Dicono che il ‘Gigante’ sia l’unico che si può permettere di correggere, anche in pubblico, la ‘Bambina’. Il ‘Gigante’ si chiama Guido Crosetto: è un Marcantonio di due metri, 58 anni di Cuneo, un passato di parlamentare e di sottosegretario alla Difesa, ora Presidente dell’AIAD, la Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio. Nel suo curriculum la co-fondazione di Fratelli d’Italia, il partito di cui Giorgia Meloni fin da sempre è Presidente; ed è appunto lei, ‘Giorgia’, la ‘Bambina’; che Crosetto può, se vuole, correggere e contraddire: ufficialmente non ha ruolo, ma è ascoltato, influente.
Il rapporto tra i due è ben sintetizzato da una celebre immagine: lui che prende in braccio lei e la solleva come un fuscello; la identica postura che anni prima aveva immortalato il segretario del PCI Enrico Berlinguer tra le braccia di un festoso Roberto Benigni. E’ il dicembre 2012, Auditorium della Conciliazione, ricorda Crosetto: «Eravamo alla fine di una manifestazione molto importante per noi, una manifestazione di rottura con il governo Monti. Non ci pensai più di tanto e sollevai Giorgia…». Si era al termine delle ‘primarie delle idee’, iniziativa organizzata per scegliere (come poi non viene fatto) il candidato premier del centro-destra con le elezioni primarie: «Silvio Berlusconi ci negò le primarie per la sua successione e io e Giorgia promuovemmo le ‘primarie delle idee’ e sul palco c’era lo slogan ‘Senza paura, rifondare l’Italia’».
E oggi? «Oggi Giorgia è molto più pesante… Non certo fisicamente ma politicamente e culturalmente. In dieci anni è diventata il maggiore leader politico del Paese…». Sono passati quasi dieci anni da quel 17 dicembre 2012, e la ‘Bambina‘ in questi giorni squaderna idee e personaggi per quel che riguarda la leadership del centro-destra, e da lì spiccare il volo direzione palazzo Chigi.
L’obiettivo della Conferenza di Milano, spiega Crosetto, «serve a parlare di cose e di programma. L’obiettivo è parlare finalmente di politica e di scalzare i tecnici…». Le idee; ma anche per chiarire sulle gambe di chi queste idee devono camminare. Ecco che Crosetto diventa un prezioso sestante per capire quale sia la rotta che intende percorrere il naviglio guidato da Meloni.
Premessa: «Bisogna ricostruire una cosa che è morta: la politica». Non solo la politica; anche il centro-destra, almeno per come finora lo si è conosciuto, si può legittimamente obiettare; Crosetto conferma che quello di Meloni, suo e di Fratelli d’Italia, è a dir poco un ‘vasto programma’: «La ricostituzione di un centrodestra serio obbligherà anche il Partito Democratico a ricostruirsi attorno alla politica e non alla gestione del potere, nella quale si è specializzato».
Poi una ‘lezione’ di realismo: in Italia non bastano i voti. «Si deve necessariamente fare i conti con poteri esterni». Non che sia una grande scoperta; la verità è che Crosetto con questa storia dei ‘poteri esterni’ vuol dimostrare che Fratelli d’Italia, e specificatamente Meloni, hanno ben chiaro quello che invece molto spesso sfugge alla Lega e a Matteo Salvini, in particolare (altro è il discorso per il silenzioso ma non inattivo Giancarlo Giorgetti): senza la protezione della Banca Centrale Europea, gli altri Paesi dell’Unione, non si va da nessuna parte: «Serve accreditarsi in Europa, far capire che non siamo gli sciamannati che vogliono scappare con la refurtiva. Il percorso è a buon punto».
Prove in questo senso: Meloni non si è congratulata con Marine Le Pen per i risultati raggiunti, anzi, abilmente ne ha preso le distanze; e anche con Vikor Orban: ha lasciato che fosse Salvini ad accorrere festoso a baciargli la pantofola, quando il leader ungherese è venuto in visita in Italia. Per quel che riguarda oltreoceano, mentre è ormai ingiallita la fotografia che Salvini strappò con Donald Trump, Meloni, con orgoglio e soddisfazione, può dire di aver avviato una interlocuzione ufficiale con i repubblicani statunitensi e di essere la prima italiana invitata alla loro convention di Miami: «Siamo stati considerati interlocutori politici seri prima dal partito repubblicano, ora anche dal deep state USA con la questione Ucraina: hanno capito che c’è un partito che si prende un impegno e lo mantiene». Sottinteso: ce ne sono, o ce ne sono stati che l’impego assunto poi non lo hanno onorato.
