domenica, 26 Marzo
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Olimpiadi invernali: Sarajevo ’84, i Giochi voluti da Tito

L’assegnazione alla città bosniaca (allora parte della Jugoslavia) Sarajevo dei XIV Giochi Olimpici invernali del 1974 fu decisa al fotofinish nel maggio del 1978. Le candidate erano tre: oltre a Sarajevo, vi erano Goteborg in Svezia e la giapponese Sapporo, che aveva già ospitato l’evento nel 1972. Rovesciando la prima votazione, dove Sapporo non riuscì ad avere la maggioranza assoluta e fu esclusa Goteborg, Sarajevo riuscì ad imporsi per soli 3 voti (39 a 36) nel ballottaggio. Decisivi furono i voti svedesi, che andarono tutti alla città europea dopo l’esclusione della loro candidata. Fu una delle ultime vittorie del maresciallo Tito, che non sarebbe riuscito a vedere tali giochi, morirà infatti nel 1980.

Dal punto di vista organizzativo, lo sforzo fu enorme: i cittadini della capitale bosniaca, addirittura, si autotassarono (usiamo questo eufemismo) per oltre l’1% dei loro redditi pur di avere un evento impeccabile. Sforzi che hanno dato il risultato voluto: non solo fu l’edizione con record di atleti (1.410 in totale) e nazioni (49), ma portarono anche, stando al rapporto ufficiale del CIO, ad un guadagno di oltre 2 miliardi di dinari.

CIO che, nel frattempo, aveva cambiato presidente, e di conseguenza politica circa il dilettantismo degli atleti: il nuovo dominus degli sport mondiali era lo spagnolo di Barcellona Juan Antonio Samaranch, un convinto franchista, che aveva però notevoli capacità organizzative: la decisione sul dilettantismo degli atleti fu delegata alla singole federazioni nazionali, mentre i proventi dei diritti TV e del marketing vennero accentrati dal CIO che provvedeva poi a favorire con tali guadagni le federazioni più povere. Un metodo che, se all’inizio diede i frutti sperati, divenne alla fine, come tutti i governi quando durano poi per troppo tempo, una scusa per malversazioni anche grandi, come vedremo in seguito.

Ma torniamo a Sarajevo: dall’otto al diciannove febbraio 1984 si tennero i giochi in un’atmosfera che si sperava fosse di riconciliazione dopo il boicottaggio statunitense dei giochi estivi di Mosca. Purtroppo, fu solo un fuoco di paglia: quasi tutti i Paesi del blocco sovietico boicotteranno le Olimpiadi estive 1984 di Los Angeles, continuando così a trasferire la guerra fredda anche nel campo sportivo.

Al contrario di tante altre edizioni, di neve ce ne fu, e pure troppa: le gare di sci alpino furono quelle che più subirono le condizioni meteorologiche avverse. Nevicate forti e nebbia che portarono a ritardi importanti soprattutto nella discesa maschile, posticipata di una settimana, ed in quella femminile, che fu interrotta e ricominciata daccapo.

Il medagliere fu vinto – e questa è la prima notizia – dalla Germania Est, che con 9 medaglie d’oro batté l’URSS che si fermò a sei, tra cui l’hockey, dove si rifà dello smacco subito dal miracle on ice statunitense di 4 anni prima. Bob e pattinaggio di velocità femminile furono le discipline che videro la nazione tedesca orientale dominare su tutti, conquistando tutte e sei le medaglie d’oro disponibili. La vera star della nazione fu però la vincitrice del singolo nel pattinaggio di figura: Katarina Witt.

