Finalmente, 46 anni dopo Roma e 50 dopo Cortina d’Ampezzo, toccava all’ Italia organizzare un’Olimpiade. Torino, nel congresso del CIO del 1999, ebbe la meglio sulla svizzera Sion per ospitare le Olimpiadi Invernali, XX edizione, del 2006. Grande sponsor della candidatura Gianni Agnelli, che non riuscirà a vedere i giochi (morirà nel 2003) e dal punto di vista organizzativo Evelina Christillin.
Giochi ben organizzati, tra i migliori di sempre, anche se – come accade troppo spesso – si sforò e di parecchio il budget previsto, con polemiche e scambi di accuse tra comitato promotore ed istituzioni centrali e locali. Tra il 10 ed il 26 febbraio del 2006, circa 2.500 atleti provenienti da 80 nazioni si sarebbero fronteggiati in 84 gare di 15 diverse discipline.
Cerimonia d’apertura imponente ed ottimamente riuscita, tanto da vincere addirittura due Emmy award. L’ultima tedofora fu Stefania Belmondo, che vinta la concorrenza di Tomba, della Compagnoni e dell’eterna rivale Manuela Di Centa, raccolse la torcia olimpica, arrivata a Torino in mezzo alle proteste di chi si opponeva alla TAV in val di Susa, ed accese il braciere. Cantò anche, e fu l’ultima sua esibizione, Luciano Pavarotti. Il maestro, già malato, dovette purtroppo usare il playback.
In un medagliere che vide prevalere la Germania, spicca il flop clamoroso della Norvegia: 19 medaglie, ma solo due del metallo più pregiato. Pochi atleti sugli scudi: vincere più di una medaglia quando le competizioni sono così tante e la specializzazione diventa sempre più spinta, è quasi un’impresa. E forse proprio perché tutto fu organizzato alla perfezione, non ci sono state, a Torino 2006, storie particolarmente commoventi o leggendarie da raccontare. Fu un’edizione molto europea, che poco aveva a che fare con gli spettacoli americani di 4 anni prima. Il motto stesso, “passion lives here”, narrava di sport, più che di spettacolo. Persino il doping sarà quasi completamente assente dal questa edizione della Olimpiadi, con una sola squalificata e delle perquisizioni a sorpresa fatte dalle forze dell’ordine italiane negli alloggi di alcuni atleti che erano stati visti assieme ad un medico compromesso con le sostanze proibite. Fortunatamente le indagini non portarono a nulla di realmente grave, visto che in Italia per il doping era previsto l’arresto degli atleti, cosa che terrorizzava Rogge.
Pochi protagonisti, insomma, ma tutti di rilevo. L’austriaco Benny Raich, che ai tempi di Tomba era un promettente diciassettenne, riesce nell’impresa di emulare il bolognese e Stenmark vincendo Speciale e Gigante, mentre il coreano Ahn Hyun-soo nello short Track vince tre medaglie d’oro ed una di bronzo. Oltre al solito dominio tedesco nel bob, va segnalato anche l’exploit dell’Estonia nello sci di fondo, con tre medaglie d’oro che fanno parte della storia sportiva della piccola nazione baltica.