Comunque, mano tesa: a Salvini e a Berlusconi; a Giovanni Toti, Luigi Brugnaro, Pierfranco Rotondi e quanti coloro che vorranno costruire l’edificio dei conservatori. A patto di voler riconoscere la leadership meloniana.
Il bilancio della convention milanese di Fratelli d’Italia, si può condensare in tre parole, che sono altrettante condizioni poste agli altri spezzoni del centro-destra: orgoglio, chiarezza, regole. Su questa base si avvierà il dibattito e il confronto nei prossimi giorni.
Meloni promette nessuna polemica o recriminazione; ma è sicuro che non farà sconti; e ora che sia lei che il suo partito sono dati per vincenti, è pronta a giocare anche la carta estrema della corsa solitaria. Non vincerà, ma troncherà così sul nascere le velleità governative coltivate dagli altri ‘alleati’. Dunque, prioritariamente, l’impegno, dopo il voto, di non andare «mai, in alcuno modo» con la sinistra. Scandisce cosa significa per lei ‘orgoglio’: «Piena rappresentanza a quei milioni di italiani che sono stati costretti per troppo tempo a essere maggioranza silenziosa ma che non aspettano altro che far sentire la propria voce…L’impegno solenne che si prende Fratelli d’Italia è che noi daremo quell’orgoglio a questo popolo, lo vogliamo e speriamo di farlo con il centrodestra, ma, sia chiaro, che lo faremo comunque, noi di Fratelli d’Italia».
Innegabile, quale sia il giudizio che si dà su Meloni, che il suo sia un parlare senza peli sulla lingua: sul piatto della politica ha buttato i suoi assi: ‘O mi riconoscete come leader, oppure ciascuno andrà per la sua strada‘. Salvini e Berlusconi possono traccheggiare, ma alla fine il nodo in qualche modo lo dovranno dirimere. La frase chiave: «Vogliamo dare un orgoglio a questa Nazione. Pensiamo e speriamo di farlo con il centrodestra, ma lo faremo comunque». Sia ad Arcore che a via Bellerio sanno bene che andare a elezioni politiche rinunciando agli apparentamenti nei collegi uninominali per Camera e Senato, significa regalare al centro-sinistra buona parte dei 221 collegi in palio. Addio sogni di gloria (e potere) per tutti.
La possibile via d’uscita potrebbe essere l’ennesima riforma della legge elettorale, in senso, questa volta, proporzionale. Consentirebbe un po’ a tutti di andare davanti all’elettore in ordine sparso: ognuno per sé, vada come vada. Ipotesi che tenta anche il PD. Enrico Letta è sempre più pessimista, e vede il suo sognato ‘Campo largo‘ restringersi giorno dopo giorno.
Nel Movimento 5 Stelle le continue bizze di un Giuseppe Conte uno-nessuno-centomila, stanno mettendo a dura prova i suoi nervi. A questo punto, pensa Letta, forse molto meglio un proporzionale con una soglia di sbarramento che consenta ai ‘piccoli‘ (Italia viva, Azione, Più Europa, Verdi) di sperare di superare la fatidica asticella. Porteranno magari a Camera e Senato una microscopica rappresentanza parlamentare, comunque preziosa in certe risicate votazioni.
E’ questo che ci aspetta per il prossimo autunno? Legge elettorale, Finanziaria che dovrà tener presente della duplice morsa Covid e guerra Ucraina; e le scadenze legate al PNRR: le sette fatiche di Ercole sono forse meno gravose. C’è poi un convitato di pietra, fra una quarantina di giorni: il 12 giugno si voterà per i referendum per una giustizia più giusta e per elezioni amministrative che riguardano molti importanti comuni. Si annuncia una massiccia astensione; il resto è un qualcosa nel grembo degli dei. I sondaggi, per quello che valgono, danno Fratelli d’Italia e PD appaiati; ma è davvero troppo presto per fare affidamento sui risultati di sondaggi demoscopici, che per lo più vengono ormai utilizzati anche loro più come strumento di propaganda, che come ‘termometro’ degli umori e delle tensioni che percorrono l’elettorato.
Questa la situazione; questi i fatti.