La berlinese, all’epoca appena diciottenne, vinse il suo primo oro conquistando tutti non solo per la sua bravura, ma anche per la sua bellezza. Ricevette, dopo la sua vittoria, qualcosa come 35.000 lettere d’amore. Gestì intelligentemente il suo talento: dopo il secondo oro del 1988, passò al professionismo (scelta coraggiosa, visto che il blocco sovietico del patto di Varsavia era ancora presente) incantando gli USA con il suo spettacolo sul ghiaccio assieme a Brian Boitano (che sarà oro a Calgary nel 1988) e sfruttando la sua bellezza anche per servizi decisamente poco “olimpici” come quello per Playboy, che, fotografandola nuda in tutti i suoi particolari, farà sì che quel numero della rivista fosse il secondo più venduto di sempre, subito dopo quello con Marylin Monroe in copertina.

Nel pattinaggio di figura a sorprendere furono anche i vincitori della competizione di danza: i britannici Jayne Torvill e Christopher Dean incantano tutti danzando in maniera spettacolare sulle note del Bolero di Ravel. Non solo ottengono nove 6.0 dai nove giudici, il massimo possibile, ma definiscono nuovi standard per questo sport, tanto da costringere la federazione a ridefinire punteggi e regolamenti della disciplina. La loro esibizione, effettuata proprio nel giorno di San Valentino, rese la coppia (entrambe erano della regione di Nottingham) ‘più famosa di Robin Hood’, secondo la stampa britannica di allora.

Dallo sci di fondo femminile proviene l’altra stella dei giochi: è la finlandese Marja-Liisa Hämäläinen. A 28 anni suonati, dopo che il padre, olimpionico a Squaw Valley nel 1960 e che l’aveva messa a soli 4 anni sugli sci, non riusciva a rendere la figlia vincente, la Hämäläinen incontra quello che, oltre che allenatore, diventerà anche il suo compagno di vita: Harry Kirvesniemi. Gli effetti si vedono subito in questa edizione dei giochi: 3 ori nelle gare individuali ed un bronzo nella staffetta. Con i due bronzi del marito saranno sei le medaglie della famiglia a Sarajevo.

Infine, lo sci alpino: con Stenmark e la Hanni Wenzel fuori dai giochi perché passati al professionismo, con l’astro nascente Marc Girardelli non in grado di partecipare perché ancora apolide per il CIO (non era infatti più austriaco, e non ancora lussemburghese) non ci furono stelle particolari, anche considerando, come detto, le difficili condizioni ambientali in cui si svolsero le gare. Di notevole ci fu la vittoria doppia dei due gemelli statunitensi Mahre (Phil oro e Steve argento) in slalom speciale, la vittoria della giovanissima svizzera Michela Figini in discesa, ed il sorprendente oro dell’Italiano Paola Magoni nello speciale femminile. In una gara immersa nella nebbia, caratterizzata dalle cadute (arriveranno alla fine solo in 21 delle 45 partenti) la Magoni, detta Paoletta perché alta meno di un metro e sessanta, in quel mondo popolato da valchirie, dopo il terzo posto della prima manche, vince la seconda aggiudicandosi l’oro. Non era mai arrivata oltre il sesto posto, prima di questa olimpiade.

L’altra medaglia d’oro italiana (saranno due, tutte d’oro, le medaglie azzurre in questa edizione) viene dallo slittino singolo dove Paul Hildgartner, portabandiera in questi giochi, vince dodici anni dopo Sapporo. Due belle storie, quelle di Paul e Paola, in attesa della prima vera ‘star’ italiana tra quattro anni in Canada.

Si chiudevano così questi giochi, con la speranza che Sarajevo sarebbe stata ricordata non solo per l’omicidio di Francesco Ferdinando che nel 1914 aveva dato origine alla Grande Guerra, ma anche per un evento che volesse dire soprattutto pace. Otto anni dopo, purtroppo, la città sarebbe stata teatro di una delle più cruente guerre europee, e quei pendii dove si praticava lo sci sarebbero diventati i posti dove i cecchini sparavano sui civili inermi della città.

[Continua]

[vedi le precedenti: PARTE 1 qui PARTE 2 qui PARTE 3 qui PARTE 4 qui PARTE 5 qui PARTE 6 qui PARTE 7 qui PARTE 8 qui PARTE 9 qui PARTE 10 qui PARTE 11 qui]

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