giovedì, 23 Marzo
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Obama flop

Obama

«La Casa Bianca era preparata da diverse settimane a uno scenario che vedeva la vittoria dei repubblicani al Congresso». Queste le prime dichiarazioni pervenute dallo studio Ovale. A riferirlo un funzionario della Casa Bianca alla CNN. «Il Presidente è ansioso di andare avanti e di lasciarsi alle spalle le elezioni di metà mandato, ma non è in programma nessuna discussione su una possibile riorganizzazione della sua amministrazione» ha poi aggiunto.

Nonostante l’ottimismo di Obama, tuttavia, le elezioni di Midterm hanno totalmente stravolto gli equilibri degli ultimi sei anni di governo a guida democratica, con i repubblicani che conquistano, dopo la Camera dei rappresentanti, anche il Senato, in un voto che ha sicuramente certificato la fine dell’idillio tra Obama e gli elettori americani. Il Grand Old Party ha espugnato molte roccaforti democratiche, e adesso si preannuncia una complicata conclusione del mandato di Barack Obama, che dovrà fare i conti con due anni da “lame duck”, anatra zoppa, in un Congresso tutto in mano al partito rivale. Obama, che ha già annunciato una conferenza stampa per le 20.50 ora italiana, dovrà quindi limitare i danni, modificando la propria agenda e magari correggere la rotta riguardo le politiche interne ed internazionali. La disfatta democratica suona infatti come un vero e proprio schiaffo al Presidente degli Stati Uniti, la cui popolarità è ormai talmente crollata (38%) che gli stessi candidati del suo partito ne hanno preso le distanze.

Intanto, nuova escalation di violenza a Gerusalemme, dove un attentatore palestinese ha investito ed ucciso una persona scagliando la propria autovettura contro una fermata del tram. Oltre al pedone ucciso, Jadan Assad, 38 anni, capitano druso delle forze di frontiera israeliane, originario di Beit Jann, vi sono almeno 14 feriti, due dei quali gravi. L’agenzia palestinese ‘Maan’ ha identificato l’autore dell’attacco come il 48enne Ibrahim al-Akary. Le Brigate Izzedim al-Qassam, braccio armato di Hamas, hanno poi twittato la foto dell’uomo, che chiamano Akazi, compresa una sua immagine a terra dopo che è stato ucciso dalla polizia. Suo fratello Musa Muhammad al-Akary, secondo ‘Times of Israel’, avrebbe scontato 19 anni nelle carceri israeliane per il rapimento, nel 1992, del soldato Nissim Toledano. Sarebbe stato poi rilasciato nel 2011, nello scambio per la liberazione del soldato Gilad Shalit, ed espulso in Turchia.

Secondo le prime ricostruzioni, il palestinese era alla guida di un camioncino che ha travolto due gruppi di pedoni in rapida successione prima di andare a sbattere contro una serie di auto parcheggiate. Una volta uscito dalla vettura è poi stato ucciso dalla polizia, ma la dinamica non è ancora chiara. L’attacco è avvenuto presso la Tomba di Simeone il Giusto, uno dei luoghi santi ebraici della città, nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est, in una zona dove recentemente si sono trasferiti diversi coloni israeliani. La Giordania, in una nota dell’agenzia di stampa giordana Petra, ha richiamato in patria il proprio ambasciatore a Tel Aviv in segno di protesta per le “aggressioni israeliane senza precedenti’‘ attorno alla moschea di al-Aqsa a Gerusalemme. Il primo ministro giordano Abdullah Ensour ha infatti chiesto al ministro degli Esteri Nasser Judeh di richiamare l’ambasciatore in Israele per consultazioni. Ensour ha anche chiesto al suo capo della diplomazia di riferire immediatamente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite circa “l’aggressione israeliana a Gerusalemme”. Lo scorso 31 ottobre, il portavoce del governo di Amman Mohammed Mumuni, aveva già avvertito che il trattato di pace tra Giordania e Israele, firmato venti anni fa, era a rischio se fossero continuate “le violazioni israeliane” nella moschea di al-Aqsa e sulla Spianata delle Moschee.

Orrore a Kot Radha Kishan, distretto di Kasur, nella provincia di Lahore, in Pakistan, dove ieri sono stati brutalmente uccisi due cristiani accusati di aver insultato il Corano. La coppia, lui Shahzad ventiseienne e lei, Shama ventiquattrenne, sono stati bruciati vivi da una folla inferocita, proveniente da cinque villaggi al sud della provincia del Punjab, che li accusavano di aver commesso blasfemia bruciando alcune pagine del Corano. A riferirlo l’agenzia dei missionari Fides. Secondo le prime ricostruzioni i due, che lavoravano entrambi in una fabbrica di mattoni, sarebbero stati sequestrati e tenuti in ostaggio per almeno due giorni, per poi essere arsi vivi all’interno della fornace utilizzata per la cottura dei mattoni.  Come spiegato dall’agenzia Fides, le motivazioni andrebbero ricercate nella morte del padre di Shahzad. Basandosi su quanto riferito dalle prime testimonianze, il giovane avrebbe infatti raccolto dalla casa del padre deceduto oggetti e fogli inutili per poi bruciarli in un piccolo rogo. Secondo un musulmano che avrebbe assistito alla scena, tra i fogli sarebbero stati presenti anche alcune pagine del Corano.

