Il Processo di Khartoum (che prende il nome dalla capitale del Sudan), nato da una iniziativa congiunta dell’Unione Europea e dell’Unione Africana, nel novembre 2014, in occasione di una conferenza ministeriale a Roma, con contributo dell’ex Ambasciatore italiano a Khartoum Armando Barucco è stato fondamentale, è volto, in teoria, a promuovere il dialogo nel settore della migrazione e la collaborazione tra i Paesi d’origine, di transito e di destinazione lungo la rotta migratoria dal Corno d’Africa all’Europa. Si tratta di affrontare le sfide del settore della migrazione nel loro complesso, consentendo uno scambio paritario tra gli Stati interessati.
Il Processo di Khartoum ha come obiettivi: scambi di informazioni, sviluppo della capacity bulding imprenditoriale, assistenza tecnica, sostegno allo sviluppo nei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori africani verso l’Europa per, dove è possibile, prevenirli. Su base volontaria prevede assistenza alla creazione di centri d’accoglienza che forniscano l’accesso al diritto d’asilo. A fondamento dell’intesa, secondo i promotori del Processo di Khartoum (Italia in prima linea), il pieno rispetto dei diritti umani, primo fra tutti il diritto d’asilo.
Tramite il Processo di Khartoum l’Unione Europea ha deciso di accordarsi e collaborare anche con Stati governati da dittature come il Sudan.
Dal 2016 varie associazioni, anche italiane, nutrono grosse perplessità su questa forma di aiuti umanitari. Alcune di esse affermano che esiste il forte rischio di incoraggiare, nei Paesi di transito come il Sudan, politiche repressive che portino alla creazione di campi di concentramento veri e propri e violazioni dei diritti umani. Vi sono sospetti che si stiano addestrando le polizie di frontiera a respingere brutalmente i migranti.
Fino ad ora questi sospetti sono rimasti teoria, permettendo ai governi italiano ed europei di classificarli come fantasie e insensate paure. Ora il rapporto sul tema realizzato lo scorso gennaio da IRIN e dal Professore Caitlin L. Chandler del International Reporting Project IRP, dà concretezza ai sospetti. Un rapporto ignorato dal Governo e dai media italiani che merita di essere riprodotto nei suoi punti principali.
Nel novembre 2014, l’Europa si concentrò sui flussi migratori provenienti dal Sudan, lanciando il Processo di Khartoum, un dialogo tra l’Unione Europea e il Paesi del Corno d’Africa per combattere il traffico di esseri umani. Inizialmente si è posta enfasi sulla protezione dei migranti e dei diritti umani. La realtà a distanza di 4 anni è ben diversa.
Nel 2015, l’Unione Europea ha creato un fondo speciale, il ‘EU Emergency Trust Fund for Africa’, per assistere finanziariamente il Processo di Khartoum nell’intento di risolvere le cause della migrazione illegale e del traffico di esseri umani. 400 milioni di euro sono stati stanziati per progetti di sviluppo e assistenza per fermare i flussi migratori dall’Africa verso l’Europa. Un recente studio di Oxfam ha dimostrato che dei 400 milioni stanziati, solo il 3% è stato speso per lo sviluppo autoctono al fine di creare opportunità di lavoro agli aspiranti migranti, l’83% dei fondi è stato speso in controlli repressivi della migrazione.
Il Luogotenente Generale della Polizia sudanese, Awad al-Neel Dahiya, capo del Ministero degli Interni, afferma che il focalizzarsi dell’Unione Europea sui controlli migratori sia una risposta giustificata ed efficace. «Con un confine lungo 7.000 km e le nostre scarse risorse è difficile fermare la migrazione clandestina come la volontà di migrare dei sudanesi. L’Unione Europea, attraverso il Processo di Khartoum ci sta aiutando moltissimo per risolvere il controllo dei nostri confini», afferma Dahiya, stretto collaboratore del Boia del Sudan, il capo dei servizi segreti NISS, Salah Gosh.
In contrasto con le diplomazie italiana ed europea che raffigurano il Processo di Khartoum e i collegati aiuti umanitari come un successo, molti specialisti sudanesi affermano che l’operato dei governi europei si basa sulla falsa convinzione che il Governo sudanese voglia sinceramente stroncare il lucrativo traffico di esseri umani. La realtà è esattamente l’opposto. «Non esiste alcuna volontà del Governo sudanese di mettere fine al traffico di esseri umani. Sta creando nuove leggi contro il traffico umano solo per compiacere l’Occidente. Nella sostanza non sta cambiando nulla, né lottando contro i trafficanti. Semplicemente fa affari con questi», dichiara Rifat Makawi, avvocato sudanese.
Un rapporto del 2017 redatto dal Regional Mixed Migration Secretariat (Segretariato Regionale Misto per la Migrazione) ha fatto notare che le rotte del traffico di esseri umani continuano indisturbate e alla luce del giorno tra il confine eritreo e sudanese (in special modo a Cassala, dove la UE ha concentrato molti interventi umanitari gestiti dal Governo italiano). Nel solo 2016 il traffico di esseri umani dal confine sudanese ha fruttato 203 milioni di dollari, secondo alcune stime.
