giovedì, 23 Marzo
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Moldova: le difficili scelte della UE

Uno dei compiti più difficili che deve fronteggiare l’Occidente e, in particolare l’Unione europea, che è più vicina rispetto agli americani alle aree di conflitto, consiste nello scegliersi gli alleati in loco. Non è esagerato dire che in molte occasioni ad alimentare in maniera decisiva un conflitto è stato uno sbaglio di valutazione da parte occidentale: si sono fornite armi, si sono istruiti combattenti o, più semplicemente si è dato appoggio politico a gruppi e personaggi che si sono poi rivelati inaffidabili e a volte, dopo una breve luna di miele, perfino ostili. Questo è avvenuto e avviene in scenari asiatici o africani, in contesti forse difficili da decifrare. Il caso della Moldova dimostra che deprecabili sviluppi di questo tipo sono possibili anche sulla porta di casa, o, per essere più precisi, già nel vestibolo di casa dato che la Moldova ha firmato con l’Unione europea un Accordo di Associazione che crea fra le due parti uno stretto legame economico e politico.

L’Accordo era un obiettivo in pari misura moldavo ed europeo: moldavo perché rafforza la sovranità del piccolo Paese nei riguardi di una Russia che pare ancora alla ricerca di una sua definitiva dimensione, ed europeo perché nella competizione ormai ingaggiata su vasta scala con Mosca, assicura all’Unione un piccolo vantaggio territoriale nello spazio post sovietico e un grande vantaggio psicologico che la accredita come modello socio-politico maggiormente ambito, senza contare il ruolo del Paese nella geopolitica del gas.

In Moldova gli europei hanno faticato a lungo, dopo il crollo dell’Unione sovietica, nel trovare un uomo che garantisse loro una leadership occidentale a Chişinău. In effetti, prima di porre la questione in termini stringenti occorreva fare i passi intermedi, avvicinarsi, cioè, alle frontiere moldave, il che avvenne nel 2007 con l’ingresso della Romania nell’Unione. Da allora Unione e Moldova sono confinanti. Ed ecco che, intuendo le nuove richieste sul mercato politico, nel dicembre 2007 un giovane deputato con la giusta ambizione, transfuga del Partito Democratico, Vlad Filat, fonda il Partito Liberal-Democratico. Nel 2009 è a capo della coalizione Alleanza per l’integrazione europea e vince le elezioni.

Resta Primo Ministro per quattro anni, anni durante i quali la Moldova non solo non migliora le sue performaces economiche, ma finisce nella rete di quella che molti definiscono una cleptocrazia: sullo sfondo un crocevia di traffici molto pericolosi anche balzati agli onori delle cronache in questi giorni. Non era stata la correttezza amministrativa la maggior dote dei politici moldavi neppure in precedenza, ma con Filat la corruzione assume dimensioni, su scala moldava, impressionanti e capillari. Quello che rende il sistema ancor più detestabile è l’immagine e la retorica di Filat e dei suoi uomini pro-europei: spregiudicati e sempre pronti a usare la retorica della modernizzazione; attenti alla propria fama di tecnocrati e inclini alle forme più primitive di saccheggio della cosa pubblica. Erano però, si diceva, amici dell’Unione europea, una barriera all’egemonia russa.

Nel 2013, non per voto parlamentare ma per regolamenti di conti nel suo partito, Filat dovette lasciare la carica di Primo Ministro. Qualche mese dopo cominciarono a circolare anche sui media occidentali notizie sempre più fondate sulle enormi ruberie di cui lui e altri politici a lui vicini erano responsabili. Al Partito democratico di Lupu e al liberal-democratico di Filat, sempre con l’appoggio dell’Unione che non vedeva ad essi alternative, è riuscito fino ad oggi di mantenersi in area governativa, seppure mandando ad occupare posti ministeriali le seconde e le terze file, essendo i capi troppo compromessi.

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