcere 154). Dal 2000 al 2013 i morti nei penitenziari italiani sono stati 2.233, di questi 799 si sono suicidati.