Nel 2017 il Dipartimento di Stato americano, in un rapporto sul traffico di persone, è arrivato alla conclusione che il Governo sudanese non raggiunge gli standard minimi per eliminare questo traffico e gli sforzi compiuti da Khartoum in questo settore sono insignificanti. L’associazione americana per i diritti umani Human Right Watch ha accusato le forze di sicurezza sudanesi, comprese le forze speciali RSF, di essere colluse con i trafficanti di esseri umani.
Queste evidenze non hanno ancora convinto l’Unione Europea a bloccare la sua collaborazione diretta con il regime dittatoriale di Omar Al Bashir. Per decenni la UE non ha voluto trattare direttamente con il regime sudanese a causa del mandato di arresto internazionale emesso dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità commessi nel Darfur. Dal 2014, grazie all’opera diplomatica di Italia e Francia, tutto è cambiato e il regime dittatoriale è diventato rispettabile e impegnato ad una lenta ma progressiva democratizzazione del Paese…
Paesi come la Gran Bretagna, l’Italia e la Norvegia stanno collaborando con il regime dittatoriale sudanese. La Norvegia sta discutendo un accordo con le autorità sudanesi per facilitare la deportazione dei rifugiati sudanesi. Il Governo belga ha permesso ai servizi segreti sudanesi di indagare tra i rifugiati e richiedenti asilo sudanesi che vivono in Belgio. Michael Aron, l’Ambasciatore inglese in Sudan si è spinto a dichiarare che l’Unione Europea può influenzare il comportamento della Polizia sudanese verso i migranti. «Stiamo aiutando i buoni ragazzi che si trovano all’interno della polizia per migliorare il rispetto dei diritti umani e il controllo delle frontiere», ha affermato l’Ambasciatore Aron.
Eppure da tre anni a questa parte il Governo sudanese ha chiarito che si aspetta dall’Unione Europea solo un stanziamento di fondi tesi a migliorare il controllo militare della migrazione alle sue frontiere. Il capo della Polizia politica RSF, Mohamed Handan, in una intervista ad ‘Al Jazeera’, ha affermato che se l’Unione Europea non vuole perdere milioni di euro deve per forza supportare il regime sudanese. Il Capo della delegazione dell’Unione europea in Sudan, Jean-Michel Dumond, è sempre più convinto nel rifiutare qualsiasi critica al Processo di Khartoum, affermando che sia la migliore via di risolvere il problema della migrazione illegale, sottolineando che l’Unione Europea non collabora direttamente con le squadre della morte della RSF.
Dumond si è dimenticato di dire che questa collaborazione si sviluppa attraverso tortuose vie indirette sempre finanziate dall’Unione Europea. Una di queste occulte vie è garantita da ‘consulenti’, che stanno progressivamente sostituendo gli esperti di cooperazione e sviluppo presso l’Unione Europea in Sudan, che danno forma al ROCK Regional Command Center in Khartoum (dove parteciperebbero anche i servizi segreti italiani) con il compito di supportare la Polizia e le forze dell’ordine sudanesi (RSF compresa) nelle misure repressive anti-migratorie.
«La politica europea sulla migrazione in Sudan è diventata come la crisi del Darfur: puro business. Stiamo assistendo ad una proliferazione di Ong create dal regime per partecipare al banchetto offerto dalle cooperazioni europee. Tutti vogliono un pezzo della torta», denuncia Fatima, una giornalista sudanese ripetutamente minacciata di morte dal regime per le sue inchieste ‘illegali’ su migrazione e aiuti umanitari.
L’Unione Europea continua a versare milioni di Euro nel Processo di Khartoum, un 3% destinato alle cooperazioni e Ong per camuffare che la maggioranza dei fondi è destinata a supportare la repressione poliziesca e militare del regime sudanese. Una di questi specchietti per allodole è il BMM Better Migration Management un progetto, pare (non ci è stato possibile verifiche con risultati certi) di 46 milioni di dollari, gestito dalla Cooperazione Tedesca, CIZ German Agency for International Cooperation, in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per l’Immigrazione, la Polizia italiana e il Ministero degli Interni francese. Il BMM allestirà in centro di accoglienza a Dongola per ricevere i rifugiati e migranti intercettati dalla Polizia sudanese.
Il Professore Caitlin L. Chandler e IRIN nutrono seri dubbi che questo centro di accoglienza si trasformi in un campo di concentramento dove gli abusi e le violazioni dei diritti umani siano moneta corrente, perpetuati lontani dagli osservatori internazionali e dai operatori umanitari delle Ong, stranamente messi al margine del progetto della Cooperazione Tedesca. Martin Weiss, il direttore tedesco del programma BMM, insite ad affermare che il progetto è teso a proteggere i migranti. «BMM non è un progetto di sorveglianza dei confini ma di protezione dei rifugiati che facilita la loro vita. Attualmente molti rifugiati sono vittime di violenze, schiavitù e stupri. Noi provvediamo a fornire una risposta efficace a questi problemi», afferma Weiss.