Un poliziotto ha invece raccontato come «la moglie del giovane si fosse recata nella stanza del padre di Shahzad per pulire. C’era un baule, e lei ha preso le cose che potevano essere utili e ha buttato il resto nella spazzatura di fronte alla casa. Il netturbino che ha preso la spazzatura il giorno dopo abbia riferito ad un leader religioso locale che aveva trovato pagine del Corano nel cassonetto davanti all’abitazione del giovane cristiano». La notizia si sarebbe presto sparsa e da lì il tragico epilogo. Il governatore del Punjab Shahbaz Sharif (fratello del premier Nawaz) ha deciso di formare una commissione di inchiesta per accelerare le indagini. Ha inoltre rafforzato la sicurezza nei quartieri dove vive la minoranza cristiana. L’opposizione, rappresentata dal Partito popolare pachistano (Ppp), il partito della famiglia Bhutto, ha condannato l’orrendo crimine e chiesto di fare luce su quanto avvenuto ieri. Anche Il Consiglio degli Ulema del Pakistan, in una nota inviata all’agenzia vaticana Fides, chiede «un’inchiesta imparziale» ed esprime «profondo dolore per l’incidente», affermando che «esso non sarebbe avvenuto se la polizia locale non avesse mostrato negligenza».

In Iraq, intanto, è una carneficina senza fine. Nelle città di Hit, Furat e Jazeera, sono infatti “più di 500” i membri della tribù Albu Nimr, di fede sunnita e attiva nell’ovest dell’Iraq, giustiziati dallo Stato islamico negli ultimi giorni. E’ quanto ha dichiarato alla stampa il leader tribale Naim Gaod Nimrawi, che ha esortato la popolazione della provincia di Anbar a continuare a ribellarsi ai jihadisti. Secondo Nimrawi, tra i membri di Albu Nimr giustiziati dal gruppo jihadista ci sarebbero almeno 20 donne e 26 bambini. Intanto a Falluja, roccaforte dei miliziani di al-Baghdadi e da mesi sotto assedio dell’esercito iracheno, sono morti ieri almeno nove civili mentre altri 23 sono rimasti feriti. A riferirlo una fonte dell’ospedale generale della città citata dall’agenzia irachena Nina. Lo Stato islamico ha inoltre sequestrato 23 cittadini iracheni, fra cui tre donne, a Tikrit, città a maggioranza sunnita sotto il controllo dei qaedisti dallo scorso giugno. Lo ha riferito a Nova una fonte della sicurezza locale, secondo cui gli ostaggi sarebbero stati prelevati all’interno dei propri appartamenti nel quartiere di al-Basha, e condotti forzatamente verso una destinazione ignota. Ieri lo Stato islamico, sempre a Tikrit, aveva anche fatto saltare in aria tre abitazioni appartenenti a ufficiali dell’esercito e della polizia nella zona orientale della città e nel villaggio di Shirqat, a nord della città natale dell’ex-rais Saddam Hussein.

In Ucraina nel frattempo la situazione resta sempre tesissima. Il primo ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk, ha infatti annunciato che il suo governo non sosterrà più finanziariamente le zone dell’est controllate dai separatisti filorussi. «Finché le zone saranno controllate da qualsiasi tipo di impostori, il governo non stanzierà i soldi provenienti dal bilancio centrale per sovvenzionare questi territori», ha precisato il premier ad una riunione di gabinetto. Secondo le stime del governo, ha proseguito Yatsenyuk, sono necessari circa 1,51 miliardi di dollari per sostenere le aree controllate dai ribelli nella regione di Donetsk e circa 1,12 miliardi di dollari per finanziare i territori nella regione di Lugansk. Tuttavia, il premier ha spiegato che le autorità ucraine non interromperanno le forniture di gas ed energia elettrica nelle zone, anche se non vengono pagate. «I nostri cittadini risiedono lì e non permetteremo che queste persone congelino perché questo porterebbe ad una crisi umanitaria», ha spiegato.

Il premier dell’Ucraina ha poi dichiarato come per porre fine al conflitto nel sud-est «uno dei format più efficienti sia quello di Ginevra», che prevede trattative con la partecipazione di Usa, Ue, Russia, Ucraina ma con l’esclusione dei separatisti. «Sottolineo ancora una volta – ha detto infatti Iatseniuk – che non ci sono prospettive di negoziato con i ribelli». E se per Angela Merkel non vi è al momento «alcuna possibilità di una revoca delle sanzioni imposte alla Russia per la sua politica sull’Ucraina», Mosca risponde con il divieto di importazione di alcuni tipi di carne bovina, tra cui salsicce, provenienti da diversi Paesi Ue, tra cui Italia, Francia, Spagna e Germania. Ad agosto, il Cremlino, aveva già varato un primo divieto sull’import alimentare dai Paesi che avevano imposto sanzioni alla Russia per la crisi in Ucraina.

Intanto, sul terreno, si continua a morire. Nelle ultime 24 ore due soldati ucraini sono stati uccisi, e altri nove sono rimasti feriti, nei combattimenti tra le truppe di Kiev e i miliziani separatisti nel sud-est del Paese. A Donetsk, roccaforte dei separatisti filorussi, il bilancio è invece di un civile morto e quattro feriti dai bombardamenti dell’artiglieria governativa.

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