Eppure IRIN e il Professore Chandler, supportati dalle loro accurate ricerche, sono categorici nel sostenere che l’Unione Europea e i suoi partner non hanno una strategia vera e propria per combattere le violazioni dei diritti umani in quanto i fondi sono orientati per la maggioranza verso misure repressive e controllo delle frontiere. Per quanto riguarda il programma BMM, la GIZ afferma che sia costantemente monitorato da una commissione composta da Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia e Norvegia. Questa commissione, però, valuta i rischi di violazione dei diritti umani da… Bruxelles, con rare visite in Sudan, concordate con il regime dittatoriale di Khartoum.
Eppure questo monitoraggio in remoto sarebbe efficacissimo secondo il Capo della delegazione dell’Unione europea in Sudan “Il comitato ha una chiara visione di cosa sia possibile e cosa no. Non pensa che vi sia il rischio di violazioni dei diritti umani nel progetto finanziato dalla Unione Europea. La commissione fa frequenti visite di monitoraggio in Sudan». ‘Frequenti’ non troppo secondo IRIN, e controllatissime dalla Polizia e dai servizi segreti sudanesi, spesso accusati di essere i principali autori delle violazioni dei diritti umani, e di essere in affari con i trafficanti di esseri umani.
Quando gli esperti di IRIN hanno visitato il campo rifugiati di Shagarab, vicino a Cassala, hanno dovuto sottostare allo stesso protocollo destinato alla Commissione europea del programma BMM: scortati dalla Polizia e dalla NISS, che addirittura assicuravano i servizi di traduzione e verificavano i rapporti successivamente redatti.
Il programma BMM dovrebbe costare 46 milioni di euro, ma si sospetta che i fondi messi a disposizioni siano maggiori, e per obiettivi non definitivi ufficialmente. La GIZ e l’Unione Europea hanno rifiutato al OSEP Open Society European Policy (Società Aperta per il monitoraggio delle Politiche Europee) di mostrare l’intero budget messo a disposizione al programma BMM, con l’obiettivo di evadere i rigorosi monitoraggi, secondo il parere di Giulia Laganà, esperta in migrazioni presso la OSEP.
Le conclusioni del rapporto di IRIN sono chiare: la sorveglianza delle frontiere e le misure repressive accompagnate da qualche intervento umanitario di facciata non possono contribuire alla riduzioni dei flussi migratori irregolari dall’Africa. L’approccio voluto da Italia, Francia, Germania e Unione Europea in Sudan non è solo inefficace ma controproducente in quanto si sostiene un regime dittatoriale coinvolto nel traffico di esseri umani e in un genocidio in Darfur. Secondo IRIN questo approccio non aiuta ma danneggia gli aspiranti migranti in marcia verso l’Europa.
IRRI International Refugee Rights Initiative (Iniziativa Internazionale per i Diritti dei Rifugiati), SIHA – Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa (Iniziativa Strategica per le Donne del Corno d’Africa), il CHRL SOAS Centre for Human Rights Law (Centro le protezione giuridica dei diritti umani) presso l’Università di Londra pensano che sia necessario un radicale cambiamento delle politiche migratorie italiane ed europee in quanto le barriere che si stanno creando in Paesi come il Sudan rischiano di beneficiare solo i trafficanti di esseri umani, senza risolvere il problema.
Lucy Hovil, Ricercatrice Senior presso IRRI, afferma che un nuovo approccio alla problematica è necessario per risolvere i flussi migratori illegali. Occorre risolvere le problematiche di sicurezza ed economiche di Paesi come l’Eritrea (dove si sta assistendo ad una progressiva riabilitazione del regime portata avanti da Italia e Unione Europea). Problematiche che includono anche l’ingiustizia, la marginalizzazione di fasce sociali, la mancanza di democrazia. Secondo Hovil, l’Unione Europea deve smettere di spendere milioni nella assistenza a regimi repressivi come quello sudanese e concentrare i suoi interventi sul rispetto delle leggi internazionali e della protezione dei rifugiati e migranti economici. Il migliore metodo per combattere i trafficanti di esseri umani è quello di regolamentare i flussi migratori rendendoli possibili e non cercando di fermarli.
Questo pool di autorevoli associazioni hanno raccomandato l’Unione Europea di adottare nuove politiche di aiuti tese a risolvere i veri fattori che spingono alla migrazione forzata, assumendo la responsabilità di assicurare la sicurezza dei migranti e di garantire loro un trattamento umano nei Paesi di transito. Questo nuovo approccio deve riflettere le esperienze vissute dai migranti e dalla comunità ospitanti e assicurare loro i diritti umani fondamentali proteggendoli dai soprusi dei governi dittatoriali, tramite il rispetto delle leggi internazionali.